All’inizio è leggenda, il Ficus Ruminalis, la Lupa, Romolo e Remo poi la nascita di quella che diverrà la capitale di un impero e il colle dove sorgerà il Tempio del dio, Giove, con accanto Giunone e Minerva: la triade capitolina, i Lari ai quali è demandata la protezione della città. E’ il Mito, appunto, che viene ora ripercorso nell’interessante (e imperdibile per chi ama l’Urbe) mostra in corso ai musei capitolini, “Campidoglio. Mito, memoria, archeologia”, il cui pregio maggiore è nell’essere per così dire autoctona, cioè assemblata con materiale non esterno ma proveniente da contributi esclusivamente nostrani. Un bel lavoro delle Soprintendenze, con l’esclusione del prestito del Getty Museum, un capolavoro firmato da William Turner.
“Modern Rome – Campo Vaccino”, la Roma dei Cesari che in quella sospensione di luce, il Foro e le sue rovine che sembrano sbocciare dai vapori di un mattino ancora acerbo, ha qualcosa fra onirico e magico. In questa rappresentazione di sconvolgente bellezza si compendia davvero la storia dell’Urbe antica, ne respiri il senso del Mito, quale ammaliò Turner, questo magnifico precursore dell’Impressionismo. Rovine, capre, pastori, Campo Vaccino, dove un tempo si celebravano i trionfi imperiali e dove ora pascolano le greggi, ma anche il luogo in cui il flusso della Storia è ancora una presenza palpabile.
E poi le carte di Roma, documenti notevoli, come la mappa del Dupérac, del 1577, nella quale figura la cupola di San Pietro incompleta, in quanto la morte di Michelangelo l’aveva fermata al tamburo (ci penserà Della Porta a completarla). O il disegno di Filippo Juvarra, il grande architetto dei Savoia, che mostra il colle prima delle demolizioni alla base, con la zona medioevale di Macel de’ Corvi, di cui oggi resta solo il rudere di San Biagio in Mercatello. E, fra gli altri, naturalmente il Piranesi, con un Campo Vaccino di certo più sanguigno di quello di Turner, le rovine come sedimenti della Storia.
Un salto nel tempo e, volutamente snobbata, perché fin troppo nota, la sistemazione michelangiolesca, si passa alla parte inferiore del colle, dove era il Palazzo Caffarelli, parzialmente demolito a furor di popolo dopo la prima guerra mondiale perché sede dell’ambasciata prussiana (dove, come si legge in una guida del 1921, “la sconfinata superbia dell’imperatore germanico Guglielmo II aveva stabilito il suo trono”). Per fortuna vennero distaccati gli affreschi dalla volta dello scalone principale ed ecco in mostra i ritratti di Carlo V (ricevuto a Roma da Ascanio Caffarelli), Filippo II, il re del “Siglo de oro” ispanico, e poi figure allegoriche e paesaggi fantastici nello stile di Paul Brill.
Il riassetto del colle capitolino era già iniziato in epoca umbertina, con l’edificazione del Vittoriano che aveva comportato la distruzione del convento dell’Aracoeli e della Torre di Paolo III con il corridoio pensile che lo collegava a Palazzetto Venezia (poi smontato e rimontato accanto a Palazzo Venezia negli anni ’20). La Roma fascista conobbe altri interventi non meno drastici, sul lato di via di Monte Caprino, Via della Consolazione, piazza Montanara, con la scomparsa dell’Arco dei Saponari (qui era un teatrino di marionette al quale il Gregorovius dedica alcune gustose pagine) e la ricostruzione della chiesa di Santa Rita verso il Teatro Marcello. I vari passaggi sono documentati da foto d’epoca all’albumina o calotipia fino a quelle prima metà del ‘900, ma l’interesse maggiore è nei due plastici ad opera di Antonio Munoz, insigne storico dell’arte ed architetto che restaurò molte chiese romane (in particolare Santa Sabina). Realizzati fra il 1928 ed il 1932 mostrano il colle capitolino prima e dopo gli interventi per isolarlo e valorizzarlo nel suo significato storico (e politico).
Si iniziò poi a scavare sotto i resti di Palazzo Caffarelli e l’Ospedale Teutonico alla ricerca del tempio di Giove Ottimo Massimo recuperando una gran massa di materiale fittile. In mostra frammenti di terracotta ascrivibili alle varie fasi di costruzione e/o ristrutturazione, a cominciare da quella arcaica del VI secolo a.C., con il tempio del tipo etrusco-italico. E sono sime, antefisse, acroteri, figure come quella (parziale) di Potnia Theron, la Signora degli Animali, divinità di derivazione greca.
Una mostra interessante perché sintetizza un tema, quello del colle capitolino, mai affrontato in maniera organica, con un percorso espositivo che ne illustri le varie fasi storiche. Anche la scelta dei pezzi è mirata, proprio per focalizzare meglio il discorso, cosa che direi senz’altro riuscita ed è importante perché il Campidoglio è il cuore pulsante di questa straordinaria (quanto caotica, diciamolo pure, senza vergogna) città.
“Campidoglio. Mito, memoria, archeologia” ai musei Capitolini fino al 19 giugno. Tutti i giorni h.9,30-19,30, euro 14 intero (musei più mostra) e 12 ridotto. Per informazioni www.musei.capitolini.orgwww.museiincomune.it
Scritto da: Antonio Mazzain data: 22 marzo 2016.il25 marzo 2016.
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