Garibaldini, Pontifici e l’Arcangelo San Michele
Garibaldini, Pontifici e l’Arcangelo San Michele
di Antonio Mazza
Vallecorsa, piccolo centro del Frusinate alle falde dei Monti Ausoni, famoso per le sue “macére”, terrazzamenti realizzati con muretti a secco che le hanno meritato, nel 2011, l’inserimento nel “Catalogo Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici”. Un paese con una storia antica, che risale al tempo dei Volsci, colpito duramente nella seconda guerra mondiale (era sulla direttrice della Linea Gustav), ma anche un paese che può vantare due santi, Gaspare Del Bufalo e Maria De Mattias. E un miracolo avvenuto il 15 ottobre 1867, quando una colonna di garibaldini si scontrò con le truppe pontificie presenti a Vallecorsa e l’intervento dell’Arcangelo San Michele, patrono del paese, determinò l’esito della battaglia a favore dei papalini. Un evento miracoloso testimoniato da entrambe le parti (“Voi avete un Gran Santo Protettore. Noi l’abbiamo veduto a Porta Nuova”, dichiarava un garibaldino fatto prigioniero) al quale nel 2011 uno studioso locale dedicò un agile volumetto, “Battaglie e prodigi nella resistenza pontificia del 1867”. E ora Vittorio Ricci, che ha al suo attivo saggi di notevole spessore storico, come “La Monarchia Cattolica nel governo degli stati italiani”, torna sul tema ampliandolo con materiale finora inedito, frutto di un’attenta ricerca. E “Il Sacro nella Storia”, il particolare che si universalizza, come suggerisce il sottotitolo, “Fatti e prodigi del 1867 nell’invasione garibaldina del Lazio”.
La Terza Guerra d’Indipendenza si è conclusa da poco, il nascente stato italiano ha allargato i suoi confini ma risulta ancora irrisolta la Questione Romana. Lo stato della Chiesa è ormai ridotto al solo Lazio e qui, nel 1867, iniziano le infiltrazioni di bande garibaldine ed una di queste, comandate dal generale Nicotera (già a Roma nei tragici giorni del ’49), attacca Vallecorsa, trovando però forte resistenza non solo da parte dei pontifici ma anche da parte della popolazione, devota a Pio IX. Inizia la battaglia che però volge presto a sfavore dei garibaldini che perdono molti uomini, altri sono fatti prigionieri e quelli feriti vengono curati da una pia donna, Paola Mandatari Sacchetti che in loro non vede nemici ma solo esseri umani: “la sua carità ardente li presentava come anime salvate da Gesù”, come scrive Don Valeriano Ferracci, il parroco della chiesa di Sant’Arcangelo in Vallecorsa. Nicotera è costretto al ritiro (poi, come deputato della Sinistra, dovrà giustificare il suo operato alla Camera) e per i garibaldini questo significa una bruciante sconfitta, ma ben peggiore sarà quella di qualche mese dopo, a Mentana, ad opera degli zuavi pontifici e delle truppe francesi (con i famosi “chassepots”).
Rispetto alla prima stesura, il libro si è arricchito di una folta documentazione, a cominciare da “Garibaldini a Vallecorsa” (1891) di Antonio Martini, reduce che definisce la popolazione di Valecorsa “fanatica e retrograda”, supportata dalle “orde mercenarie papali o masnade pontificie”. E un altro testo non meno significativo, “A proposito di una pagina inedita del Martirologio romano” (1891) di Giuseppe Legrenzi, anche lui ex garibaldino ed anche lui critico nei riguardi dei vallecorsani, che, dopo il 1870 nominato segretario del comune, cerca di dare degna sepoltura ai caduti sparsi per le campagne. Lo fa nell’indifferenza generale, così che “fu finalmente vendicata l’onta recata agli avanzi mortali di que’ prodi per opera del Governo teocratico”. Da sottolineare anche la riproduzione della copia anastatica della “Relazione dei due fatti d’arme combattuti in Vallecorsa”, di Giuseppe Migliori ed altri, purtroppo non l’originale del 1867, andato disperso, ma la sua fotocopia. E, ancora, risulta più incisivo il capitolo relativo a “Considerazioni sulla battaglia di Vallecorsa”, con i nomi dei caduti e dei prigionieri nonché testimonianze e scritti a riguardo. Ma il passaggio più importante, un po’ il cuore del libro, è quello relativo al “miracolo”, il fatto contingente che l’A. dilata nel suo significato fino a farne emblema de “Il Sacro nella Storia”.
Tema peraltro molto delicato, perché si può sconfinare nella deriva bigotta come in quella ateo negazionista. Ma anche a restare nel mezzo non è facile, considerato che la storia del nostro paese è affollata di apparizioni, miracoli, veggenti, soprattutto nel passato. L’A. cita i fatti del 1796, quando le Madonne di tutto lo Stato della Chiesa roteavano gli occhi dacché la “peste” giacobina (e anticlericale) stava dilagando in Italia dopo l’invasione napoleonica. Per Vallecorsa v’è una dettagliata relazione con riferimento al patrono, San Michele Arcangelo, e tanto di testimonianza scritta da una pia donna (pagg.101-3). Suggestione collettiva o altro gli eventi miracolosi sono da interpretarsi in chiave antropologica, di “pietas” popolare, e qui subentra il concetto di “fede”, un discorso che porta molto lontano. Come lontano, a ritroso nel tempo conduce “Il Sacro nella Storia”, oltre il doppio di pagine del saggio del 2011, scritte con un linguaggio affatto pedante, come spesso è quello degli storici, bensì di pronta e gradevole lettura. D’altronde Ricci è docente di matematica, quindi ha la simmetria nel suo dna e questo suo ultimo lavoro ne è la piena conferma.
“Il Sacro nella Storia – Fatti e prodigi del 1867 nell’invasione garibaldina del Lazio2, di Vittorio Ricci, pagg.230, euro 12,00.
Vittorio Ricci con altri docenti e alunni
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