Felice e gli Etruschi
Felice e gli Etruschi
di Antonio Mazza
Sono pochi i visitatori di quello splendido gioiello architettonico del Rinascimento romano che è Villa Giulia a chiedersi chi sia quel Felice Barnabei il cui busto in bronzo figura accanto alla ricostruzione in scala del tempio etrusco-italico di Alatri. Eppure, ad approfondire, si scopre che è stato un uomo di raffinata cultura al quale siamo debitori per aver difeso e rivalutato il nostro patrimonio storico-artistico in un periodo nel quale ben poco si faceva per conservare le memorie del passato. Siamo sul finire dell’800, quando dall’ancora vergine campagna romana e da altre zone della penisola emergevano reperti che possidenti locali e contadini svendevano per poche lire (per non parlare dei tombaroli). E fu lui, Felice Barnabei, nella sua qualità di responsabile delle Antichità e Belle Arti a fermare il saccheggio, dando regole precise, con lo scopo di creare un Museo Nazionale Romano (le prime sedi furono il chiostro michelangiolesco delle terme di Diocleziano e la Villa di papa Giulio III, come sottolinea Valentino Nizzo, direttore del Museo Etrusco di Villa Giulia).
Un illuminato, dunque, come si può dedurre visitando la nostra a lui dedicata a cent’anni dalla morte, “Felice Barnabei, gocce di memorie private”, nella Sala dei 7 Colli del Museo che proprio lui ha fondato. Amore per gli Etruschi ma non solo, le sue passioni riguardando anche la ceramica (era natìo di Castelli, borgo abruzzese famoso per le sue maioliche), il disegno e, naturalmente, il mondo antico. Una personalità eclettica il cui profilo emerge grazie al lascito dei suoi discendenti, immagini del passato che sono appunto frammenti di memorie private. Ed ecco la sua immagine ad inizio mostra, lui appena diciannovenne, un simpatico “pischello” che già disegna con mano sicura, come dimostra la sua cura nel rappresentare parti anatomiche. In quel tempo, grazie ad un sussidio del governo borbonico, frequentava la scuola di disegno di Pasquale Della Monica a Teramo, presso i Padri Barnabiti.
Il percorso della mostra inizia con un doveroso omaggio a Castelli, importante nella storia della ceramica italiana, raffigurata in un vivace pannello di forex con colori acrilici e finitura di vernice trasparente, opera di Giancarlo Bucci (fu Barnabei a fondare, nel 1906, la Scuola d’arte applicata di ceramica di Castelli). E notevole è anche un altro pannello, pure in colori acrilici ma su pellicola in PVC autoadesiva, che riprende il nutrito albero genealogico della famiglia Barnabei, autori Giampiero Abate e Bianca Maria Scrugli. E, dopo aver ammirato i disegni autografi, restaurati per l’occasione (evidente la propensione per l’archeologia), ecco le vetrine con i reperti antichi (e calchi fatti dallo stesso Felice), una collezione di 81 oggetti donati dalla pronipote Roberta Nicoli Barnabei, raccolta che ha soprattutto un valore documentario. Le culture italiche, in particolare l’area medio-adriatica, questo intrigava molto Barnabei e la sua ricerca aveva spesso esito felice, come nel caso della rara “chatelaine” in mostra. E’ un pendaglio a catena con il corpo centrale in maglie di filo di bronzo e, alle due estremità, un disco in basso e due spirali simmetriche in alto, da cui quella singolare forma ad occhiali.
E poi fibule, un bracciale decorato con doppio motivo a spina di pesce, un gancio di cintura a forma di volatile, un disco traforato con un motivo a croce ed altro materiale che ricorda molto quello scavato nella necropoli di Alfedena. Accanto è la vetrina della ceramica, con lucerne, vasi (notare brocchetta e tazza in ceramica attica a vernice nera), tre notevoli frammenti in ceramica sigillata, “arretina”, da Arezzo, famosa per sua colorazione rosso acceso, con alcuni marchi di fabbrica originali fra i quali spicca quello con inciso il nome di Marcus Perennius (decisamente raro quello circolare in bronzo). In parallelo sono esposti i calchi, il più importante dei quali riproduce il Vaso dei mietitori, scoperto a Creta nel 1902, dove si vede un corteo di mietitori con alla testa un suonatore di sistro. E, come corollario al tutto, circondata dalle foto di famiglia, una statuetta in ceramica che raffigura Felice Barnabei in forma di salvadanaio (su prestito del pronipote Peppino Scarselli mentre le foto sono del pronipote Alfredo Celli). E’ una gustosa caricatura realizzata dallo stesso Barnabei, che allude all’abitudine parentale di bussare a soldi, come si suol dire, della quale, essendo lui un personaggio “importante”, era la vittima predestinata.
“Felice Barnabei. Gocce di memorie private” al Museo Etrusco di Villa Giulia fino al 10 ottobre. Da martedì a domenica h.9-20, visita compresa nel prezzo del biglietto (euro 10, ridotto 2). Per informazioni www.museoetru.it . La mostra è a cura di Maria Paola Guidobaldi con il contributo alla progettazione di Antonietta Simonelli, Miriam Lamonaca, Vittoria Lecce e Angela Laganà. I disegni autografi sono stati donati da Lucia, Guido, Maria Angelina, Francesca e Caterina Fiegna, pronipoti di Caterina, sorella di Felice Barnabei. Da citare anche il video di Mauro Benedetti che si propone come una sintesi della vita di Barnabei e della sua meritoria attività di ricercatore e conservatore.
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