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“Cronaca Monastero Cassinese” la gloria di Montecassino

20160412_18  “Egregius igitur et sanctissimus pater huiusque Casinensis cenobii primus fundator gratia et nomine Benedictus”, ovvero “L’illustre e santissimo padre e primo fondatore di questo cenobio cassinese, di grazia e di nome Benedetto”. E’ l’incipit della monumentale “Chronica monasterii casinensis”, tradotta integralmente per la prima volta, una vera perla che si aggiunge alle altre di quella preziosa collana di storia medioevale che è il vanto della storica casa editrice Ciolfi di Cassino. Monumentale perché parte dalla “fundatio”, nel 529, e percorre oltre cinque secoli di storia dell’abbazia, fino al 1138, essendo papa Innocenzo II.  Autore Leone Marsicano per le prime tre parti, mentre per la quarta ne è Pietro Diacono, che ha scritto “De viribus illustribus Casinensibus”, il primo volume della collana.

  Proveniente da Subiaco, dove aveva fondato un monastero, Benedetto ne erige un altro sul fianco del colle, simbolico, perché su terra pagana (qui v’era un tempio d’Apollo). Alla sua morte il monachesimo si diffonde all’intorno, ma il cenobio viene distrutto nel 568 dai Longobardi, risorgendo poi grazie alle donazioni di papa Zaccaria (il papa delle “domuscultae”) e degli stessi Longobardi convertitisi al cristianesimo (la prima “donatio” viene da Gisulfo junior, nipote di quel Liutprando rex che aveva concesso Sutri al papa, costituendo così il primo nucleo del “Patrimonium Petri”). Si succedono gli abati, si amplia la costruzione e si costituisce la massa cassinese, terre, borghi, vigne, armenti, braccia da lavoro, ma anche arredi sacri e suppellettili varie. Il monastero prospera e si diffonde la sua fama di luogo sacro: qui viene in penitenza Carlomanno, fratello di Pipino, padre di Carlomagno, e qui avvengono i primi miracoli (un uomo “di nazionalità anglica” riacquista favella e udito).

  Ai Longobardi si alternano i Franchi e se al Nord questi prevalgono, qui v’è una sorta di status quo, con il Ducato di Benevento che durerà più a lungo del regno longobardo (la capitale, Pavia, era in mano carolingia). Ne trae beneficio l’abbazia, con elargizioni dei gastaldi e, soprattutto, dell’imperatore Ludovico e del figlio Lotario, re di Francia, in merito al “nullius”, cioè il riconoscimento della propria autonomia. Si celebrano i riti con solennità, in particolare quelli pasquali (v. descrizione pagg.73 e 75), ma incombe il pericolo dei Saraceni che, nell’846, risalendo il Tevere, attaccano Roma devastando la Basilica di San Paolo e quella di San Pietro. Il territorio è messo a ferro e fuoco finché una coalizione di pontifici, imperiali, longobardi e truppe napoletane sconfigge definitivamente i Saraceni alle foci del Garigliano, nel 915. E, scansato un altro pericolo (gli Ungari), il monastero espande le sue proprietà in centro Italia (ben 3 pagine d’inventario, 55 e segg.), mentre cala dalla Germania Ottone I, che succede alla casa di Francia.

  Ancora abbellimenti e incremento del patrimonio, sia per merito degli abati (come Aligerno che inizia la costruzione di rocca Janula o Teobaldo che fa trascrivere preziosi testi sacri), sia per donazioni, il tutto con il beneplacito imperiale. Gli eventi si susseguono, Ottone II viene sconfitto dai Saraceni, il terremoto del 990 sconvolge il territorio, i Normanni conquistano la Puglia sottraendola al dominio bizantino, l’abbazia è al centro di lotte intestine dove risaltano personaggi come Pandolfo, duca di Teano, e Guaimario, principe di Salerno. Ma la Provvidenza vigila, San Benedetto spesso appare e compie miracoli, come quando toglie i calcoli all’imperatore Enrico II o guarisce un indemoniato. A Roma frattanto sta maturando quel clima che porterà poi alla “lotta per le investiture”, con il successore, Enrico III,  che nel concilio di Sutri contesta le nomine papali, facendo eleggere Vittore II.  E con Stefano IX, già abate di Montecassino e, soprattutto, Niccolò II, si prepara lo scontro con la fazione imperiale, mentre lo Scisma d’Oriente divide il mondo cristiano.

  Il 37° abate è Desiderio e Leone Marsicano, che fu presso il monastero adolescente e vi restò, ne traccia il profilo. Dauferio (il suo vero nome), uomo colto e pio, viene insignito del titolo di cardinale presbitero da Niccolò II ed inizia a ristrutturare radicalmente il monastero. Livella la cima del monte per avere maggior spazio e vi edifica il nuovo complesso facendo venire maestranze da Costantinopoli, lapicidi ed esperti nell’arte musiva, che rendono il cenobio un luogo di meraviglie (da pag.383 in poi, un elenco ricchissimo). La consacrazione avviene il 1° ottobre 1071, con grande concorso di clero, nobili, popolo ma non partecipò Roberto il Guiscardo, impegnato nell’assedio di Palermo (la Sicilia araba stava per capitolare). Tuttavia, convertitosi lui e i suoi Normanni, partecipò nell’abbellire il monastero che si dotò anche di una splendida biblioteca, perché Desiderio fece trascrivere molti codici preziosi (pag.471).

  Ormai il monastero è un magnifico luogo d’arte e di fede, un dinamico laboratorio dove operano uomini d’intelletto come Amato (“Storia dei Normanni”, in collana), Alfano (“I carmi”, ib.), Costantino l’Africano, personalità di punta della famosa Scuola Medica Salernitana. Ma la situazione precipita, la lotta per le investiture è al suo colmo, Enrico IV, dopo Canossa marcia contro Roma ed il papa, assediato in Castel S.Angelo, chiede aiuto al Guiscardo le cui truppe devastano la città. Gregorio muore in esilio a Salerno e Desiderio diventa papa col nome di Vittore III ma il suo pontificato è breve, il tempo di scomunicare l’antipapa Clemente III, di nomina imperiale, e lanciare una crociata contro i Saraceni. Malato “ordinò di costruirgli il sepolcro nell’abside dello stesso capitolo e dopo tre giorni passò al Signore, il 16 settembre, anno dell’incarnazione del Signore, 1087, cinquecentosettantovesimo dal transito del beato padre Benedetto”. E inizia il quarto libro redatto da Pietro Diacono, il cui Prologo denota uno stile ricco e controllato (Pietro, bibliotecario, era versato nelle Arti liberali, soprattutto il Trivio).

  Inizia con Urbano II e i crociati e questi, prima di imbarcarsi, passano dal monastero invocando  S.Benedetto poi, al grido di “Deus lovolt”, attaccano i Saraceni (belle pagine descrittive). Ancora donazioni, Capuani, Normanni, Alessio Comneno imperatore di Bisanzio, mentre Urbano II, dopo una sanguinosa battaglia fra romani e tedeschi (pag.599), è costretto ad incoronare Enrico V che ha  invaso la città. Segue un periodo caratterizzato da disastrosi terremoti, miracoli e dissidi interni alla comunità, come il rifiuto della badessa Alferada di S.Maria in Cingla, “ribollendo di femminile furore” (autem muliebri furore exestuans”), di restituire la chiesa al monastero.  Ma anche nel santo cenobio le cose non vanno bene, prima la controversa  gestione dell’abate Oderisio poi un conflitto di competenza fra l’imperatore Lotario e Innocenzo II. E’ un lungo ed appassionante processo (pagg.748 e segg.) dove entrambi rivendicano il diritto di autorità sul monastero, da Lotario, in forza dei privilegi dati dai suoi predecessori, considerato “camera” del romano impero e dal papa preteso per diritto di Santa Romana Chiesa. Prevale Lotario che, ormai vecchio e stanco, nel 1137 “entrò nei gemmati palazzi del cielo per regnare senza fine con Cristo” e qui interviene con violenza Ruggero il Normanno, eletto dall’antipapa Anacleto II. Ma tutto si risolve con l’omaggio a papa Innocenzo che garantisce l’autonomia del monastero.

  Con una serie di prodigi si chiude questa “chronica” densa di avvenimenti che, per una questione non solo di spazio ma proprio per la sua intrinseca densità, ho sintetizzato. E ci si rende conto con stupore quanta storia si affolla, per così dire, anche in pochi tratti di territorio, soprattutto in èra altomedioevale, come documentano ampiamente Leone Marsicano e Pietro Diacono. Il volume, oltre che di grande suggestione, risulta di facile lettura, grazie anche all’ottima -e filologicamente curata- traduzione dal latino di Francesco Gigante (di lui ricordo “Noi c’eravamo”, appassionata testimonianza dei tragici giorni di Cassino. Gigante ne fu anche sindaco dal 1976 al 1979). Un grazie alla Ciolfi per aver recuperato questo gioiellino del passato che raccomando non solo agli studiosi ma anche ai cultori di storia medioevale. E sono, siamo, molti perché il fascino di quell’epoca è nel suo estremismo manicheo, santità e crudeltà, di mezzo poche sfumature ma, in quel crogiuolo di sentimenti opposti, maturava qualcosa che poi avrebbe generato le solarità rinascimentali. Il Medioevo è la nostra infanzia storica.

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“Cronaca Monastero Cassinese” di Leone Marsicano e Pietro Diacono

introduzione e traduzione a cura di Francesco Gigante, Ciolfi Editore, pagg.834, euro 30.

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