“Abbiamo vissuto insieme, per tanto tempo, una quantità di storie che in dieci libri non si possono ricordare”. E’ la frase che introduce alla mostra-ricordo di due grandi del teatro italiano, un teatro da loro vissuto in maniera anomala rispetto agli schemi tradizionali, un teatro in cui forza dissacrante e tensione utopica andavano a braccetto. Ed anche – e soprattutto – un teatro nel quale almeno due generazioni hanno ritrovato le immagini simboliche della loro lotta per una società diversa, a misura d’uomo, dove il Potere non fosse più un’entità astratta. E dunque, di riflesso, un teatro come contenitore di fantasie, sogni, speranze, l’ironia ed il sorriso quale comun denominatore, anche nei momenti drammatici, in sincrono con quella Grande Commedia che è la vita.
“Dario Fo e Franca Rame: il mestiere del narratore”, 150 opere fra disegni, tele, arazzi, documenti, maschere, costumi di scena e materiale vario per una mostra che sintetizza quasi tre lustri di attività teatrale. Si parte dai primordi, dall’infanzia di Dario e Franca, impregnata di quegli umori che matureranno poi la loro sensibilità artistica, lui cresciuto in un paese ricco di tradizioni fabulatorie (filtrate dal padre e dal nonno), lei cresciuta in una compagnia di girovaghi con una storia antica, che risale al ‘600. Dopo la guerra Dario si iscrive ad Architettura ma non eserciterà mai la professione perché disgustato dal cinismo dei palazzinari (piaga sempre attuale), occupandosi invece di scenografia (ad inizio anni ’40 aveva frequentato l’Accademia di Brera) e, nel 1950 “Poer nano”, una rivisitazione della storia di Caino e Abele, segna il suo ingresso nella compagnia di Franco Parenti. E qui, come dirà poi, conosce “la ragazza bellissima, esuberante, corteggiata e dalla pelle di luna”, Franca Rame, nel pieno della sua attività teatrale. Nel 1954 si sposano, iniziando così un lungo sodalizio dove s’intrecciano sentimenti e creatività.
Il cinema si alterna al teatro e alla rivista, infine l’approdo alla Rai ed i primi problemi con la censura perché, in pieno boom economico, parlare in tv di mafia e di morti bianche è uno scandalo. Ma Dario e Franca il senso di giustizia e la difesa degli oppressi l’hanno ormai nel loro Dna e la trasmettono a chi non aderisce al conformismo dilagante. Gli spettacoli si susseguono in chiave di revisione storica (“Isabella, 3 caravelle e un cacciaballe”) e sociale (“Settimo: ruba un po’ meno”), in un crescendo che culmina, in anni “caldi”, nella nascita del Collettivo “La Comune”, con Dario sempre più attento alla cultura popolare. Perché qui, in quella che Gramsci definisce cultura subalterna, ha scoperto una densità di valori la cui forza e ricchezza è una spesso disarmante semplicità. E il risultato è “Mistero buffo”, capolavoro fra sacro e profano in chiave di giullarata che Dario recita nel suo mitico “grammelot”. E’ un successo pieno, al quale fanno da controcanto le incomprensioni politiche (il dissenso con la sinistra dopo i fatti Praga e l’ostracismo dei burocrati di partito) e gli attacchi della destra e dei conservatori in genere. Piazza Fontana, la strategia della tensione, gli “anni di piombo” e un clima di incertezza a livello planetario (Vietnam, le dittature latinoamericane) non sgomentano, anzi, rafforzano la vis polemica di Dario e Franca (“Morte accidentale di un anarchico”, “Pum pum! Chi è? La polizia”). Poi il sequestro e la violenza su Franca (che evocherà anni dopo, in un dolente monologo).
Ma elencare gli eventi richiederebbe troppo spazio, è un elenco lungo e folto, meglio godersi la mostra, selezione mirata dell’immenso materiale proveniente dall’Archivio Rame Fo-MusALab attualmente ospitato nell’Archivio di Stato di Verona. Un percorso in più sale ed in più capitoli della storia Dario-Franca che è una fantasmagoria di forme e colori, in quello spirito argutamente ludico intrinseco a Dario, dove lo sghignazzo e lo sberleffo sono sempre lì fra le righe. I bozzetti per le scenografie, le copertine dei tanti libri scritti, i quadri, dove il pittore s’incontra con il poeta (e qui ricordo la sua mostra di Verona dedicata alla Callas, dalla squisita solarità cromatica), gli splendidi pupazzi, le maschere, le marionette. Tutto è animato da un tocco fra surreale e grottesco, ma sempre la matrice originaria, Il punto di partenza e di arrivo, è la cultura popolare con la sua subalternità però ricca come forse non lo è il Potere stesso.
E poi l’opera, l’accostamento a Rossini, il teatro, da Ruzante a Molière, ma anche il proseguire sulla strada tracciata da “Mistero buffo”, curiosando nella struttura e nei contenuti dei “fabliaux” del medioevo di Francia. E l’arte, dal Duomo di Modena, come esempio civico (è il periodo delle libertà comunali), saggi penetranti, “La vera storia di Ravenna”, l’antica capitale dell’Esarcato, e, ancora, Giotto, il Correggio, Mantegna, Chagall, Picasso (poi anche in tv), personaggi intriganti come Cristina di Svezia o Darwin. E, centrale (ma, in fondo, lo è sempre stata) la figura di Francesco, il santo di Assisi, come paradigma di armonia con gli esseri e la Madre Terra, riletto in una chiave di insolita e quasi pudica religiosità laica. Dario dunque come un umanista eclettico, molto (ma molto) sui generis, che nel 1997 ottiene il Premio Nobel “perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Furono in molti, politici e non, che all’epoca storsero il naso, ma lui proseguì dritto, coerente con la sua idea dove arte e vita coincidono in quello che, sin dagli inizi, è stato un lungo e colorito monologo sul Potere. E lo ritroviamo nella mostra di Palazzo Barberini, gustoso racconto per immagini della meravigliosa storia del Grande Giullare e della bionda Principessa, dove si narra, ancora una volta, che il re è sempre nudo…
“Dario Fo e Franca Rame: il mestiere del narratore”, a palazzo Barberini fino al 25 giugno. Da martedì a domenica h.10-18, biglietto (valido per la Barberini e la Corsini) euro 10 intero 5 ridotto. Per informazioni 064824184 e www.barberinicorsini.org Per approfondire maggiormente il tema: www.archivio.francarame.it
Scritto da: Antonio Mazzain data: 30 marzo 2017.il23 aprile 2021.
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