Quando parliamo di arte sacra nella nostra regione pensiamo subito a Roma, l’immenso patrimonio accumulatosi nei secoli, che l’hanno resa città unica al mondo per la sua bellezza. Ma anche centri meno estesi, dove intorno al concetto di fede e trascendenza si è avuta una grossa fioritura artistica, pittura, scultura, architettura. Pensiamo a Viterbo, ad esempio, la città dei papi, o Anagni, altro centro legato al potere pontificio (Bonifacio VIII), o, ancora, Subiaco, con le sue memorie benedettine ed i meravigliosi cicli di affreschi. Il comun denominatore è sempre una certa spettacolarità di fondo, tipica dell’arte figurativa sacra, dove ben si coniugano esaltazione religiosa e fantasia creativa e dove sia il credente che il non credente trovano appagamento. E tuttavia esistono anche produzioni chiamiamole così “minori”, nascoste in piccole località, borghi, pievi sperse nella campagna che suscitano egual reazione emotiva. Basta cercarle ed è quanto propone la bella mostra in corso al Braccio di Carlo Magno al Vaticano, “Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo”.
E’ una vera sorpresa, perché le oltre cento opere esposte, soprattutto sculture in argento, bronzo e rame dorato, sono pressoché sconosciute, celate nelle sacrestie o custodite nelle raccolte diocesane. Opere spesso notevoli, prodotte da artigiani noti o rimasti anonimi che, oltre a documentare le varie scuole (ed influenze), sono una testimonianza della “pietas” popolare nei secoli (ancora viva, perché molti dei manufatti, croci processionali, statue, reliquiari, vengono esibiti durante le feste patronali). E subito si resta colpiti dalla statua equestre di Sant’Ambrogio, opera seicentesca in argento fuso da Ferentino, la cui vivida bellezza già dà il senso di quello che, su un piano puramente estetico, sarà la mostra.
E in effetti è così, perché ogni pezzo, anche il meno elaborato, di cui si avverte la matrice di semplice bottega artigiana, che riprende motivi popolari, ha una sua grazia ed armonia di linee e forme. Dalla essenzialità dei busti reliquiari di arte gotica, come Santa Maria Salome o i Santi Giovanni e Paolo, pezzo insigne del “tesoro” di Veroli (lo splendido Museo all’interno del Duomo di Sant’Andrea), ad una più elaborata base di croce con la Fuga in Egitto, di manifattura franco-angioina, da Gaeta (cittadina tutta da scoprire). O il braccio reliquiario di Bonaventura di Bagnoregio, del XV secolo, in argento sbalzato, cui fa da controcanto quello, non meno bello, di San Pietro Ispano, da Boville Ernica (e qui ricordo il mosaico di Giotto della primitiva basilica di San Pietro poi distrutta dal Bramante).
Ecco un nome famoso, Nicola da Guardiagrele, grande orafo abruzzese del XV secolo, presente con una bella croce processionale (ma il suo capolavoro è il paliotto d’altare nel Duomo di Santa Maria Assunta). Interessante è poi notare le influenze stilistiche, la Tuscia risente dell’arte orafa senese, la zona est del Lazio quella d’Abruzzo e il sud la scuola napoletana che è la più ricca come ornamentazione (vedi i calici ed ostensori del XVIII secolo). I pezzi pregiati non mancano, sia nel caso di committenza privata che pubblica, l’una perché in genere agiata l’altra in quanto la comunità si tassava per propiziarsi i favori del Santo locale che poi portava in processione (per un buon raccolto, contro le calamità, eccetera).
Allegorico, in questo senso, un busto reliquiario del XV secolo di Santa Margherita col drago, a rappresentare la lotta con il Male, da Montefiascone, d’influsso senese. E per restare nel campo delle reliquie notevoli la testa di San Lituardo, anch’essa del XV secolo, da Tarquinia, la statua in legno dorato di Santa Dolcissima, da Sutri, e il busto di Santa Maria Maddalena, da Gradoli, entrambi del XVIII secolo. Poi, oltre alle croci astili processionali, calici, ostensori, la “pace” (tavoletta in argento sbalzato che i fedeli baciavano prima della comunione: in genere vi è rappresentata una Pietà), da segnalare un San Sebastiano in argento fuso da Fumone e un Battesimo di Cristo da Casamari, prima metà del XVIII secolo.
Arte “minore” solo di nome perché, come ben traspare dalla mostra, qui sono esposti dei piccoli-grandi capolavori dell’oreficeria italiana, da riscoprire non solo per la loro intrinseca bellezza, ma perché rimandano a quell’eccezionale “museo diffuso” che è il nostro paese, come ha giustamente sottolineato, nel corso della presentazione della mostra, Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani. E lui di Bellezza se ne intende.
“Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo”, Braccio di Carlo Magno al Vaticano fini al 30 giugno. Da lunedì a venerdì 9,30-17,30, mercoledì 13,30-17,30, sabato 10-17. Domenica e festività vaticane chiuso. Ingresso libero. Per informazioni 0669883041.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 25 maggio 2015.il30 maggio 2015.
volevo segnalarVi l’uscita del libro “Benedetta Maremma. Storia dei santi della bassa Toscana” edito dalla Sarnus che racconta la vita e il culto di 25 santi tra le province di Livorno e Viterbo tra cui anche san Bernardo Janni, san Lituardo e santa Lucia Filippini.
Buonasera,
volevo segnalarVi l’uscita del libro “Benedetta Maremma. Storia dei santi della bassa Toscana” edito dalla Sarnus che racconta la vita e il culto di 25 santi tra le province di Livorno e Viterbo tra cui anche san Bernardo Janni, san Lituardo e santa Lucia Filippini.
Cordiali saluti
Marco Faraò