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CATANEIDE – Franco scendeva.

  La Giulietta ondeggiava paurosamente, da destra a sinistra, ad ogni curva.  Il modello  già sculettava di suo, alla minima sterzata. Come se non bastasse, il guidatore si ostinava a sorpassare qualunque cosa gli capitasse dinanzi, e senza riguardi per il codice: per fortuna, si trattava in genere di carretti trainati da asini, sicchè l’operazione si risolveva in un batter di ciglia.

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Ma l’impresa si fece più rischiosa quando l’ennesimo quadrupede di supposta scarsa capacità intellettiva (lui!) venne avvistato in prossimità di una curva: il giovane nel sedile posteriore chiuse gli occhi, mentre si aggrappava disperatamente alle maniglie dell’auto, e..andò bene anche quella volta. Rimase in silenzio per i minuti seguenti.

Franco aveva giocato una partitina a Camporotondo, in uno dei pochi spazi quasi regolamentari disponibili in quel di Catania: circa 60 metri per 35, porte di legno senza rete, fondo spianato con pietrisco da sbucciaginocchia, spogliatoi senza doccia, a pagamento.

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Nella squadretta, in cui gli avvicendamenti erano più frequenti delle conferme, giocava da terzino destro. Si era determinato di marcare a zona, dato che il marcamento a uomo era più faticoso e c’era sempre il rischio di dover controllare ali troppo veloci per la sua indole riflessiva.  Quel giorno, pur perdendo per uno a zero, era soddisfatto perché il reparto difensivo aveva resistito per oltre un’ora agli assalti degli avversari che non trovavano adeguata barriera nella linea di centrocampo.

   Al termine, non avendo un proprio mezzo di locomozione, chiese un passaggio e si fecero avanti due ragazzi, che non aveva mai veduto prima e che lo condussero alla loro Alfa luccicante, così inusuale per il ceto generalmente da lui frequentato e che per ciò stesso dava soggezione. Il tragitto di alcuni chilometri in discesa fino alla città venne compiuto in tempi da record. << Quanto per la benzina ?>> chiese Franco,  come d’uso fra i giovani.

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<< U sentisti ? ‘a benzina! >>  si chiamarono e risposero i due fichetti con una risatina di superiorità, e ripartirono sgommando prima che Franco, ancora rintontonito, potesse, ingenuamente, ringraziare. Dopo un salto a casa, non volle mancare all’incontro con i due fedeli sodali, e prima dell’inizio delle solite dissertazioni, raccontò l’episodio. << Ma veramente non sai chi erano ? Non avete fatto le presentazioni ?>> disse Carmelo con una punta d’ironia. Anch’egli calciatore da strapazzo in quel pomeriggio, aveva intravisto da un’altra auto la scena del passaggio dato a Franco. << Sono i cugini Carminiti, rampolli di una stirpe di costruttori edili, benemerita categoria  in questa nostra Catania che “cchiù tempo passa e cchiù bbella addiventa!”>>.

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  << Non gli bastava il grattacielo, costruito  per somigliare a “Melano”>>, rincarò la dose Gigino, << hanno sventrato non solo le case fatiscenti della zona San Berillo, ma anche alcuni villini liberty di viale Regina Margherita, che ora si presenta come un’ accozzaglia anonima che circonda le poche, dignitose costruzioni di fine ottocento>>.

Franco annuì gravemente. Non poteva darsi pace di avere fatto il passeggero a sbafo di cotanti autisti, per giunta spericolati, e  si promise mai più con quella gente. atmosfera di veloce inurbamento e di tumultuosa ripresa economica erano portati a considerare con favore ogni muro che odorasse di pittura recente,  sosteneva che il nuovo non deve offendere il bello.

797px-Sventramento_del_quartiere_San_Berillo,_CataniaGli studi di storia dell’arte, seguiti con passione negli anni del liceo, con una predilezione per il Quattrocento italiano nell’architettura e nelle arti figurative, avevano marcato fortemente i suoi gusti nel senso dell’equilibrio e dell’armonia e, quando l’argomento si affacciava nelle discussioni con amici e colleghi, non mancava di esprimere il proprio disappunto per quello che avveniva in città. Venendo così ad essere sbrigativamente catalogato da interlocutori occasionali e conoscenti come nemico delle attività produttive e potenziale eversore degli equilibri politici costituiti.

(Selezione dei brani dal libro di F. Romeo, CATANEIDE, Città del Sole Edizioni, a cura di Enzo Movilia)

4 Commentia“CATANEIDE – Franco scendeva.”

  1. La macchina che andava a zig zag tra carretti ed asini è formidabile, ma è lo spirito di quegli anni gloriosi che infonde un senso di genuina nostalgia. Con questo non non voglio dire che era tutto bello e buono, tutt’altro, ma le atmosfere di quell’epoca sono indimenticabili

  2. Gianna Romanello // 17 marzo 2014 a 15:58 // Rispondi

    Me li sto gustando uno ad uno queste zumate della mia giovinezza. A settant’anni si gustano più che a venti ed io ne avevo proprio venti quella volta che ci siamo scapicollati verso Acireale su una spider rossa fuoco del riccastro del gruppo. Eravamo in quattro e c’era posto solo per due. Niente carretti e niente asibi, quella volta, invece c’erano molti carabinieri e noi tutti in caserma.

  3. Gianni Musumeci // 18 marzo 2014 a 9:23 // Rispondi

    Chi non ha conosciuto la Catania di cinquant’anni e conosce quella di oggi non può nemmeno immaginare il perchè di quell’inestinguibile nostalgia che ancora provano i catanesi che allora erano ragazzi.
    Io sono originario di Giardini e nonostante i trent’anni trascorsi in Baviera ed i venti a Roma non mi vergogno di affermare che quella è stata la stagione più bella della mia vita. Ma non perchè ero ragazzo, no, perchè ragazzo ero ma non avevo nemmeno i soldi per andare al cinema o a prendere un gelato. Era quello stare insieme tra di noi che ti faceva stare tranquillo e sicuro, che ti proteggeva e ti dava sicurezza e tranquillità, anche se le cavolate le facevamo ed erano anche toste.
    Leggo queste pagine e mi rituffo nel passato e per questo ringrazio l’autore di questi veri e propri squarci su un passato che mi appartiene.

  4. Nel mese di giugno del 1962 ho saltato un esame all’università e me la sono fatta a piedi da Ognina ad Acicastello solo per vedere una ragazza che alla festa di sant’Agata mi aveva sorriso dopo avermi calpestato un piede con un tacco micidiale. Le ho chiesto dove abitava e mi ha detto che la sua casa affacciava a “Bagnaculo” e si è messa a ridere per quel nome buffo. Io le ho detto che sarei andato a trovarla ed ho mantenuto la promessa, ma ero senza macchina e quel giorno l’autobus non circolava.
    Ci sono ritornato molte altre volte e dopo qualche anno Rosaria ….è diventata mia moglie.

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