Il cognome non l’ho mai saputo ma, forse, nessuno lo ha mai saputo, e se non fosse assurdo mi verrebbe da dire che un cognome neppure lo avesse.
Ma che bisogno aveva, poi, di un cognome se tutti, dico tutti, lo chiamavano “Don Raffaele”, “Don Raffaele nostro”, e qualcuno addirittura “Don” e basta.
Una volta l’ho sentito con le mie orecchie chiamare “Don” dal vice parroco della parrocchia ed ho pensato che lo facesse per celia, per ricambiare il “Don” che a lui spettava di diritto, ma Don Alberto non scherzava affatto e per lui Raffaele il calzolaio era proprio Don Raffaele.
Senza se, senza ma e senza però!
Solo la signora Giulia lo chiamava Raffaele, ma lei con quell’aria un po’ così, ossia con tanto di puzzetta sotto al naso per via di un benessere piovutole dall’alto per grazia ricevuta, se la tirava al punto che la gente del quartiere diceva che, chiedo venia per l’espressione così poco elegante, al suo confronto “fra’ ca…zo de Velletri” era un simpaticone.
La grazia gliela aveva fatta il marito morendo in un incidente sul lavoro, con conseguente ricco risarcimento dell’assicurazione alla spocchiosa vedovella, sposatasi in seconde nozze appena un anno dopo con l’amministratore del suo condominio, per lei motivo di orgoglio e di lustro, neanche avesse sposato l’amministratore delegato della FIAT o il Governatore della Banca D’Italia.
E Don Raffaele, don Raffaele, cosa mi tocca dire per renderti giustizia!
Don Raffaele abitava con la famiglia a due passi da Piazza Bologna, ma il suo regno era lo spazioso ed arioso seminterrato di via Eleonora D’Arborea, proprio nel palazzo dove io ero andato ad abitare tre mesi prima di sposarmi.
Un sabato mattina di metà aprile ero particolarmente teso, quasi depresso, perché a luglio mi sarei dovuto sposare e per i preparativi non sapevo nemmeno da dove cominciare.
Ma, lo confesso, non erano proprio i preparativi che mi preoccupavano, anche se di tempo ne avevo poco e me ne sarei dovuto occupare personalmente perché la mia famiglia era a ottocento chilometri da Roma e non potevo far gravare tutto su quella della mia futura moglie.
No, non erano i preparativi., ero io che avevo perso un po’ la brocca, come si dice a Roma, e pur non vedendo l’ora di mettere su casa con la mia ragazza, mi sentivo confuso ed agitato e trovavo tutte le scuse pur di rimandare ciò che invece incombeva.
In quei giorni lavoravo come un matto per non pensare ai preparativi e avevo persino messo in calendario tre o quattro viaggi di lavoro a Londra, a Istanbul e a Singapore, ma quando la segretaria portò il firmario al Direttore Generale per le necessarie autorizzazioni, l’ingegnerissimo (lo chiamavo così quando eravamo soli nella sua stanza e lui si incacchiava) mi fece chiamare e …
“Chiudi la porta e siediti!” mi disse senza guardarmi e senza alzare la testa dalle carte che aveva davanti.
“Mi volevi vedere, ingegnerissimo?” dissi d’un fiato.
Silenzio completo.
Passa un minuto, ne passano due, poi tre, quattro cinque.
Silenzio imbarazzato da parte mia e gelo polare da parte sua. Poi, bontà sua, il Direttore alza la testa, si toglie i ridicoli occhialetti per i quali ogni tanto lo sfottevo, posa la penna con fare solenne e finalmente gli esce la parola.
“Io non so se tu sei più scemo o più irresponsabile, ma forse sei entrambe le cose!”
“Perché, che ho fatto questa volta?”
“Che hai fatto! Che non hai fatto, vorrai dire!”
“Eh?”
“Insomma, a che punto sei con i preparativi del matrimonio?”
“Eeeeh! Chissà che mi credevo!”
“Che ti credevi! Sei un incosciente. Fra due mesi ti devi sposare e ancora sei al caro amico! Non solo. Pur di rimandare alle calende greche, te ne vorresti andare anche in missione all’estero! Ma credi che i problemi si risolvono da soli?”
“Ma…”
“Da domani sei in ferie per una settimana. Torna quando avrai sistemato tutto, testa di rapa che non sei altro. Adesso sparisci!”
Avevo comprato qualche giorno prima le scarpe per il matrimonio ad una svendita di viale Libia e ne ero fiero perché mi piacevano molto. Erano, però, un po’ strette e volevo allargarle per non avere problemi proprio quel benedetto giorno e sono andato nella botteguccia di Don Raffaele per chiedergli se c’era la possibilità di tenerle per qualche giorno nella forma.
Quel giorno dovevo avere l’aria di cane bastonato e l’umore a terra se persino Raffaele, per me ancora quasi uno sconosciuto, si sentì in dovere di chiedermi cosa mi fosse successo.
Gli raccontai tutto, dalla A alla Zeta, colloquio con il mio capo compreso.
“Enzo, mi prendo una settimana di riposo e da domani si va all’attacco. Mi hai detto che i mobili li avete già scelti e quindi c’è soltanto da stare dietro a quei cialtroni per evitare ritardi nella consegna. La tinteggiatura della casa te la faccio fare da mio cugino Mario e ci vorranno quattro o cinque giorni, non di più. Appena pronta butteremo quelle poche cose che hai e faremo portare i mobili”.
“Ma Don Raffaè…!”
“Niente ma, Enzo. Mi hai detto che la tua famiglia è lontana, i tuoi futuri suoceri sono anziani e non puoi pretendere che vadano a destra e a manca per le varie cose, perciò diamoci da fare noi!”
“Mah!”
“Ho detto niente ma! Avete pensato dove andare per il pranzo di nozze?”
“Un’idea ce l’abbiamo. Ci sposeremo di pomeriggio e sarà una cena. Abbiamo pensato al Cecilia Metella, sull’Appia antica, ma ancora non siamo andati a concordare!”
“Ci andiamo giovedì pomeriggio così verrà anche la tua ragazza, va bene?”
“Come vuoi!”
Don Raffaele sembrava un uragano e fosse dipeso da lui, tutto sarebbe stato pronto in una settimana.
“Col vestito come sei messo? Voglio dire: l’hai già comprato o …”
“Veramente vorrei farlo fare dal sarto …”
“E cosa aspetti? Non penserai che ci vorranno due giorni per … Aspetta, mi è venuta un’idea. Vieni con me, andiamo da Lord Brummell’s, in viale delle Provincie. Sono bravi lì, ma è un po’ caro, ti avverto!”
Don Raffaele mi stava facendo da padre, da fratello e da amico, e dire che fino al giorno in cui mi sono presentato con le scarpe in mano, ci salutavamo appena.
“Senti un po’, guaglio’! Dimmi la verità e bada a quel che dici: tu sei convinto o no del passo che stai per fare?”
“Che vuoi dire?”
“Comu che voglio dicere? E che stamo a pazzia?”
“Del vestito, dici?”
“Ma va! Enzo stongo a parlà do matrimonio tuo, nun fa chella faccella e fessacchiotto!, Nsomma, mo to voglio dicere chiaro chiaro: tu si convinto e te vulè marità, si o no?
“Certo, che discorso!”
“Oh! E’ questo che ti volevo sentir dire! Allora proseguiamo coi preparativi”.
Don Raffaele aveva parlato in stretto dialetto per dire la cosa più importante e in italiano tutto il resto. Eccezionale!
“Domani sera andiamo a prenotare il ristorante e faremo venire con noi la tua ragazza e mia moglie, perché l’occhio femminile vede cose che i nostri occhi non vedono. Va bene? Poi telefonerai ai tuoi e li tranquillizzerai perché, ci giurerei, saranno preoccupati e quando sapranno che hai fatto tutto ciò che andava fatto, tireranno un sospiro di sollievo, poveretti”.
I giorni che seguirono furono, per così dire, tutti in discesa e a quel punto davvero non vedevo l’ora che arrivasse il 22 luglio.
Il 18 luglio, venerdì, andai da Don Raffaele per fargli vedere la cravatta che intendevo indossare per la cerimonia ma la porta era chiusa.
“Che strano!” pensai, ma mentre tornavo sui miei passi mi venne incontro la figlia della portiera e mi consegnò una busta chiusa.
“Caro Enzo, io devo partire immediatamente per Napoli e non potrò essere presente al tuo matrimonio. Stai tranquillo perché andrà tutto bene. Ti auguro tutto il bene del mondo. Raffaele”.
Per mesi e mesi ho chiesto a mezzo mondo sue notizie, ma senza alcun risultato.
Non l’ho più rivisto e dopo più di quarant’anni, percorrendo quel marciapiede non posso fare a meno di lanciare uno sguardo a quella porticina dove lui si appoggiava mentre mi istruiva sui preparativi del mio matrimonio.
E non gli sentirò più quella irresistibile espressione che mi faceva tanto ridere: è na sfaccimme!
Che bella testimonianza!
Ricordo l’agitazione che assalì anche me nei giorni precedenti il matrimonio, ma io vivevo in famiglia ed il mio Don Raffaele fu mio padre che venne a mancare due mesi prima della data fissata per il matrimonio. Sapeva di avere i giorni contati, ma lo sapeva solo lui. Nel frattempo mi incoraggiava e ci scherzava sopra. Natauralmente il matrimonio lo rimandammo di sei mesi, ma non ci fu la festa che volevo. Avevo perso il mio Don Raffaele, come potevo fare festa?
Questo Don Raffaele è figura di tempi andati, un vero «signore», anzi un autentico «don» di area spagnolesco-partenopea [di ascendenza latina, «dominus», appunto un «signore» per antonomasia], per di più ciabattino, mestiere quasi del tutto estinto nel nostro attuale mondo alla rovescia, dove a furia di pensare con i piedi tutti si illudono di poter camminare solo ammirando la propria faccia su un social network. Rievocato da un passato neppure tanto lontano, questo personaggio sopravvive ancora in ciascuno di noi, anche se il narcisismo di massa sta trasformando la nostra società in una fabbrica di perfetti egoisti, stupidi ed autodistruttivi. L’autostima, la volontà di affermare se stessi a tutti i costi, il legittimo desiderio di scoprire, costruire, creare non conducono necessariamente alla felicità, soprattutto quando vengano meno il coraggio di riconoscere il proprio limite, il diritto dell’altro, l’arte della fermezza e della modestia, in una parola i doni del «carattere». Don Raffaele era un «don», perché mostrava un certo «carattere». Prima che sia troppo tardi, ciascuno di noi, soprattutto l’attuale gioventù, dovrebbe risuscitare dentro di sé, come insegna Movilia, il proprio dimenticato Don Raffaele, arcangelo protettore di chi sia davvero disposto a sposare la vita, camminando a testa alta, ma su questa terra, con i propri piedi.
La testimonianza è davvero toccante ed è molto bello che il signor Enzo ricordi ancora con riconoscenza il buon Don Raffaele.
In generale io dico che tutti noi, in alcuni frangenti della vita, vorremmo avere un Don Raffaele che ci dia una mano a sbrogliare le matasse ingarbugliate, ma quella è una razza in via di estinzione perchè questa società è mossa dagli egoismi individuali e collettivi e le persone si ignorano tra di loro anche all’interno dello stesso condominio.
Bellissimo ricordo raccontantato con la consueta grazia Con quel pizzico di ironia che rendono unici i tuoi scritti.
Bravo Enzo…..adesso mi aspetto che tu racconta altri simpatici ed interessanti ricordi.
Caro Enzo ho letto con mlto piacere il tuo racconto, un po’ realtà un po’ favola, come dovrebbe essere la vita…sai sempre esprimere e trasferire le tue emozioni a noi che leggiamo. Bravo!
La cosa che colpisce di più di questa bellissima testimonianza è la nostalgia di fondo che traspare da ogni parola, segno che Don Raffaele ha inciso profondamente nel cuore del Signor Movilia.
Io credo che ognuno di noi ha motivo di riconoscenza verso qualcuno, ma qui c’è una nostalgia di fondo che colpisce e che commuove.
Il racconto, anzi il ricordo, delle ansie e del fervore d’attesa e di attività delle nozze di Enzo, ha sicuramente risvegliato in tutti noi, più o meno felicemente sposati, il ricordo delle nostre nozze. Ognuno ha vissuto quei momenti particolarissimi della propria vita e ha riconosciuto un’emozione che l’accomuna alle sensazioni suscitate dal racconto.
Enzo, leggerti è stato come riaprire per un po’ l’album delle foto del nostro matrimonio.
Cara Novella,
questa volta la fantasia l’ho messa a tacere, credimi, ma ogni tanto la realtà la supera di molto e allora nasce la notizia e, quindi, la voglia di raccontarla.
A me è successo questo, nè più nè meno, e sono felice di aver ricordato un uomo qualunque che si è preso cura di me in un momento cruciale della mia vita.
D’accordo con Caterina. Tutti noi abbiano desiderato o lo desideriamo un Don Raffaele. Questi, a differenza dell’Angelo Custode, parla e agisce. Un abbraccio.
Grande Enzo, scusa il ritardo, ma il notebook ha fatto le bizze e solo ora ho potuto inebriarmi nella tua “nuvola di ricordi”; scrivo molto lentamente, perché due lucciconi mi impediscono di veder bene la tastiera ed ho paura di commettere errori da matita blu. Ho vissuto con te la tua vicenda, ti ero vicinissimo, te ne sei accorto? Sei speciale, lo grido forte, come speciale è il sentimento di affetto che ci accomuna, nonostante non riesca a mantenere le tante promesse che ti ho fatto…. Grazie, grazie, grazie!!! Tu colpisci sempre al cuore e produci ogni volta un mondo di bene.
L’affettuoso tributo di riconoscenza ed affetto verso la persona, estranea, che si preso a cuore le ansie ed i turbamenti del ragazzo che stava convolando a nozze, nonchè l’impegno non indifferente di sostituirsi ai suoi familiari per aiutarlo a risolvere i problemi logistici ed organizzativi, lo trovo commovente, oltre che generoso e civile, a distanza di tanto tempo dai fatti narrati. Queste notizie riconciliano la mente e riscaldano il cuore al pensiero dell’indifferenza che oggi governa i rapporti tra la gente. Ho 70 anni, ho vissuto nel mondo della scuola e so di cosa parlo. Grazie di avermi fatto respirare un sorso d’aria pura.
Che bella testimonianza!
Ricordo l’agitazione che assalì anche me nei giorni precedenti il matrimonio, ma io vivevo in famiglia ed il mio Don Raffaele fu mio padre che venne a mancare due mesi prima della data fissata per il matrimonio. Sapeva di avere i giorni contati, ma lo sapeva solo lui. Nel frattempo mi incoraggiava e ci scherzava sopra. Natauralmente il matrimonio lo rimandammo di sei mesi, ma non ci fu la festa che volevo. Avevo perso il mio Don Raffaele, come potevo fare festa?
Questo Don Raffaele è figura di tempi andati, un vero «signore», anzi un autentico «don» di area spagnolesco-partenopea [di ascendenza latina, «dominus», appunto un «signore» per antonomasia], per di più ciabattino, mestiere quasi del tutto estinto nel nostro attuale mondo alla rovescia, dove a furia di pensare con i piedi tutti si illudono di poter camminare solo ammirando la propria faccia su un social network. Rievocato da un passato neppure tanto lontano, questo personaggio sopravvive ancora in ciascuno di noi, anche se il narcisismo di massa sta trasformando la nostra società in una fabbrica di perfetti egoisti, stupidi ed autodistruttivi. L’autostima, la volontà di affermare se stessi a tutti i costi, il legittimo desiderio di scoprire, costruire, creare non conducono necessariamente alla felicità, soprattutto quando vengano meno il coraggio di riconoscere il proprio limite, il diritto dell’altro, l’arte della fermezza e della modestia, in una parola i doni del «carattere». Don Raffaele era un «don», perché mostrava un certo «carattere». Prima che sia troppo tardi, ciascuno di noi, soprattutto l’attuale gioventù, dovrebbe risuscitare dentro di sé, come insegna Movilia, il proprio dimenticato Don Raffaele, arcangelo protettore di chi sia davvero disposto a sposare la vita, camminando a testa alta, ma su questa terra, con i propri piedi.
La testimonianza è davvero toccante ed è molto bello che il signor Enzo ricordi ancora con riconoscenza il buon Don Raffaele.
In generale io dico che tutti noi, in alcuni frangenti della vita, vorremmo avere un Don Raffaele che ci dia una mano a sbrogliare le matasse ingarbugliate, ma quella è una razza in via di estinzione perchè questa società è mossa dagli egoismi individuali e collettivi e le persone si ignorano tra di loro anche all’interno dello stesso condominio.
Bellissimo ricordo raccontantato con la consueta grazia Con quel pizzico di ironia che rendono unici i tuoi scritti.
Bravo Enzo…..adesso mi aspetto che tu racconta altri simpatici ed interessanti ricordi.
Caro Enzo ho letto con mlto piacere il tuo racconto, un po’ realtà un po’ favola, come dovrebbe essere la vita…sai sempre esprimere e trasferire le tue emozioni a noi che leggiamo. Bravo!
La cosa che colpisce di più di questa bellissima testimonianza è la nostalgia di fondo che traspare da ogni parola, segno che Don Raffaele ha inciso profondamente nel cuore del Signor Movilia.
Io credo che ognuno di noi ha motivo di riconoscenza verso qualcuno, ma qui c’è una nostalgia di fondo che colpisce e che commuove.
Il racconto, anzi il ricordo, delle ansie e del fervore d’attesa e di attività delle nozze di Enzo, ha sicuramente risvegliato in tutti noi, più o meno felicemente sposati, il ricordo delle nostre nozze. Ognuno ha vissuto quei momenti particolarissimi della propria vita e ha riconosciuto un’emozione che l’accomuna alle sensazioni suscitate dal racconto.
Enzo, leggerti è stato come riaprire per un po’ l’album delle foto del nostro matrimonio.
Cara Novella,
questa volta la fantasia l’ho messa a tacere, credimi, ma ogni tanto la realtà la supera di molto e allora nasce la notizia e, quindi, la voglia di raccontarla.
A me è successo questo, nè più nè meno, e sono felice di aver ricordato un uomo qualunque che si è preso cura di me in un momento cruciale della mia vita.
D’accordo con Caterina. Tutti noi abbiano desiderato o lo desideriamo un Don Raffaele. Questi, a differenza dell’Angelo Custode, parla e agisce. Un abbraccio.
Grande Enzo, scusa il ritardo, ma il notebook ha fatto le bizze e solo ora ho potuto inebriarmi nella tua “nuvola di ricordi”; scrivo molto lentamente, perché due lucciconi mi impediscono di veder bene la tastiera ed ho paura di commettere errori da matita blu. Ho vissuto con te la tua vicenda, ti ero vicinissimo, te ne sei accorto? Sei speciale, lo grido forte, come speciale è il sentimento di affetto che ci accomuna, nonostante non riesca a mantenere le tante promesse che ti ho fatto…. Grazie, grazie, grazie!!! Tu colpisci sempre al cuore e produci ogni volta un mondo di bene.
L’affettuoso tributo di riconoscenza ed affetto verso la persona, estranea, che si preso a cuore le ansie ed i turbamenti del ragazzo che stava convolando a nozze, nonchè l’impegno non indifferente di sostituirsi ai suoi familiari per aiutarlo a risolvere i problemi logistici ed organizzativi, lo trovo commovente, oltre che generoso e civile, a distanza di tanto tempo dai fatti narrati. Queste notizie riconciliano la mente e riscaldano il cuore al pensiero dell’indifferenza che oggi governa i rapporti tra la gente. Ho 70 anni, ho vissuto nel mondo della scuola e so di cosa parlo. Grazie di avermi fatto respirare un sorso d’aria pura.