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Correggio e Parmigianino, pittori della Rinascenza

36In genere, quando si parla di rinascimento pittorico in Italia, si pensa subito alle tre città che erano magnifici quanto spettacolari cantieri d’arte e cioè, partendo dal Nord, Venezia, Firenze e Roma. Da Tiziano a Pontormo a Michelangelo, solo per fare qualche nome (e l’elenco, come ben sappiamo, sarebbe lungo e “corposo”), è un vero e proprio tripudio di bellezza che influenza tutta la cultura europea. Ma, proprio in virtù del suo essere frazionata in regni e ducati, l’Italia, rispetto ad altri paesi, può vantare più “laboratori” (chiamiamoli così) d’arte, più “scuole” che si aggiungono alle tre principali. Per nulla da sottovalutare, come la bolognese, la bergamasca, la genovese e, fra tutte, una delle più interessanti ha il suo centro nel Ducato di Parma.
Correggio e Parmigianino, due figure che escono presto da quella che per molti restava una periferia pittorica (soprattutto in quanto imitatori dei grandi) e si impongono a livello più ampio. Divengono anzi protagonisti di quella splendida stagione che è la Rinascenza delle arti italiche e basta osservare gli affreschi del Correggio nel Duomo o quelli del Parmigianino in Santa Maria della Steccata per rendersene conto. Parma dunque come un punto riferimento ed anche una “scuola” a sé che non mancherà di far sentire i suoi riflessi nella pittura del centro Italia. E Correggio e Parmigianino eccoli a confronto nella mostra a loro dedicata alle Scuderie del Quirinale.
Si evidenziano subito le rispettive peculiarità quali emergono da uno stesso soggetto, “Matrimonio mistico di Santa Caterina”: corposo e sensuale il Correggio quanto più astratto e raffinato il Parmigianino. Entrambi a bottega sin da giovanissimi, con le prime opere in cui si avvertono influenze stilistiche dei maestri lombardi ed emiliani ed entrambi celebrati dal Vasari per la loro abilità (a proposito di una composizione sacra del Parmigianino scrive “che anco chi la vede resta maravigliato che da un putto fusse condotta sì bene una simil cosa”).

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E in effetti le differenze fra Antonio Allegri, detto il Correggio, e Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, non sono poche.
La luce, la forma, il colore ma anche il modo di situare i personaggi, di dare un senso alla loro fisicità inserita in un contesto preciso. Lo vediamo subito con i soggetti a carattere sacro del Correggio, dove le tonalità mistiche risultano diluite, al contrario di quanto avvenuto sinora, i personaggi immersi in un clima aulico (pensiamo alla pittura del ‘400, ma anche primo ‘500). Qui traspare una dimensione più quotidiana, sia per il “Matrimonio mistico di Santa Caterina con Sant’Anna, San Francesco e San Domenico”, che adombra il tema classico delle Sacre Conversazioni, sia per la “Madonna col Bambino” (peraltro tenerissimo), sia per il “Commiato di Cristo dalla madre”o, per citare un’altra opera notevole, il “Riposo durante la fuga in Egitto con San Francesco”. E’ una rottura col pathos contemplativo del passato ma non per questo mancano inflessioni drammatiche, come in “Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne”, acuite dall’ambientazione notturna, o “David davanti all’Arca dell’Alleanza” (e qui una curiosità, un ebreo e un maomettano insieme, particolare davvero insolito per l’epoca, dove le scorrerie dei saraceni erano abituali. Un non tanto larvato messaggio ecumenico?).

13Di contro Parmigianino si mostra più tendente all’idealizzazione del soggetto, come dimostra il “Ritratto di Lorenzo Cybo”, di virile armonia, ed anche molto attento alla struttura compositiva (un felice “Matrimonio mistico di Santa Caterina con San Giovanni Evangelista e San Giovanni Battista”). In realtà entrambi hanno un fine gusto della composizione, di un realismo “soave e tenero”, per dirla con Stendhal, il Correggio (“Adorazione dei pastori”, “Noli me tangere”, uno splendido “Volto di Cristo”), quasi sognante il Parmigianino (“Madonna di San Zaccaria”, la spettacolare “Conversione di Saulo”, con il cavallo che sarebbe piaciuto a De Chirico). E il paesaggio di sfondo, che affrontano in modo diverso: d’impronta classica, di sapore leonardesco, il Correggio, tutto di movimento il Parmigianino.
Un passaggio importante della loro produzione artistica è il filone mitologico, all’epoca ancora poco frequentato (bisogna aspettare un po’prima che nasca una pittura “laica”, anche se poi ci penserà il Concilio di Trento a rimettere ordine). Qui la componente pagana ha una tonalità diversa, come si evince confrontando la fresca sensualità della “Danae”, capolavoro del Correggio, con quella più intellettualizzata del Parmigianino. E’ nella sinuosità delle forme, con la tipicità dei colli allungati e gli ovali dei volti, che il Mazzola compie la sua ricerca di un Bello ideale. Esemplare in tal senso “Ritratto di giovane donna detta “Schiava turca”, probabilmente una cortigiana d’alto bordo nella cui espressione ambiguamente sorniona sembra voler compendiare l’enigma feminino.

N1147-AMa è nel disegno che Parmigianino mostra tutta la sua padronanza tecnica unita ad una grande raffinatezza, si vedano “Saturno che divora i suoi figli”, “Studio per la “Madonna dal collo lungo”, una squisita “Testa di Gesù Bambino” e, sorprendente, anche in quanto soggetto poco comune, “Un uomo seduto su uno sgabello, che sostiene una cagna incinta”. Correggio non è da meno, “Venere addormentata”, “Adorazione dei magi”, come pure interessante risulta la produzione – disegni e tele – dei pittori che gravitano nella loro orbita, Giorgio Gandini del Grano, Girolamo Mazzola Bedoli, Michelangelo Anselmi e Francesco Maria Rondani. I protagonisti assoluti sono però sempre Correggio e Parmigianino che, nelle ultime sale, vediamo cimentarsi in raffigurazioni fra mito e storia. Di sapore tizianesco i loro ritratti virili, ma è il Parmigianino che più intriga e se la sua “Lucrezia” è decisamente teatrale, “Pallade Atena” e “Antea” s’impongono per quel tratto nobile ma anche finemente stilizzato.
Dunque due personalità complesse con un diverso vissuto artistico. Entrambi si recano a Roma dove conoscono e studiano le opere di Raffaello e Michelangelo, ma punto di riferimento per Correggio resta il Mantegna, soprattutto in senso prospettico. E ne risulterà quella componente ariosa e visionaria di opere mirabili come la volta della Camera della badessa Giovanna Piacenza, nel convento parmense di San Paolo, o la vertigine della cupola del Duomo, con l’Incoronazione della Vergine (dove “il suo miracoloso dono di movimento è speso con la più folle prodigalità”, come scrive Bernard Berenson, grande storico dell’arte). Dal canto suo Parmigianino, che a Roma frequentò Perin del Vaga, Baldassarre Peruzzi, Sebastiano del Piombo e che da Roma dovette fuggire durante il Sacco del 1527, fu anche a Bologna, dove non restò insensibile al fascino della pittura emiliana (Garofalo in particolare). Sviluppò comunque uno stile personale, di turgida eleganza, come risulta dagli affreschi giovanili nella Rocca di Fontanellato o quelli più tardi di Santa Maria della Steccata a Parma. Ma è nel figurativo che s’impone, con quella sinuosità di cui dicevo più sopra, che fa di lui un elegante manierista.
Correggio e Parmigianino, due grandi precursori del Barocco.

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“Correggio e Parmigianino. Arte a Parma nel Cinquecento”, alle Scuderie del Quirinale
 fino al 26 giugno. Da domenica a giovedì h.10-20, venerdì e sabato h.10-22,30
. Biglietti: euro 12 intero, 9,50 ridotto.
Per info. 06.39967500 e www.scuderiequirinale.it

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