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I marmi di Rodin

 01 iL BACIO a

“Rodin. Il marmo, la vita” 

Terme di Diocleziano fino al 25 maggio

 “Il bacio”, naturalmente, quell’opera squisita che viene subito in mente quando si fa il nome di Rodin, il suo capolavoro nonché punto miliare della scultura fine ‘800. Una calda quanto serena sensualità si irradia dal marmo che racchiude le figure dei due amanti, arioso simulacro di carne nelle cui pieghe traspaiono modelli ben definiti. E’ la lezione dei classici, appresa da Rodin durante i suoi soggiorni in Italia, dalla statuaria romana a Donatello e Bernini ma, in particolare, Michelangelo. Ed è questo, in un certo senso, il nume tutelare, presente in tutto l’arco della sua copiosa produzione artistica. Una parte di questa, sessanta opere, è fruibile oggi alle Terme di Diocleziano: “Rodin. Il marmo, la vita”.

  L’inizio è decisamente classico, “L’uomo dal naso rotto”, che rimanda a stilèmi greco-romani ma anche al grande maestro toscano, poi ci sono una serie di deliziosi busti nei canoni stilistici del Secondo Impero (“Madame Roll”, per esempio) e, improvvisa, la rivelazione. Il marmo si fa carne, diventa corpo e anima, si trasfonde nel soggetto, ma forma e materia dialogano in maniera assolutamente anomala. La raffigurazione di Diana, le varie versioni di Amore e Psiche, “Aurora e Titone”, “La morte di Adone”  e i temi mitologici in genere sono come immagini di una narrazione in corso. Ed è  il senso di non-finito che si genera nella fusione fra la figura ed il marmo che la imprigiona, l’una scaturisce dall’altra, non v’è cesura fra contenente (il marmo) ed il contenuto (la figura), bensì continuità.

05 ILLUSIONE SORELLA DI ICARO

  Ciò appare evidente in opere come “Orfeo e le Menadi”, “Paolo e Francesca”e quel capolavoro che è “La mano di Dio”, con Adamo ed Eva che sbocciano dal marmo. Ecco il punto, Rodin non cerca l’illusione della scultura come fatto compiuto in sé, totalmente altro dalla materia dalla quale scaturisce, anzi, lui resta ancorato al processo creativo. Questo “è” marmo anche se imita la vita e come tale bisogna leggerlo, pur nella trasfigurazione artistica, quindi una visione concettuale della scultura del tutto inedita, perché rompe con gli schemi neoclassici dell’epoca. E se Michelangelo è il nume tutelare (il non-finito di “Prigioni”) la “Divina Commedia” di Dante funge un po’ da basso continuo, per quel perenne vorticare delle figure umane. Così, oltre al già citato “Paolo e Francesca”, “Illusione sorella di Icaro”, “Le benedizioni” e rappresentazioni più complesse (v’era in progetto “La porta dell’Inferno”, solo in parte attuato). Ma è inevitabile pensare anche ad un contemporaneo di Rodin, Medardo Rosso, per certe analogie con il suo stile impressionista.

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   E, costante, quello sgorgare dell’essere dal marmo, quasi una sua concrezione, vedi “La convalescente” , “Fugit amor”, “Madre e figlia morente”, il singolare “La donna-pesce”, fino ai ritratti, il volto di Victor Hugo, la compagna Rose Beuret, Pierre Puvis de Chavannes. V’è un che di profondamente arcaico in tutto ciò, un senso panico ai limiti del religioso, il marmo è la Madre Terra che custodisce i suoi figli, l’alfa e l’omega e, fra i due estremi, l’eros come energia primaria della vita (forse il Nostro subì in qualche modo l’influenza della corrente spiritualista francese o del pensiero teosofico allora in auge in Europa). E Rodin ne ricavò “pesanti grappoli di figure dove la dolcezza del peccato saliva alle radici del dolore”, come scrive Rainer Maria Rilke nel suo libro-omaggio al grande scultore parigino.

 

“Rodin. Il marmo, la vita” alle Terme di Diocleziano fino al 25 maggio. Ore 9,30-19, chiuso il lunedì. Biglietto euro 10, ridotto 8.

Per informazioni 06.39967700 e www.mostrarodin.it

Su you tube v’è un filmato del 1915 che mostra Rodin nel suo atelier

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