Nel 2013 Musicaimmagine istituì le “giornate carissimiane”, per celebrare un grande musicista che, nella Roma del ‘600, strutturò e perfezionò la forma dell’oratorio aprendo la strada ai maestri del secolo successivo (Bach, Haendel). Un grande, appunto, al quale sono stati dedicati una giornata di studi e due concerti e, nel mezzo, una visita ai luoghi dove egli esercitò la sua arte.
Dopo l’interessante sessione di studi svoltasi nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra, nel corso della quale è stata presentata la prima edizione italiana dell’ “Ars cantandi”, trattato teorico a firma di Carissimi, la visita allo splendido e poco noto Oratorio del SS.Crocifisso. Oltre alla Basilica di Sant’Apollinare, allora dipendente dal Collegium Germanicum, dove Carissimi svolgeva il ruolo di Maestro di cappella, era il luogo prediletto per i concerti. Diciamo anzi che il Crocifisso è la culla dell’oratorio latino, poiché qui prese corpo e si sviluppò un interessante discorso che, partendo dalla lauda filippina e dal mottetto, offriva soluzioni polifoniche assolutamente inedite.
E in Sant’Apollinare dall’Ensemble Seicentonovecento diretto da Flavio Colusso viene eseguita quella che, erroneamente, è considerata un’opera minore di Carissimi, l’ “Oratorio della SS.ma Vergine”, a sei voci, archi e basso continuo. Tutt’altro e già lo si avverte dalle prime battute, l’introduzione strumentale, dolce e serena, come le arie che seguono, in particolare quella a due voci iniziale, di fine tessitura. E così l’oratorio nel suo dispiegarsi, una tenerezza e tenuità di toni che ben esprime il significato del culto mariano affermatosi dopo il Concilio di Trento, “Mater Ecclesiae”, per superare vecchie dispute teologiche (macolisti ed immacolisti).
Anche il libretto di Francesco Balducci, poeta siciliano seguace di Giovanni Battista Marino, si colloca in quest’ottica, ponendo la Vergine al centro della scena, latrice di un messaggio nuovo. In effetti, al suo apparire, si effonde come un’aura di mistero, “Chi è costei, cui l’Universo inchina come Reina?”. Poi tutto si chiarisce, lo stupore è al colmo, “Ahi, che miri alma mia, ella è Maria”, e il messaggio d’amore si sparge intorno dissolvendo la nebbia dell’ignoranza e dell’indifferenza. Inizia una nuova stagione: “Notte mai non è sì nera ch’alla fine non habbia Aurora; dopo il verno i prati in fior l’odorata primavera”.
Un testo la cui limpidezza poetica si rispecchia nella struttura stessa dell’oratorio, sia nelle musiche che nell’ordito polifonico. Le arie sono come intrise di una fragranza particolare, esprimendo così la meraviglia innanzi al prodigio dell’apparizione sulla “cerulea nube”. Qui è l’arte di Carissimi, aver tradotto in una finissima scrittura musicale i momenti di un incontro mistico, con semplicità, senza alcuna inflessione retorica. E così le arie ad una o più voci si sviluppano su un timbro meditativo che l’accompagnamento degli archi sottolinea ed esalta, sino al “tutti” conclusivo, un’efflorescenza melodica che davvero interpreta il senso del messaggio mariano, “l’odorata primavera”.
Il clima di esercizio spirituale si rinnova nel concerto di Villa Lante, “I naviganti del tempo”, dove un organico ridotto propone mottetti e cantate di Carissimi e composizioni di Flavio Colusso. Apre, a sorpresa, quello che possiamo definire un proto oratorio, la “Rappresentazione di anima et di corpo”, di Emilio de’Cavalieri, sul tema della “vanitas”. Seguono i brani di Carissimi, con le voci che s’intrecciano in disegni dai colori ora soffici, come nel raccolto “Militia est vita hominis”, ora più vivaci, come nel delizioso “Omnes gentes”. Splendido “Quis est hic vir beatissimus”, in forma di oratorio, dove il dialogato e le arie creano un clima rarefatto, di dolce raccoglimento.
Un salto di tre secoli ed ecco l’esercizio spirituale secondo Flavio Colusso, ben rappresentato nell’ascensionalità di “Finitum Producit Infinitum”, per Piano & Forte e soprattutto “Nun”, per voci e organo, alla ricerca della vibrazione segreta che si cela nelle latebre dell’anima. Viene poi riproposto un brano dall’opera “Il Lauro del Gianicolo: morte di Riccardo Wagner a Venezia”, eseguita a Villa Torlonia, “Ora che il disegno dell’opera è concluso”, intriso di turgori dannunziani (“Il fuoco”). Notevoli poi “I’ mi son giovinetta” e “Ch’io non t’ami cor mio?”, madrigali ferraresi del XVI secolo scritti da Giovan Battista Guarini (“Il pastor fido”). Voci, voci in echo e strumenti, con un che di morbidamente stilizzato.
L’organico dell’Ensemble Seicentonovecento: Elena Cecchi Fedi, soprano, Maria Chiara Chizzoni, soprano, Arianna Miceli, soprano, Antonio Giovannini, alto, Riccardo Pisani, tenore, Walter Testolin, basso, Silvia De Palma, voce in echo, Valerio losito, violino, Paolo Perrone, violino, Matteo Scarpelli, violoncello, Andrea Coen, organo, Flavio Colusso, direttore al cembalo. Un ottimo complesso che sta facendo conoscere nel suo giusto valore un musicista che Ottavio Pitoni definiva “assai nobile nel tratto de’ costumi con gli amici ed altri”.
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