I Marchini, arte e politica.
I Marchini, arte e politica
di Antonio Mazza
Alvaro Marchini, nome di spicco nella Roma anni ’60 e ’70, imprenditore edile ma anche uomo impegnato politicamente e, soprattutto, persona di raffinata cultura. Un’umanista che già nel dopoguerra aveva dato un forte impulso alla rinascita spirituale del paese, dopo gli anni di omologazione imposti dalla dittatura, un percorso culminato nel 1959, con l’apertura di una storica galleria d’arte, “La Nuova Pesa”. La sua passione per il collezionismo e la sua vivacità intellettuale ne fecero un luogo d’incontro che, in poco tempo, assurse a punto di riferimento della Roma anni ’60, ricca di fermenti culturali. E così Alvaro Marchini, ex comandante partigiano, decorato con medaglia d’argento al valore militare insieme al fratello Alfio, che nel 1944 aveva partecipato alla costituzione dell’Unità, organo del Partito Comunista, al quale aveva donato il palazzo di Botteghe Oscure, amico di artisti, presidente della squadra sportiva della Roma, personaggio lodato ma anche criticato per la sua attività nel campo edile, negli anni ha costruito la sua leggenda poi ripresa dalle figlie Simona e Carla ed ora rievocata in una densa mostra a Palazzo Carpegna, “Una storia nell’arte. I Marchini tra impegno e passione”.
Qui, a pochi passi da Fontana di Trevi, ha sede la storica Accademia di San Luca che, fondata nel 1593 da Federico Zuccari, era un tempo in un edificio annesso alla chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro Romano, poi demolito negli anni ’30. L’elegante palazzo seicentesco, ristrutturato dal Borromini e poi, nuovamente, negli anni ’30 dello scorso secolo, ospita l’Accademia ed una pregevole raccolta di opere d’arte, soprattutto quadri ma anche sculture e disegni, lasciti degli allievi e di quanti l’hanno frequentata nel corso degli anni. Opere anche ragguardevoli firmate da Raffaello, Rubens, Bronzino, Piranesi, Salvator Rosa ed in tale contesto è inserita la collezione Marchini che, interamente concentrata sulla pittura italiana e non del ‘900, ha così impostato uno stimolante dialogo fra passato e presente. Che è diviso in capitoli e “Tra Italia e Francia. Le vie di una collezione” introduce subito il tema con opere notevoli, come “Villa Romana”, di Giorgio De Chirico, smagliante e con un che di epico, il delicato “Dittico di Villa Borghese” e il più corposo “Ritratto di Ettore Roesler Franz”, di Giacomo balla, entrambi di sapore divisionista, il fantasmagorico “L’isola dei giocattoli”, di Alberto Savinio, il morbido sentore di “Ragazzo sulla spiaggia” e “Piumini sulla spiaggia”, di Filippo De Pisis.
Ottimo inizio, confermato dalla sala successiva, “Parigi. Il centro dell’arte”, con una scultura del Bernini e poi quadri di Van Dyck, Bronzino, Rubens, il Piazzetta ed altri frammisti ad opere cubiste e surrealiste, fra le quali risaltano “Acquarium”, intensa composizione di Georges Bracque, il geometrico “Nature morte”, di Fernand Léger (autore, nel 1925, di “Ballet mécanique”, film d’avanguardia), le magiche suggestioni di “La science des reves” e le sinuosità di “L’amour” di René Magritte, un frammento di storia con “Veduta dell’internée camp”, di Ardengo Soffici (accusato di collaborazionismo e poi prosciolto). E si prosegue con “Vedute e visioni. Il paesaggio tra classicismo e veduta interiore” significativamente ospitato nella Sala del Paesaggio, con Salvator Rosa, van Wittel, Piranesi. Ed ecco la Roma ancora un po’ provinciale della prima metà del ‘900 comparire nei quadri di Mario Mafai (“Demolizioni”, 1937, “Paesaggio romano”, 1947), Carlo Socrate (“Piazzale Flaminio”, 1947), Francesco Trombadori (“Piazza del Popolo”, 1955), mentre una vena più popolaresca è in quelli di Corrado Cagli (un acceso “Suonatore di piffero”) e Fausto Pirandello (la vena di tristezza de “I sassi”).
“La realtà della storia. Nuda Veritas” e v’è un che di brutale nel raffronto tra il delizioso putto di Raffaello e “Fucilazione dei patrioti”, il dramma della guerra nei toni arsi di Renato Guttuso. Ma nel successivo “Tra cielo e terra. Vite silenti”, torna la quiete con l’intimismo morandiano (“Natura morta” in varie versioni) e il gusto fra etereo e astratto di Osvaldo Licini (“Nudo di schiena”, “Amalasunta su sfondo celeste”). Più deciso “L’artista e i suoi modelli. Temi, soggetti, rispecchiamenti”, con “Il generale”, drammatico bronzo di Manzù, l’accattivante realismo magico di Antonio Donghi (“Autoritratto”, “Bagnante”), le vivaci tonalità espressioniste di Carlo Levi (un rude “Carrubo roccia foresta” e un singolare “Autoritratto verde”, simpaticamente inserito fra i ritratti di coloro che, nel tempo, si sono avvicendati nell’Accademia). E ora, con “Una storia. Per immagini”, si va verso i nuovi capitoli della saga dei Marchini, narrata nei passaggi fotografici disposti lungo la magnifica rampa elicoidale del Borromini, un tempo percorsa anche dai muli che portavano il materiale alle stanze superiori.
Quella saga già descritta ad inizio articolo e che rischiò di arenarsi nella dicotomia fra militanza politica e frenetica attività edilizia (i detrattori parlavano di “calce e martello” e, consapevole della contraddizione nella quale viveva, Alvaro Marchini scrisse “Comunista o capitalista”. Qui è esposta una copia). Nel Salone d’Onore, insieme a disegni e quadri di nomi importanti dell’Espressionismo, come George Grosz, con la sua grottesca satira della Kasta (serie “I banditi”), e Otto Dix, con il suo segno tragico (“Studio per vecchia seduta” e lo struggente “Paesaggio di Hegau”), opere del tempo della “La Nuova Pesa”, firmate, fra gli altri, da Renzo Vespignani (i toni foschi di “Delitto”), Franco Mulas (“Nous sommes tous indésirables”, immagine iconica del ’68), Cesare Tacchi (un curioso e un po’ esotico “Ritratto di Simona”, una delle figlie di Alvaro Marchini, attrice, nota al grosso pubblico soprattutto per “Quelli della notte”, mitica trasmissione di Renzo Arbore). E, scendendo per la rampa, altre opere ma della nuova “Nuova Pesa”, inaugurata nel 1985 con la direzione di Simona Marchini dopo la chiusura di quella gestita dal padre nel 1976. Come, ad esempio, “Vas physiognomicum Simona Marchini”, di Luca Patella, dal tocco quasi esoterico o “Interno con funzioni straordinarie”, di Salvo, con le sue suggestioni medioevali). Il percorso si conclude nel portico del Borromini e nelle sale espositive (cito l’ironia allegorica di H.H.Lim, “Senza titolo” e le poetiche astrazioni di Toti Scialoja, “Per la piccola frase”), un percorso ricco di oltre 130 opere che, insieme alla sua profonda valenza artistica, racchiude in sé il ritratto di una famiglia e della sua forte impronta nella vita culturale romana.
“Una storia nell’arte. I Marchini tra impegno e passione”, Palazzo Carpegna, Accademia Nazionale di San Luca (nella piazza omonima), fino al 22 aprile, da martedì a sabato, ingresso libero, solo con prenotazione. Per informazioni 066798850 e www.accademiasanluca.it. La mostra è a cura di Fabio Benzi, Arnaldo Colasanti, Flavia Matitti e Italo Tomassoni con il coordinamento di Gianni Dessì che l’ha allestita insieme a Francesco Cellini.
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