“C’è un mistero e un prodigio nella semplice scena, un mistero e un prodigio che vanno più a fondo della vita comune. Tutto sembra così gaio e così leggero. Eppure tutto ha un peso, un suo peso e una sua profondità di significato che vanno oltre la semplice bellezza estetica…”. Così David Herbert Lawrence in “Pagine di viaggio” dove descrive il suo incontro con il mondo etrusco, in una tomba di Tarquinia. E’ vero, mistero e fascino sono le sensazioni che prova chi si accosta ai Rasenna o Tyrsenoi, perché, al contrario dei romani, ciò che ci hanno lasciato parla soprattutto dell’aldilà. Ma è un “oltre” descritto con levità e grazia (le pitture parietali), come nota appunto Lawrence e come viene confermato da “Gli Etruschi e il Mediterraneo. La città di Cerveteri”, al Palazzo delle Esposizioni.
Non solo il mondo infero ma anche la vita di tutti i giorni, testimoniata dalle ceramiche, gioielli, oggetti di uso domestico, e il tratto comune è proprio la “bellezza estetica” di cui parla lo scrittore inglese. Certamente grezza nel periodo villanoviano che precede la formazione del nucleo abitativo di Caere (Kaisraie in etrusco), come attestano gli ossuari biconici, ma, quando gradualmente si afferma la città-stato, è come uno sbocciare improvviso. Grazie alla sua posizione al centro dell’Etruria, con il mare a poca distanza ed un porto molto attivo (Pyrgi).
Ma c’erano anche Punicum, S.Marinella, e Alsium, Palo), Caere divenne un punto di snodo di scambi e commerci. Insomma una città prospera, come testimonia il corredo della famosa tomba Regolini Galassi o quella, non meno famosa, delle Cinque Sedie (splendida la figura del defunto assiso). Risalgono al periodo orientalizzante, VII secolo, e l’influsso ellenico permarrà a lungo nella cultura etrusca, filtrato dai rapporti con le colonie della Magna Grecia (nella prima fase di espansione gli etruschi erano arrivati a Capua). E’ evidente soprattutto nella copiosa produzione vascolare, con crateri, anfore, oinocai (brocche), dove compaiono scene bacchiche o il classico ciclo delle fatiche di Ercole (vedi Eracle e Anteo). Sono artigiani provenienti dall’Asia Minore o maestranze locali e l’apice si raggiungerà nel VI secolo, la fase ionica, che coincide non a caso con l’affermarsi di Caere come potenza anche militare (la sua flotta, alleata con quella cartaginese, sconfigge i focesi nel 540 a.C.). E’ il momento del massimo sviluppo, che ha i suoi punti di forza nel buon governo cittadino, nella florida economia alimentata soprattutto dal porto di Pyrgi e nell’arte, ceramica, pittura, lavorazione dei metalli. Caere è ormai una delle città-stato più importanti della Dodecapoli, i cui rappresentanti si riunivano ogni anno nel Fanum Voltumnae per eleggere lo “zilath mech rasnal”, il capo della Federazione Etrusca (dove la donna, a differenza di altre culture, aveva un rapporto di parità con l’uomo).
Le famose idrie ceretane, i buccheri, le terrecotte dipinte (come le lastre Campana qui esposte), l’eccellente produzione funeraria ( Il sarcofago degli sposi, coevo a quello di Villa Giulia), la statuaria in nenfro, trachite caratteristico della Tuscia, sculture a carattere sacro. Lo vediamo nell’area di Pyrgi, il tempio A di tipo tuscanico (lo stile tipicamente etrusco) e il tempio B di tipo greco, con antefisse ed acroteri di grande bellezza (notare anche una rara statua fittile con porcellino). E le lamine d’oro, naturalmente, il cui testo bilingue (fenicio ed etrusco) relativo alla consacrazione del tempio ad Uni-Astarte da parte del “marunu” (magistrato) Thefarie Velianas, testimonia dei rapporti con i cartaginesi (Tin, Uni e Menrva, cioè Giove, Giunone e Atena dei Greci, poi Minerva per i Romani). Gioielli, fibule, bronzetti (un peso con iscrizione), elementi architettonici (curiosa un’antefissa con testa di negro), terrecotte votive, il lituo che simboleggia il potere politico e religioso, la scultura che raffigura Charun, Caronte, il traghettatore nel mondo dei morti, il notevole sarcofago del magistrato, con scolpiti i libri acherontici.
Sono testi sacri che riguardano l’arte divinatoria, come l’aruspicina, la lettura del fegato degli animali sacrificati, nozioni poi fatte proprie dai romani (e come sappiamo i primi re furono etruschi). E’ proprio questo insistito aspetto sacrale, che avvolgeva l’intera esistenza degli etruschi, facendone in pratica un grande stato teocratico con a capo i lucumoni, re-sacerdoti, a renderli vulnerabili alle violente pressioni delle tribù celtiche dei Galli Senoni al nord, dei Sanniti al sud e dei romani al centro (ma anche la mancanza di unità all’interno della nazione etrusca). Con la caduta di Veio, nel 396 a.C., inizia il declino, fino alla Lex Iulia, 89 a.C, che sancì la fine dell’indipendenza amministrativa delle città-stato. E gli etruschi, ormai inglobati nella nuova cultura di Roma, divennero un ricordo che, col tempo, si è sempre più ammantato di mistero. Ed è appunto il sottile fascino che promana dalla mostra al Palazzo delle Esposizioni.
“Gli Etruschi e il Mediterraneo. La città di Cerveteri” al palazzo delle Esposizionifino al 20 luglio. Da domenica a giovedì h.10-20, venerdì e sabato 10-22,30, lunedì chiuso. Biglietto euro 12, ridotto 9,50. E’ previsto anche un laboratorio per scuola dell’infanzia e primaria. Per informazioni www.palazzoesposizioni.it.
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