Da qualche tempo la nostra italica propensione al lamento autolesionista va assumendo toni di colorita paranoia. Troppo colorita, a causa della crisi non solo economica ma valoriale, anzi, soprattutto questa che, ben consapevoli come siamo della nostra storia e del nostro denso passato, ci ha fatto perdere il baricentro. E così ci troviamo ad attraversare una fase di fluttuazione – morale, sociale, culturale – che rischia di diventare endemica se non smettiamo di piangerci addosso e magari ci concediamo una pausa per cercare di osservarci da fuori, come spettatori, e non più come protagonisti. Il suggerimento viene da “Il bello dell’Italia”, di Maarten van Aalderen, corrispondente da Roma dell’olandese “De Telegraf”, che ha raccolto le testimonianze di 25 colleghi della Stampa estera sul tema Italia, ovvero come ci vedono “loro”, giornalisti che da anni vivono nel nostro paese e ormai ce l’hanno nel sangue. Maarten vuol dare più di una pacca affettuosa sulle spalle, una sferzata di energia perché “l’Italia deve essere consapevole di ciò che ha di positivo” e, in effetti, scorrendo le pagine di questo saporito volumetto, ci si rende conto come all’estero il nostro paese sia considerato un punto di riferimento a tutto campo: arte, paesaggio, cucina, moda, calcio (sì, calcio: lo sapevate che ben 150 milioni di cinesi tifano per il Milan? Lo afferma Mai Sai del “Guangming Ribao” di Pechino).
Dunque 25, 13 donne e 12 maschietti a rappresentare i 5 continenti con interviste a 360 gradi che tracciano il ritratto in filigrana di quella realtà complessa ma quanto mai fascinosa che è il nostro paese. Ed è proprio l’elemento seduttivo a saldare l’un l’altra le interviste, in ognuna trasparendo la suggestione di quest’Italia e Roma soprattutto che, nel tempo, ha ammaliato i corrispondenti esteri. Come metafora ed allegoria cito il caso del collega Tetsuro Akanegakubo che a vent’anni è partito da Calcutta per l’Urbe, in moto, e qui è rimasto, gustando e scrivendo della cucina tradizionale romana. Un aspetto della cultura locale, che nella città dei papi significa soprattutto storia stratificata, come nota l’argentina Elena Llorente, che non si stanca mai di curiosare fra i tesori di Roma e dintorni (“Non c’è nemmeno bisogno di viaggiare, basta camminare per le strade”: vero, è una vita che studio la mia città, ho diecine di libri, eppure scopro sempre qualcosa di nuovo). Lo stesso discorso vale per l’australiana Josephine McKenna, che, venendo da “un continente troppo giovane”, come lei dice, ha fame di archeologia ed è perciò in continua ricerca dell’antico. E poi la natura, gli ampi spazi di verde, come Villa Ada, luogo prediletto dalla canadese Megan Williams e la gente, il calore umano avvertibile in quartieri che hanno conservato la propria identità, come la Garbatella, tanto che l’olandese Sarah Venema parla di “cultura della piazza”, il luogo dell’incontro e della socializzazione.
E qui esce fuori il carattere romano ed italico in generale, con le ovvie sfumature territoriali, ma con un tratto in comune, perché “La satira appartiene a tutto il popolo italiano” ed è “un riso per partire da zero e poi riemergere”, come nota la brasiliana Gina de Azevedo Marques. Riemergere, appunto, perché l’Italia oltre ad avere delle eccellenze in campo mondiale riveste una posizione geopolitica strategicamente primaria nel bacino Mediterraneo. Così passiamo dal made in Italy della moda (la russa Elena Pouchkarskaia parla dei famosi tessuti di Loro Piana) al vino (l’americana Monica Larner, specializzata in assaggi ed innamorata del Barolo) e dal cibo (il finlandese Petri Burtsov tesse l’elogio di Eataly e lo spagnolo Rossend Domènech parla di Slow Food e “chilometro zero”, i prodotti di prossimità) alla politica di scacchiere (per l’egiziano Mahdi El Nemr in questo momento di crisi, l’Italia, grazie alla sua storia, può giocare un ruolo importante nel rapporto fra Nord e Sud del Mediterraneo). Ma per essere e restare lungimiranti occorre anche una sana ossatura scolastica radicata nel Paese e vi fa riferimento l’israeliana Sivan Kotler, forse con troppo ottimismo (sì, c’è un generale input tecnologico ma c’è anche un forte degrado, soprattutto al Sud, ovviamente). E tuttavia possiamo farlo, perché sappiamo ben coniugare umanità e cultura, ovvero il senso della solidarietà (l’algerina Nacéra Benali, impegnata in prima persona, cita Lampedusa) che si fa punto di riferimento mondiale (la Comunità di Sant’Egidio vista dalla romena Mihaela Iordache) e un discorso di ampio respiro, come il cinema (la colombiana Carmen Cordoba, innamorata dei film di Sorrentino, Garrone, Virzì) o la pittura (la polacca Agnieszka Zakrzewicz parla di arte concettuale, in particolare il medialismo). Ma, per tornare ad essere un paese di punta, bisogna riscoprire quella creatività insita nel nostro Dna e soffocata dalla burocrazia, come sottolinea il tedesco Udo Gumpel.
La politica ha un’importanza primaria e il francese Richard Heuzé è ottimista, vedendo in Renzi una “rottura con il passato” ed un uomo “determinato, molto intuitivo, rapido, veloce”. Passato che ancora pesa per gli Anni di Piombo e il caso Moro, secondo l’inglese Philip Willan, ma che ha pure una lezione da darci, la “questione morale” di Enrico Berlinguer, come indica il greco Teodoro Andreadis Synghellakis. E allora si può ritrovare una formula comune, la voglia di stare insieme, quella convivialità che magari si respira in una cena con gli amici (l’elogio che ne fa la turca Esma Cakir). Un senso di calma quale viene riverberato dalla bellezza del paesaggio italiano, che ha qualcosa di nobile anche nei suoi aspetti più rudi, con echi ancestrali, come nel caso di “iddu”, Stromboli, la divinità tellurica che ha affascinato lo svedese Peter Loewe, o l’isola rocciosa dei “dammusi”, Pantelleria, nel cuore del danese Jesper Storgaard Jensen. E da tutto questo può forse scaturire un’armonia nuova, che peraltro è intrinseca al carattere italico, formatosi nel culto della Bellezza. “Le parole dell’italiano suonano come una canzone”, dice Hamid Masoumi Nejad, corrispondente per l’Iran, ed ha ragione: torniamo a parlare il nostro vero linguaggio, che è soprattutto un ritmo dell’anima.
E questo è “Il bello dell’Italia”, 25 testimonianze che hanno un sapore quasi antropologico, raccolte dal collega Maarten van Aalderen che è innamorato del nostro paese e vuol restituirci quell’amore per farci tornare a volare (e Icaro in copertina è chiaramente allusivo). “Sono convinto che chi non vede nulla di buono in Italia deve cambiare occhiali, oppure Paese”, scrive. Ha perfettamente ragione, cominciamo noi ad usare gli occhiali giusti.
“Il bello dell’Italia”, di Maarten van Aalderen
Albeggi ed. pagg.150, euro 15.
info. www.albeggiedizioni.com.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 23 febbraio 2015.il17 maggio 2015.
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