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Donne e pennello

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                                                       Donne e pennello

di Antonio Mazza

  E’ vero, dobbiamo ammettere che, quando parliamo di presenza femminile nella pittura italiana del passato, non ne sappiamo molto. E’ dal 1800 e poi in crescendo che emergono figure delle quali si ha conoscenza ma prima, delle donne pittrici dei secoli precedenti, ben poco o nulla ci è giunto. E’ un vuoto le cui cause sono legate ai tempi storici, dove la donna aveva sempre un ruolo subalterno ed era difficile emergere e tuttavia non poche ci sono riuscite (nelle sue “Vite” il Vasari cita madonna Properzia De’Rossi, scultrice bolognese, ammirata da papa Clemente VII e suor Plautilla Nelli, che realizzò opere notevoli nel convento di Santa Caterina da Siena a Firenze). Un vuoto nel quale distinguiamo alcune figure, ben note, Sofonisba Anguissola, Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana, Rosalba Carriera (ed altre ritrovate di recente, come Plautilla Bricci, “architettrice”), ma in realtà l’elenco è folto, come risulta da “Roma pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XIX secolo”, la bella mostra a palazzo Braschi a cura di Ilaria Miarelli Mariani e Raffaella Morselli con la collaborazione di Ilaria Arcangeli.

"Allegoria della poesia e della musica" (1629) di Giustiniana Guidotti e "Giuditta e la sua serva con la testa di Oloferne" (1640) di Artemisia Gentileschi.

“Allegoria della poesia e della musica” (1629) di Giustiniana Guidotti e “Giuditta e la sua serva con la testa di Oloferne” (1640) di Artemisia Gentileschi.

  A introdurre il folto percorso delle pittrici (ben 56) due vecchie conoscenze: Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi. Della prima risaltano “Ritratto di giovane nobildonna” e “Autoritratto alla spinetta” (1575), olio su rame, dove dimostra di aver ben appreso la lezione della scuola emiliana e di quella veneziana, della seconda “Cleopatra” (1620), “Aurora” (1635-37) e, naturalmente, “Giuditta e la sua serva con la testa di Oloferne” (1640), di chiaro influsso caravaggesco così come, a fianco, “Allegoria della poesia e della musica” (1629) di Giustiniana Guidotti Borghesi, una delle prime donne ammesse all’esclusiva Accademia di San Luca. Si comincia lentamente a fare breccia nel mondo della pittura al maschile, un cammino a piccoli passi costellato di situazioni stimolanti. Come Claudia Del Bufalo, di certo artista di rilievo in quanto il suo “Ritratto di Faustina Del Bufalo”  (1604) venne acquistato dal cardinale Scipione Borghese. O Anna Stanchi e il suo “Ghirlanda di fiori con venere e Adone” (1647), la cui festosità tutta vegetale non può non far pensare ad un altro pittore, Mario Nuzzi detto Mario de’ Fiori (stesso periodo ed entrambi attivi a Roma).

"Ritratto della figlia" (1792) di Elisabeth Vigée.

“Ritratto della figlia” (1792) di Elisabeth Vigée.

  Degna di nota anche Giovanna Garzi, pittrice barocca apprezzata alla corte dei Savoia e dei Medici, ammessa all’Accademia di San Luca, con il delicato “Autoritratto come Apollo” (1618-20), forse una simbolica rivendicazione al maschile. E il lento cammino prosegue nel XVIII secolo, consentendoci di scoprire pittrici di forte personalità. Come Maria felice Tibaldi, compagna d’arte e di vita di Pierre Subleyras, del quale ripropone con mano felice la “Cena in casa del fariseo” (1748), acquerello su pergamena (non a caso venne acquistato da Benedetto XIV per le collezioni capitoline). O Caterina Cherubini, miniaturista e accademica di merito di San Luca, con una tenera “Madonna col bambino” (1760) per non parlare della più nota Angelika Kauffmann, amica di Goethe (“si nota quanto siano delicati i suoi sentimenti e come ella sia padrona della sua arte”, scriveva nel suo diario romano). Ancora di lei è  “Ritratto di giovinetta in veste di baccante” (1801), di taglio neo classico, e, per restare nel XVIII secolo, da citare il delizioso “Ritratto della figlia” (1792) di Elisabeth Vigée (le Brun), favorita di Maria Antonietta, “Paesaggio con rovine” di Maria Luigia Raggi, monaca suo malgrado, un “capriccio”, genere tipico dei secoli XVI-XVIII. Da ricordare anche Maria Luigia Vaccolini con un’intensa “Maddalena penitente” (1799) da Canova e Laura Piranesi, figlia del più celebre Giovanni Battista, due belle vedute del Colosseo di San Giovanni in Laterano (1775-8).

"La speranza" (1765) di Angelika Kauffmann.

“La speranza” (1765) di Angelika Kauffmann.

  Il cammino nell’800 si fa più spedito, matura una decisa consapevolezza nella pittrice donna, favorita dagli eventi storici (il Risorgimento italiano, le prime rivendicazioni femministe) e artistici (nell’Impressionismo francese le donne pittrici avevano affermato con forza la loro arte, stabilendo così un principio importante). Un esempio di artista emancipata, che operava in Inghilterra per conto della regina, Vittoria è Emma Gaggiotti, qui presente con  “La famiglia Gaggiotti Richards” (1853), dove la sua figura compare nel logo della mostra e la sensuale “Venere” (1867). Dal canto suo Carlotta Cargalli si afferma grazie ad Antonio Canova, passando da toni intimistici, “Ritratto della famiglia Bianchi” (1816), a toni più enfatici, in chiave storica “Pirro che minaccia di uccidere Astianatte” (1825). E storia, il nostro Risorgimento, è pure presente, come allegoria, in “Le donne genovesi offrono le loro gioie per la Crociata” (1840) di Camilla Guiscardi Gandolfi, e in “Emanuele Filiberto mostra l’erede al popolo” (1887) di Erminia De Sanctis modella per il sobrio “La modestia” (1887) del marito Guglielmo.

"Ritratto della famiglia Bianchi" (1818) di Carlotta Cargalli.

“Ritratto della famiglia Bianchi” (1818) di Carlotta Cargalli.

  Altri nomi di pittrici da riscoprire, Matilde Meoni, professoressa accademica di merito all’Accademia di San Luca, con “Fanciulla alla finestra” (1825), Amalia De Angelis, di precoce talento, ancora adolescente nominata virtuosa di merito dell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon (“Autoritratto”, 1845), Virginia Barlocci, figlia del pittore Cesare Mariani, anch’essa fra i Virtuosi, con lo splendido “Fanciulla che offre fiori in abito pompeiano” (1884), un inno alla gioventù. Né viene dimenticato l’apporto delle artiste non italiane che sono approdate nel nostro paese lasciandovi testimonianza, come Hortence Lescot, “Il piccolo mendicante” (1808-9), Louise Seidler, famosa alla corte di Weimar, “Ritratto di Dorothea Denecke Von Ramdohr con la figlia Lilli” (1819) e “Ritratto di Fanny Caspers” (1819), nelle tonalità della pittura nazarena, Charlotte Bonaparte, nipote di Napoleone, donna di raffinata cultura, “Ritratto di Zenaide Bonaparte” (1825), la sorella insieme alla quale figura in un bel dipinto di Jacques-Louis David,  Jane Benham, preraffaellita, “Figura maschile in abito settecentesco” (1860).

"Venere" (1867) di Emma Gaggiotti.

“Venere” (1867) di Emma Gaggiotti.

  Il cammino si arresta alla fine del XIX secolo ma ormai le pittrici donne italiane stanno acquistando una loro identità che prenderà definitivamente corpo nel ‘900, come protagoniste (il Futurismo, la Scuola di via Cavour) o organizzatrici d’arte (Margherita Sarfatti e il gruppo di “Novecento”). La strada è tracciata, anche se gli intoppi di tipo maschilista non mancano e tuttavia la figura di donna pittrice è ormai una realtà e l’ultima sala della mostra in questo senso ha un che di simbolico.  Plautilla Bricci, la famosa “architettrice” (rivisitata di recente alla Galleria Corsini), ovvero una personalità eclettica, a tutto campo: una donna che nell’arte ha realizzato se stessa.

"Fanciulla che offre fiori in abito pompeiano" (1884) di Virginia Barlocci.

“Fanciulla che offre fiori in abito pompeiano” (1884) di Virginia Barlocci.

“Roma pittrice. Artiste al lavoro fra XVI e XIX secolo” a Palazzo Braschi fino al 23 marzo 2025. Da martedì a domenica h.10-19. Biglietto euro 13 intero 11 ridotto. Per informazioni 060608 e www.museodiroma.it

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