Già il primo quadro che incontri ti dà il senso di qualcosa di libero e, al contempo, racchiuso in uno spazio ben definito. Libero, per l’espressione di quel volto, consapevole della propria femminilità, e vincolato, per quella sorta di raggiera di fili intorno al volto che dànno come l’idea di una ragnatela. Ed è il volto di Frida Kahlo, il suo bellissimo autoritratto, nella fronte impresso un altro viso, Diego Rivera, grande pittore messicano che con lei ebbe una tormentata storia d’amore (“Autoritratto come Tehuana – Diego nei miei pensieri”). Ecco, fra questi due estremi si colloca l’esperienza umana ed artistica di Frida, il suo percorso che, pur interrotto troppo presto (1907-1954), sprigiona un’intensità emotiva che affascinò ed affascina tuttora.
Frida Kahlo alle Scuderie del Quirinale, oltre 40 opere di una donna praticamente autodidatta, giunta alla pittura dopo un gravissimo incidente che la condizionò per tutta la vita. E proprio quel trauma è la fonte di una pittura dove alla ricerca introspettiva fa da controcanto il rapporto con un presente postrivoluzionario, il tutto come irrorato dalla consapevolezza delle proprie radici indie (“Due donne, Herminia e Salvadora” e “Pancho Villa e Adelita”, con sullo sfondo i treni carichi di guerriglieri, immagine cara al cinema western). E il rapporto con Diego Rivera, naturalmente, un continuo attrarsi e respingersi che inciderà in modo significativo (il motivo dell’assenza, presente in molte sue opere e soprattutto nel “Diario”, ribollente crogiuolo di parole e immagini).
Frida è ormai ben inserita nel nuovo corso pittorico le cui personalità maggiori sono, oltre a Rivera, Orozco e Siqueiros e aderisce all’Estridentismo, corrente influenzata dai futuristi italiani. Ma in realtà spazia liberamente, ora in àmbito naif, seguendo le suggestioni di Abraham Angel (“La muleta”, qui esposta), ora con tendenze surrealiste, dopo l’incontro con André Breton, ora evocando le sinuosità di Modigliani (“Autoritratto con vestito di velluto”), ora le asperità della Nuova Oggettività tedesca, ora infine rivisitando l’esperienza italiana, dal rinascimento al “realismo magico”. D’altronde il suo è un momento storico di fermenti, politici non meno che culturali, ed è impossibile non restare coinvolti, soprattutto nel Messico uscito da una rivoluzione. E frequentare Lev Trotzki, il grande esule perseguitato da Stalin, darà un ulteriore slancio alla sua creatività.
Ideologicamente di sinistra ma non legata ai canoni del “realismo socialista”, bensì scavando nell’anima antica del suo paese, la Tradizione che fa del Messico un centro di luce e ombra, dove la morte è di casa, quasi un’amica un po’ bizzarra (vedi il filone letterario, in particolare Juan Rulfo). E lei si tiene ben salda alle sue radici, come traspare in “Autoritratto al confine fra Messico e Stati Uniti”, emblematico nell’incontro-scontro di due mondi, l’uno di sangue e nervi, l’altro di cemento e acciaio (e lei, simbolicamente, nel mezzo: un amore-odio più palese nel dissacrante “Il mio vestito è appeso là, o New York”). Ma come un fiume carsico nei suoi lavori scorre sotterraneo il Dolore, fisico, per l’incidente che l’ha invalidata, costringendola a continue operazioni sulla colonna vertebrale (sette, annoterà nel suo Diario) e morale, per la storia con Diego Rivera, costellata di ripulse, tradimenti, riconciliazioni (e di questo convulso ménage oltre al Diario fanno testimonianza “Le emozioni”, matita su carta
Frida ora è famosa in patria ed all’estero, anche in Europa (il Louvre acquista un suo quadro), ma non per questo si distacca dai motivi a lei cari. Anzi, il Male che lacera dall’interno il suo corpo (espresso in quel capolavoro che è “Autoritratto con collana di spine e colibrì”) si sublima nella visione di una totalità che attinge sì alle radici nazionali, ma anche ad una saggezza più antica.
Opere dense come “Mosè o Nucleo Solare” e “L’abbraccio amorevole dell’Universo, la Terra (il Messico), Diego, io e il signor Xolotl” compongono una cosmogonia tutta personale, dove s’inseguono eros e thanatos (Xolotl per gli aztechi e i toltechi era il dio dei morti). Spesso, in questa ed altre rappresentazioni pittoriche, i personaggi hanno il “terzo occhio”, quello della divinazione legata ai chakra, le sette fonti di energia secondo l’induismo tantrico. E nell’opera di Frida compare anche il termine Dharma, la Legge o Ruota della Vita. Interessante quest’aspetto quasi esoterico che rafforza il suo indomito anelito vitale, nonostante il dolore (vedi il corsetto di gesso che negli ultimi anni le serrava il busto) e la maternità frustrata (le litografie inerenti il suo aborto). Un eros talora esuberante (esplicito nei disegni, allegorico nei quadri, come “La sposa che si spaventa vedendo la vita aperta”), che però non impedirà alla sua salute di peggiorare, tanto che scriverà nel diario “Espero alegre la salida, y espero no volver jamas” (aspetto felice la partenza e spero di non tornare mai più). E restano le sue immagini ripetute nei ritratti (Bloch, Garcia, Bravo e naturalmente Rivera), nelle foto, come le stampe alla gelatina d’argento di Tina Modotti, e negli autoritratti, la cui ripetizione fa pensare ad una sorta di egocentrismo pittorico. Ma non è così, il suo reiterarsi sulla tela è un modo di esorcizzare quel male di vivere che le corroderà prima lo spirito, l’energia interiore, poi il corpo. Frida Kahlo, icona inquietante della pittura del ‘900.
“Frida Kahlo”, alle Scuderie del Quirinale fino al 31 agosto 2014. Da domenica a giovedì h.10-20, venerdì e sabato h.10-22,30. Biglietto intero 12 euro, ridotto 9,50.
Sono previste conferenze e proiezioni al Palazzo delle Esposizioni, ingresso libero. Per informazioni 06.39967500 e www.scuderiequirinale.it
Scritto da: Antonio Mazzain data: 28 marzo 2014.il16 ottobre 2014.
Inserire un commento