Durante lo struscio – intellettuale – al Viale, negli ultimi giorni Gigino era apparso talvolta distratto. In specie quando i tre si spingevano fino agli ultimi palazzi della strada, sembrava estraniarsi dalle dotte dissertazioni comuni e guardava di soppiatto verso le persiane dei primi piani. Franco e Carmelo le prime volte non dissero nulla. Ma qualche giorno dopo Carmelo, all’ennesima risposta a pera di Gigino, che aveva citato il mito della caverna di Platone e la necessità del sogno, mentre il tema del giorno era l’irruzione dell’uomo-massa nella sociologia del primo novecento, sentenziò, rivolto all’amico: << Il sogno, il sogno! Bionda ci cova !>>. Gigino in effetti da qualche tempo aveva adocchiato una fanciulla alla finestra di un rez-de-chaussez, che si affacciava frequentemente per distrarsi col via vai dei passanti. Ed era rimasto come folgorato. Nello stretto intimo del suo animo, beninteso, come sempre con i sentimenti. Una domenica pomeriggio Carmelo, non trovandolo a casa, era andato in zona, ed aveva scorto Gigino fermo, immobile davanti a quella casa. Si era fermato a distanza di sicurezza e per lunghi minuti l’amico era rimasto lì, come in trance. Aveva fatto un giretto ed era tornato dopo mezz’ora, ma la scena era sempre la stessa. << Bih, cosa seria è!>> si era detto. Ma non aveva riferito la circostanza a nessuno, sperando in una pronta guarigione dell’amico. Oltretutto, la fanciulla era effettivamente carina, con una coda di cavallo bionda e due occhioni verdi, mentre Gigino, meschino… Ma la settimana seguente lo sguardo sempre più assente di Gigino convinse Carmelo ad affrontarlo, da solo a solo. Gigino, di fronte alla circostanziata contestazione, dovette ammettere tutto: il colpo di fulmine, il rincoglionimento conseguente, la difficoltà di un approccio, sia pur minimo. Ma pregò la massima riservatezza. Il giorno dopo a fare la posta davanti alla finestra erano in due. Due giorni dopo erano in tre: mica si è amici per niente.
Decisero di vedere se usciva. Ma dopo due ore nulla era accaduto e il terzetto si sciolse, senza la consueta discussione accademica. A quasi una settimana dal primo appostamento, con Gigino sempre più tirato e gli altri, ormai al completo per l’arrivo in squadra di Saro, sempre più insofferenti, un venerdì pomeriggio, quasi al tramonto, accadde il fatto. La luce della finestra che veniva attentamente monitorata si spense. Due minuti dopo una ciocca di capelli biondi ondeggianti si stagliò nel vano del portone ed imboccò con piglio deciso il marciapiede. Gigino, in ansia come un pistard in surplace sulla bici, impallidì e non si mosse. Gli altri compresero in un lampo che era questione di secondi: trascinarono a mò di volano l’amico intronato, dandogli un bell’abbrivio. Gigino si portò all’altezza della fanciulla, e riuscì a pronunciare: <<Signorina, signorina !>>. Si guadagnò unicamente uno sguardo distaccato e insofferente, e senza profferire parola Liliana scomparve velocemente nella traversa, prima che il disturbatore potesse elucubrare un qualche intervento suppletivo. E Gigino desistette. << Signorina, signorina !>>, sghignazzava Saro, mentre lo raggiungevano. Più clementi gli altri due: << Un po’ di scatto fisico, un po’ d’inventiva, niente ah!>>. << Ma come dobbiamo fare con te ?>>.
La serata si concluse nel mutismo più assoluto del pretendente respinto, che venne sostenuto a braccia fino a casa e consegnato al padre: << Lo tenga d’occhio, signor Magliulo, che malato è !>> gli raccomandarono i tre. << Malato, come malato, come al solito o peggio ?>> . << Malatissimo, malatissimo. Glielo spiegherà lui ! Noi andiamo che è meglio. Salutiamo.>> <<Mannaggia, sempre problemi ‘sto guaglione !>> sbottò in partenopeo, dialetto usato a casa Magliulo solo in casi emergenziali. << ora vidimme che s’a dda fa’. Buona serata e grazie!>>.
Il giorno dopo donna Rosa, convocata d’urgenza, saliva le scale, da lei ben conosciute, che conducevano all’appartamento dei Magliulo. L’attendeva una fiala col supplemento di cura ricostituente e mentre massaggiava lo scarno deretano, pensava a quante volte era intervenuta sul ragazzo. E non sarebbe stata l’ultima, lo sapevano tutti.
I tre amiconi tennero una riunione d’emergenza. Un ulteriore sostegno nel tentativo di Gigino era impensabile, a maggior ragione dopo il fallimento serotino. Come si faceva a convincere una ragazza, che già al primo impatto sembrava orgogliosa e decisa, a dare anche un minimo di ascolto a un pretendente così svantaggiato e pavido nei confronti dell’altro sesso ? Saro propose la via alternativa, quella dell’ironia e dello sfottò, anche sferzante, ma che servisse alla guarigione dell’innamorato a senso unico. Gli altri due, non trovando di meglio, acconsentirono, anche se a malincuore perché temevano nell’immediato un contraccolpo nell’animo di Gigino, che si sarebbe, come al solito, immediatamente trasferito nel fisico già provato (e già predisposto di suo).
<< Ci vuole un professionista del ramo. Ci penso io >>, concluse d’autorità Saro, di fronte ai visi perplessi di Carmelo e Franco.
L’indomani Saro percorreva lentamente la via Etnea nel tratto più affollato tra piazza Stesicoro e la Villa, alla ricerca del suo uomo. << Ora ora nisciu, è al lavoro per un incarico ddelicatissimo >> gli disse ammiccando con un sogghignò il commesso del bar Cantarella. << Fra poco sarà qua, se non gli rompono prima le corna >>. Alla terza pastarella consumata nell’attesa, Saro vide entrare un ometto di mezza età con baffetti di mezza evidenza, che si fregava giulivo le mani. << Lasciarono niente per me ? >>. <<Sì, Pippo, caffè e cannolo pagati. Poi c’è ‘stu signore che ti cerca>>. Pippo Pernacchia avanzò verso il presumibile nuovo cliente gratificandolo con il suo sguardo tra il bovino e l’ebete. La sua attività, per quello che mezza Catania sapeva, era di fare pernacchie a pagamento. La sua emissione sonora era secca e perentoria, e perciò Pippo veniva ingaggiato, oltre che per piccoli scherzi goliardici, anche per missioni “serie”, di quelle cioè per vendetta o per intimidazione. Che erano anche le più rischiose, sebbene la cronaca locale, quella che si crea, a volte si inventa, e poi si consolida nei bar e nelle comitive di nullafacenti di una determinata zona della città, non registrò in quegli anni nessuna conseguenza seria a carico del personaggio.
<< C’è lavoro per te>>, esordì Saro senza convenevoli. Lo prese sotto braccio, lo trascinò fuori e gli parlò fitto per alcuni minuti. << Tremila lire per la bisogna>>, azzardò Pippo dopo aver esaminato il caso. <<Devo pure parlare !>> << Duemila abbastano>>, concluse Saro mostrandogli la metà del guiderdone, su cui si fissò lo sguardo cupido dell’interlocutore. E prima di lasciarlo gli fece un ripasso: << Allora devi dire: “ La signorina …..>> e il bisbiglio si perdette nei rumori del traffico veicolare e delle chiacchiere dei numerosi avventori del salotto di Catania. << Mi raccomando, alle dieci puntuale!>>
(Selezione dei brani dal libro di F. Romeo, CATANEIDE, Città del Sole Edizioni, a cura di Enzo Movilia)
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