Il Bello secondo Canova
“Un nobile veneziano mi mise in grado, con la sua generosità, di non avere più preoccupazioni per la mia esistenza, ed io ho amato l’arte”. Così riporta nelle sue “Promenades dans Rome” Stendhal, che incontrò Canova in casa di una nobildonna romana, lo scultore ormai famoso da lui definito “un lavoratore di spirito semplice, che aveva ricevuto dal cielo una bella anima e il genio”. Lo stimava non solo come artista ma come uomo, per la sua modestia, che l’aveva portato a rifiutare le allettanti offerte di Napoleone, altro suo grande ammiratore. Una personalità non comune, il cui amore per la Bellezza fascinò la vita culturale romana fra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800. Amore che continua a fascinare nella mostra di Palazzo Braschi, “Canova. Eterna Bellezza”, oltre 170 opere del maestro veneto, fra marmi, gessi, disegni e quadri.
Nel cortile un omaggio cibernetico alla sua arte, il gruppo di Amore e Psiche riprodotto con una scansione a 3d del gesso preparatorio della scultura esposta al Louvre. Come corollario un filmato che documenta il robot mentre scolpisce per 270 ore senza interruzione un blocco di marmo bianco di Carrara di 10 tonnellate. E, dopo questa colorita introduzione, inizia il percorso artistico di Canova, giovane scultore che ad appena 26 anni si afferma con il suo spettacolare monumento funebre di Clemente XIV nella chiesa romana dei Santi Apostoli. E’ il 1787, sono trascorsi appena 9 stagioni da quando Canova è giunto nell’Urbe, anni di maturazione, immerso nel passato, in quell’antichità eroica che permea ogni angolo della città e che gli studi di Winckelmann e le incisioni di Piranesi hanno rivitalizzato. Canova conosce l’altro volto di Roma e lo fa proprio iniziando un suo personale dialogo Antico-Moderno. “L’Antico bisogna mandarselo in sangue sino a farlo diventare naturale come la vita stessa”. Così afferma e così è.
Le fonti classiche innanzitutto ed ecco il calco del famorso Torso del Belvedere, modello per scultori e pittori, a cominciare da Michelangelo. E’ un punto di riferimento anche per Canova, insieme ai Colossi di Monte Cavallo, al Quirinale, le cui teste sono qui presenti con due calchi in gesso di scuola romana. L’Antico viene da lui filtrato con una sensibilità nuova, che si traduce in un linguaggio dai tratti robusti ma insieme gentili, dove la plasticità delle forme ha un che di morbido e vagamente sensuale. Per esempio un “Amorino alato” messo a confronto con “Eros tipo Centocelle”, uno stimolante dialogo Antico-Moderno che fa comprendere quanto e come la linfa del passato scorra, trasfigurata, nei marmi canoviani. Come “Amore e Psiche”, di dolcissima fattura o il “Genio della Morte”, i cui tratti evocano l’Apollo del Belvedere.
E’ l’impronta neo classica che trova in Canova una personalità di rilievo, magnifico artigiano che sa temperare il suo vigore con un afflato di delicata poesia. Così può senza alcun problema passare dal titanico (“Il pugilatore Creugante” messo a confronto con il gesso del “Gladiatore Borghese”) alla serenità compositiva (l’armonia della “Danzatrice mani sui fianchi”). Serenità che peraltro si ripete anche in momenti più intensi, sul filo del tragico, il clima letterario creato dall’ “Antigone” di Vittorio Alfieri, il cui monumento funebre Canova realizza in Santa Croce a Firenze. Ed è quel capolavoro assoluto della “Maddalena penitente” e tuttavia la figura assisa in posa meditativa con la croce fra le mani ed un teschio accanto, pur nella sua drammaticità ha un che di pacato e di sofficemente sensuale.
E’ un’opera un po’ fuori dagli schemi del “Bello ideale” che ha i suoi momenti migliori in lavori eccellenti come il “Monumento agli ultimi Stuart”, in San Pietro, con gli efebici angeli della morte innanzi alla porta dell’aldilà (qui è esposto il gesso). Ma la ricerca della bellezza è in tutte le opere, sia gessi che sculture, dalla “Danza dei Feaci” all’ “Endimione dormiente”, senza escludere i busti dei papi, di Napoleone, della madre Letizia Ramolino e di altri personaggi importanti (non manca un gesso di Paolina). Nominato nel 1802 da Pio VII “Ispettore delle Belle Arti” Canova si adopera soprattutto ad evitare l’esportazione dei pezzi antichi, impegnandosi in prima persona (vedi l’acquisto dei cippi Giustiniani, uno dei quali è in mostra). Non gli riesce con il “Fauno Barberini”, che Pio VII donò a Ludovico I di Baviera, opera eccellente della quale si può ammirare il calco in gesso. Altro importante incarico lo ha quando, caduto Napoleone, si reca in Francia per recuperare le opere d’arte saccheggiate in Italia, missione purtroppo riuscita solo in parte.
Un omaggio ad un papa morto in esilio, Pio VI, la cui statua, collocata sotto l’altare della Confessione è ora nelle Grotte Vaticane (esposti il modellino e il modello a metà grandezza) e, in onore di Pio VII, la colossale statua della “Religione” che doveva figurare in San Pietro ma Canova storna i fondi necessari destinandoli alla costruzione del Tempio di Possagno, che sarà una splendida gypsoteca e la sua ultima dimora (in mostra il busto in gesso della “Religione”). E colossale è anche il gruppo di “Ercole e Lica”, un tempo a Palazzo Torlonia-Bolognetti poi demolito e ora nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna (è presente un bronzetto). Altre opere sono disseminate lungo il percorso, riproponendo anche lo studio che Canova aveva presso l’ex Ospedale di San Giacomo al Corso, senza trascurare artisti a lui coevi, come il danese Berthel Thorvaldsen, da molti considerato suo rivale (ma il busto del cardinal Consalvi evidenzia un chiaro timbro nordico in contrasto con la solarità canoviana). Infine, quale corollario alla mostra, le splendide fotografie di Mimmo Jodice, che rendono il marmo di una carnalità quasi trascendente, la materia che nelle mani di Canova diventa idea e sogno. Il Bello, appunto.
E’ un’opera un po’ fuori dagli schemi del “Bello ideale” che ha i suoi momenti migliori in lavori eccellenti come il “Monumento agli ultimi Stuart”, in San Pietro, con gli efebici angeli della morte innanzi alla porta dell’aldilà (qui è esposto il gesso). Ma la ricerca della bellezza è in tutte le opere, sia gessi che sculture, dalla “Danza dei Feaci” all’ “Endimione dormiente”, senza escludere i busti dei papi, di Napoleone, della madre Letizia Ramolino e di altri personaggi importanti (non manca un gesso di Paolina). Nominato nel 1802 da Pio VII “Ispettore delle Belle Arti” Canova si adopera soprattutto ad evitare l’esportazione dei pezzi antichi, impegnandosi in prima persona (vedi l’acquisto dei cippi Giustiniani, uno dei quali è in mostra). Non gli riesce con il “Fauno Barberini”, che Pio VII donò a Ludovico I di Baviera, opera eccellente della quale si può ammirare il calco in gesso. Altro importante incarico lo ha quando, caduto Napoleone, si reca in Francia per recuperare le opere d’arte saccheggiate in Italia, missione purtroppo riuscita solo in parte.
Un omaggio ad un papa morto in esilio, Pio VI, la cui statua, collocata sotto l’altare della Confessione è ora nelle Grotte Vaticane (esposti il modellino e il modello a metà grandezza) e, in onore di Pio VII, la colossale statua della “Religione” che doveva figurare in San Pietro ma Canova storna i fondi necessari destinandoli alla costruzione del Tempio di Possagno, che sarà una splendida gypsoteca e la sua ultima dimora (in mostra il busto in gesso della “Religione”). E colossale è anche il gruppo di “Ercole e Lica”, un tempo a Palazzo Torlonia-Bolognetti poi demolito e ora nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna (è presente un bronzetto). Altre opere sono disseminate lungo il percorso, riproponendo anche lo studio che Canova aveva presso l’ex Ospedale di San Giacomo al Corso, senza trascurare artisti a lui coevi, come il danese Berthel Thorvaldsen, da molti considerato suo rivale (ma il busto del cardinal Consalvi evidenzia un chiaro timbro nordico in contrasto con la solarità canoviana). Infine, quale corollario alla mostra, le splendide fotografie di Mimmo Jodice, che rendono il marmo di una carnalità quasi trascendente, la materia che nelle mani di Canova diventa idea e sogno. Il Bello, appunto.
“Canova. Eterna bellezza”, Museo di Roma a Palazzo Braschi fino al 15 marzo 2020, tutti i giorni h.10-19, biglietto solo mostra euro 13 ridotto 11, integrato Mostra + Museo 19,50 ridotto 17,50, per i possessori MIC Card solo mostra e ingresso gratuito al Museo. Per informazioni 060608 e www.museodiroma.it . La mostra, a cura di Giuseppe Pavanello, è realizzata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Arthemisia e organizzata con Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca e con la Gypsoteca e Museo Antonio Canova di Possagno.
Ci sono stati molti grandi artisti che hanno rappresentato la vita o un pensiero o hanno espresso con una immagine un discorso complesso e lo hanno reso fruibile alla maggioranza degli uomini meglio di cento discorsi, ma, pochi hanno fatto opere che parlano a chi le osserva ed il Canova è riuscito a rendere vivo il marmo tanto da sembrare che ti parli.
Complimenti al dott. Mazza, ho letto diversi articoli e mi hanno sorpreso per competenza e conoscenza degli argomenti trattati.
Giuseppe da Parigi.
Caro Giuseppe, la ringrazio per l’apprezzamento. E’ davvero un piacere comunicare le sensazioni che io provo innanzi alla Bellezza a persone che possano comprenderle. E’ questione di lunghezza d’onda: comune, come nel nostro caso.