E’ ormai consuetudine nelle mostre accostare l’antico al moderno, questo ospitato da quello in un qualche famoso museo d’arte antica, realizzando situazioni di confronto in verità non sempre pertinenti. Richiami e suggestioni talora s’intrecciano in un unicum di particolare fascino (è il caso della Centrale Montemartini, perfetta sinergia fra archeologia classica ed archeologia industriale) e, tuttavia, spesso il connubio antico-moderna lascia perplessi. E’ quanto invece non si verifica, lasciando anzi il visitatore piacevolmente sorpreso (anzi, direi sedotto), nella mostra ospitata in quel gioiello barocco che è Palazzo Altemps: “Savinio. Incanto e mito”.
Fratello del metafisico Giorgio de Chirico e non meno famoso per il suo eclettismo artistico che lo ha spinto a vagabondare dalla musica alla scrittura e dal teatro alla pittura, Andrea Francesco Alberto de Chirico, in arte Alberto Savinio, ha saputo come pochi immergersi alle radici del Mito senza però alcuna presunzione di tipo esoterico. Con levità, un gioco che ben si inserisce nel contesto museale, dove un acceso figurativismo fra onirico e allucinato (e ovviamente simbolico) riverbera con un che di simpaticamente malizioso sulle statue ed i gruppi marmorei. Si crea anzi quel particolare intreccio di cui dicevo all’inizio, un dialogo fatto di echi e allusioni che parlano di un altrove sedimentato nel nostro inconscio. Ed è un dialogo che, nella mostra, sembra quasi scisso in due parti, l’una in reciprocità con l’altra: il Gioco e il Mito.
Ed ecco, quanto mai emblematici, “L’isola dei giocattoli” e “Monumento ai giocattoli”, dove la rappresentazione ludica, con quel suo affollarsi di oggetti stranianti e dai colori bizzarri, rimanda ovviamente all’infanzia. Ma è uno status innocenziale imperfetto, solcato da una venatura inquieta, come traspare da “L’ile des charmes”, con quelle sagome che evocano lapidi e tombe arcaiche. O “Le navire perdu”, lo scoglio che spunta dal mare ed ingloba i soliti oggetti stranianti sui quali fanno ombra le vele di una giunca malese (e il gioco viene insaporito dall’elemento esotico). E poi il senso di naufragio che ispira “Chevauchée marine” o il vago sapore d’ avventura di “L’ile au tresor”, per non parlare de “Le rois mages”, una sorta di grottesco vascello volante sulla solitudine di un deserto dove affiorano timidamente alcune palme.
André Breton nel 1937 scriveva che alle origini del Surrealismo c’erano De Chirico e Savinio e per certi versi è vero, solo che Savinio, pur frequentando a Parigi le avanguardie (Picasso, Apollinaire, Cocteau), stava realizzando qualcosa di più complesso. Nella dissoluzione e ricomposizione della forma v’era un che di squisitamente mediterraneo, la presenza del Mito, che qui diventa mimesi per trasfigurare un mondo nel quale non v’è confine fra dei, uomini e animali. Ed è senz’altro l’aspetto più fascinoso dell’arte di Savinio, anticipata da una tela direi allegorica, “Il vecchio e il nuovo mondo”, due personaggi dall’aria distinta, forse due studiosi e, a lato, un torso antico che giace in un canto. E inizia la magnifica avventura.
Nella Sala del Galata, innanzi al famoso gruppo svetta il grandioso fondale di scena de “I racconti di Hoffman”, di Jacques Offenbach, dove Hoffman dialoga con la Musa, e, alle pareti, figurano gli splendidi bozzetti dell’opera della quale Savinio fu regista.
Accanto un’altra opera non meno importante, l “Oedipus Rex”, di Igor Strawinsky, i costumi come momenti di una trasmutazione la cui essenza è la “vanitas” : Edipo quale viandante in un mondo illusorio che si è costruito da solo. Ma il mondo può anche essere al contempo fiaba e incubo (vedi i quadri di paesaggio, tutti (volutamente?) senza titolo: ognuno può immaginare la sua visione di paesaggio). E mimesi ovviamente, ed è l’ironica commistione di umanità-animalità, come “Le due sorelle” e “Niobe”, il becco a papera che s’innerva sulla figura umana o “Les anges batailleurs”, dove la lotta aerea, con quelle membra che si avviluppano, suggerisce un titanismo di fondo.
Così torniamo al Mito ed è davvero uno spettacolo osservare le statue e accanto o dietro i corpi che talora sembrano sbocciare dalle colonne, sagome antiche in un gioco prospettico di indubbia suggestione. Calliope dialoga con “Orphée” e Pan e Daphne con i due uomini in toga di “Colloquio” e, ancora, Urania e “Apollo” e Afrodite e “I Dioscuri”. Assolutamente fascinoso poi l’effetto creato dalla statua di Hermes Loghios e, sullo sfondo, “Prometheus”, come un imponente torso antico. E’ un percorso davvero suggestivo che coinvolge marmi e pitture (e qui non si può non lodare l’allestimento) e che, dopo un altro felice connubio (il bue Api e “Il giorno sul borgo”, immagine che richiama il profilo del bue), si chiude simbolicamente con “L’aquilone”. In fondo è sempre e comunque un gioco, bello o tragico che sia, e l’artefice è un artista poliedrico, il quale sa anche giocare con le parole (fra i suoi libri cito “Casa “La vita”, “Ascolto il tuo cuore città”, “Capri”) e i suoni (studiò contrappunto a Parigi con Max Reger. Le note de “Chants de la mi-mort” accompagnano il visitatore nella Sala Mattei, dove sono esposti alcuni suoi scritti autografi). E la metamorfosi quale formula rituale con cui Savinio esorcizza quella danza di ombre fluttuanti che è la vita.
“Savinio. Incanto e mito”, a Palazzo Altemps fino al 13 giugno, da lunedì a venerdì h.14-19,45, Biglietto on line www.coopculture.it abbonamento euro 10 che consente l’ingresso a tutte le sedi del Museo Nazionale Romano (Palazzo Altemps, Crypta Balbi, Palazzo Massimo, Terme di Diocleziano). La mostra è promossa dal Museo Nazionale Romano ed è a cura di Ester Coen. Per informazioni www.museonazionaleromano.beniculturali.it
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