Per chi ama la musica classica Fryderyk Chopin è come un buon amico che rivedi sempre con piacere, una cara presenza che ti riscalda con la sua sola ombra. E’ una musica particolare la sua, un tratto delicato e gentile i cui echi li ritrovi nel profondo di te stesso. E’ proprio così, Chopin come una rifrazione dell’anima nelle sue tante sfaccettature, che è poi l’essenza della musica romantica, quale verrà vissuta intensamente da Schubert, Mendelssohn, Liszt e, soprattutto, Schumann. L’emozionalità allo stato pure, qualcosa che non può non coinvolgere ed è quanto è avvenuto con Yundi Li, il grande pianista cinese per la prima volta a Roma in concerto nell’Aula Magna dell’Università.
Serata a tutto Chopin, musicista a lui particolarmente caro per aver vinto l’omonimo concorso a Varsavia ed ora, in virtù del suo bel rapporto con la cultura polacca, in giuria del concorso stesso. E che Chopin lo ami e lo faccia “sentire” è evidente sin dall’inizio, la “Ballata n.1”, con quel tocco nitido che si sviluppa poi nel crescendo e si distende morbido ma deciso nel refrain. E non è solo grande padronanza stilistica, il cui rischio, come sappiamo, è un virtuosismo spesso autoreferenziale, perché qui si sente un calore intrinseco all’esecuzione musicale. Calore che caratterizza la prima parte del programma, le quattro Ballate composte da Chopin fra il 1836 ed il 1843.
La “Ballata n.2” appare più tranquilla, almeno nella fase introduttiva, poi s’accende in impennate melodiche dove irrompe la piena dei sentimenti, ma controllata, soprattutto stilisticamente. Non si avvertono sbavature, le dita di Yundi Li è come passeggiassero sulla tastiera, con eleganza e sobrietà, anche nei passaggi più arsi, quando appunto sale l’èmpito emotivo. Tutto è limpido in Chopin, una chiarità di suono che fa delle sue composizioni per piano dei “veri quadri poetici”, come ebbe a scrivere Schumann.
Altrettanto si può dire per la “Ballata n.3”, pervasa a tratti di quella dolce malinconia che è una peculiarità del musicista polacco (il suo carattere, certo, ma influiscono anche la patria lontana sotto il giogo russo e le sue condizioni di salute che nel 1841, quando scrisse il pezzo, si erano aggravate). E, infine, la “Ballata n.4”, la cui fresca vena narrativa trascolora di continuo, sino a sciogliersi nel dirompente finale. E proprio questo cangiare repentino fascinava Schumann, tanto da fargli scrivere che “Egli è e rimane il genio poetico più ardito e più fiero del tempo”.
Ma, come già detto, è l’anima romantica, che si ritrova nella seconda parte del concerto, i “Preludi”, i 24 splendidi frammenti op.28 che Yundi Li ha eseguito integralmente. E qui cito di nuovo Schumann. “Sono schizzi, principi di studi o, se si vuole, rovine, penne d’aquila, tutto disposto selvaggiamente e alla rinfusa. Ma in ciascuno dei pezzi sta scritto con delicata miniatura madreperlacea: “Lo scrisse Chopin”; lo si riconosce dalle pause e dal respiro impetuoso”. E’ vero, assolutamente vero.
E’ un procedere quasi per appunti, un susseguirsi di brevi poemi compiuti e frasi musicali poco più che abbozzate, slanci e pause, all’idillio subentra il turbine, luce e ombra, afflato primaverile e uggia invernale, in un impasto cromatico di grande bellezza. E con passaggi talora struggenti come il famoso preludio n.15 “La goccia d’acqua”, che Yundi Li ha reso in modo superbo. Di Chopin è riuscito davvero a estrarre l’intimo pathos e questo traspare nei Preludi meglio che nelle Sonate, in quanto, per la brevità, è più facile catturare “integra” la sensazione dell’attimo, e non diluirla come inevitabilmente avviene per le Sonate.
Giovane e già di robusta tempra (mi fa pensare a grandi del passato come Fischer, Istomin, Rubinstein) Yundi Li, oltre che per la bravura, è interessante per come lui, uomo di altra (e ricca) cultura riesca ad interpretare la nostra (e non è solo, vedi Yo Yo Ma e le sue splendide interpretazioni di Bach). Si aggiunga poi il suo impegno per i diritti umani e la promozione della Musica Classica in patria, nonché il suo ruolo come Ambasciatore della Croce Rossa Cinese. Ce n’è abbastanza per definirlo un grande umanista del nostro secolo.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 13 marzo 2016.il20 marzo 2016.
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