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Il Museo Universale

131728835-7246491d-5141-41a4-92c1-6712bffc9a70  E mentre le campane suonavano a festa nella piazzetta antistante l’oratorio di Santo Spirito si raccoglieva un “affollato popolo di dotti e imperiti, pittori ed artigiani, nobili e plebei, e donne e uomini tutti, e fino i fanciulli”. Bologna, dicembre 1815, tornano a casa i capolavori della pittura emiliana razziati dalle truppe napoleoniche che Antonio Canova era andato a recuperare a Parigi. Era una parte del bottino, l’altra, contenuta in diecine di casse, giunse a Roma il 4 gennaio 1816 via terra e, nel mese di settembre, ancora un consistente nucleo di opere d’arte (ben 52 casse) approdò al porto pontificio di Civitavecchia. Il tutto era stato accuratamente selezionato per il Musée Central des Arts, il nascente Louvre, cercando di strutturare un panorama artistico quanto più ampio possibile, dove ogni tendenza venisse rappresentata: un “Museo universale”, appunto. Ma sappiamo com’è andata, Napoleone in esilio, l’iniquo Trattato di Tolentino al macero e buona parte delle opere depredate sulla via del ritorno e anche se alcuni capolavori restano purtroppo fuori il grosso è qui in Italia ed una selezione la possiamo ammirare nella mostra in corso alle Scuderie del Quirinale.

  Rappresentare l’arte nel suo percorso nel tempo, le varie scuole ed i vari stili, questo doveva essere il futuro Louvre, un museo didattico, e l’arte italiana si prestava in pieno, con la sua storia densa, dove la Bellezza ne è il cuore pulsante. Ed ecco, proprio all’inizio della mostra, una copia in gesso del Lacoonte e l’Apollo del Belvedere, pure in copia, che per Winckelmann rappresentava il bello ideale. Questo era il criterio di scelta degli esperti nominati dal Bonaparte, come Dominque-Vivant Denon, che si dedicò alla ricerca dei “Primitivi” italiani. Ma la prima fase dello spoglio delle opere d’arte si concentrò sulla Rinascenza, il gusto ed il culto del classico rinnovato dalla pittura dei grandi maestri del ‘500. Varcarono le Alpi i capolavori di Raffaello che furono fra i primi a tornare e qui possiamo ammirare il “Ritratto di papa Leone X”, dove la forza espressiva delle figure di Giuliano de’Medici e dei prelati che gli sono a fianco è accentuata dal contrasto cromatico (oltre ad essersi formato alla bottega del grande Perugino Raffaello era anche figlio d’arte, il padre Giovanni Santi essendo un bravo pittore: di lui in mostra una notevole “Madonna in trono”). E del ‘500 sono anche Filippo Barocci (“Madonna con il Bambino”, vicino ai moduli del Correggio) e il Cigoli, il cui splendido “Ecce Homo” è quasi un compendio stilistico della pittura italiana del XVI secolo.

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  Le prime requisizioni iniziarono nel 1796, a Bologna e Parma, alla caccia dei dipinti di scuola bolognese, importanti per l’equilibrio dei toni e l’eleganza delle forme, che in Guido Reni trovano la compiutezza ideale (vedi “La strage degli innocenti” e soprattutto “La Fortuna con una corona”, di rarefatta bellezza). Per i francesi, impregnati di illuminismo, è un tipo di pittura che rientra nei loro canoni estetici, dove l’equilibrio e la tecnica compositiva si sublimano in una generale visione morale (ma non moralistica). E sono opere di notevole fattura, quali “Compianto sul Cristo morto” del Correggio, dal gusto “soave e tenero”, come si espresse Stendhal, “La cattedra di San Pietro” del Guercino, dove il chiaroscuro svolge una funzione drammatica, “Compianto sul Cristo morto con santi”, di Annibale Carracci, il superamento del manierismo verso un più sincero naturalismo pittorico. Ma anche il colore è importante, il colore come possibilità espressiva e questo significa la scuola veneta, i carichi di dipinti e non solo che partirono da Venezia alla volta di Parigi. I grandi maestri, Tiziano (“Assunzione della Vergine”), Veronese (“San Barnaba guarisce gli infermi”), Tintoretto (“Sant’Agnese resuscita la figlia del prefetto”). Un trionfo di luce e tonalità cromatiche che ispireranno il romanticismo pittorico francese (in particolare Delacroix).

  I “Primitivi”. Dapprima ignorati perché secondari rispetto ai “classici” furono poi rivalutati da Vivant Denon che al Perugino incluso nella lista dei beni razziati in quanto maestro di Raffaello (“Cristo in pietà” e “San Giovanni Battista fra i Santi”, immersi in quella dolcezza tipica della pittura umbra) aggiunse maestri della pittura  del ‘300-‘400. In fondo qui è la radice di tutto, l’energia primaria, e la ricerca, facilitata dalla soppressione di confraternite ed ordini religiosi, diede ottimi frutti. E sono opere di rilievo come “Il banchetto di Erode” di Lorenzo Monaco, nei modi del gotico internazionale,  “Madonna con i santi Andrea, Giovanni Battista, Domenico e Pietro”,  polittico di Bartolomeo Vivarini, uno dei maestri della pittura veneta, una fiorita “Sant’Anna” di Benozzo Gozzoli , una soave “Madonna con Bambino” di Cima da Conegliano (peraltro famoso proprio per la dolcezza delle sue Mater Dei), una “Madonna con Bambino e Santi” di Defendente Ferrari, pittore piemontese che risente dei toni della pittura nordica. E altri artisti importanti, da Simone dei Crocefissi a Zanobi Machiavelli, al Francia, a Luca Baudo, figura di primo piano nella storia della pittura genovese. Ma anche la scultura e la statuaria furono oggetto di razzia e, come già con l’antico  (vedi la “Testa di Giove” e “Venere Capitolina”), si puntò a lavori di pregevole fattura come “Gli Apostoli” e la “Lastra tombale di Gastone di Foix” del Bambaia, che Vasari definì “opera degnissima di essere annotata fra le più stupende dell’arte”. Notevole anche quella di Guidarello Guidarelli, di Tullio Lombardo, condottiero al servizio dei Borgia la cui giovane immagine fissata per sempre nel marmo ha da sempre esercitato un grande fascino (soprattutto sulle donne e tante sono le leggende in merito). 131726083-2a7a022a-b707-437a-8681-c64be29dcc82

  Il ritorno in patria delle opere d’arte non fu solo una festa per il reintegro dell’offesa subìta in quanto segnò il nascere di una nuova consapevolezza. Era il senso, sia pure ancora in fase embrionale, di un’identità che quelle opere recavano in sé, quali frammenti di una storia che, siamo nel 1815, l’anno del Congresso di Vienna, gli italiani cominciavano a percepire (e desiderare) come unitaria. L’opera d’arte quindi come simbolo di un’appartenenza e infatti ecco il freno al commercio antiquario che da sempre depauperava il paese e la nascita di musei ed istituzioni culturali. E’ un inizio, sia pure pieno di dubbi e incertezze, ben espresse nello splendido quadro di Hayez, “La meditazione”, allegoria sull’Italia risorgimentale che, dopo i moti del ’48, interroga se stesso sul suo futuro.

  Un futuro che oggi, oltre 150 anni dopo, di nuovo appare incerto, come anche, in un certo senso, l’identità nazionale alla cui nascita contribuì quell’Antonio Canova (in mostra un bel ritratto) che, recuperando le opere rubate, parlò di Bellezza in un paese ancora diviso ma alla ricerca di una sua anima.

“Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova”, alle Scuderie del Quirinale fino al 12 marzo 2017. Da domenica a giovedì h.10-20, venerdì e sabato h.10-22,30. Biglietto euro 12 intero, 9,50 ridotto. Per informazioni 0639967500 e www.scuderiequirinale.it

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