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Andy Warhol al Vittoriano

A pochi anni di distanza dalla mostra che gli era stata dedicata a Palazzo Cipolla, Andy Warhol torna a Roma nel Complesso del Vittoriano, per celebrare quello che sarebbe stato il suo novantesimo compleanno.

Liz, 1964

Nato a Pittsburg, in Pennsylvania, nel 1928, Andrew Warhola (questo il suo vero nome) morì nel 1987 a New York, dopo essersi affermato come star internazionale, amico di moltissimi VIP e ampiamente rappresentato nei musei di arte contemporanea. L’originalità della mostra “Andy Warhol”, a cura di Matteo Bellenghi, consiste nel fatto che ci mostrale sue molteplici attività artistiche e infatti il sottotitolo è “La vera essenza di Warhol in mostra al Vittoriano”. Noi siamo abituati a vedere le immagini ripetitive di Marilyno di Mao, ampiamente diffuse dai massmedia e fruite dalla collettività, mentre ci sfuggono alcuni dettagli sulla sua vita, per esempioil fatto che Warhol ha lavorato tantissimo nel mondo musicale. Egli in effetti iniziòla sua carriera come disegnatore di copertine di album, come quella celebre della banana sbucciabile nell’LP del 1967 The Velvet Underground &Nico, che vediamo in mostra.

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Ha avuto rapporti con i RollingStones, realizzòle teleserigraficheraffigurantiMick Jagger e fece per gli Stones delle copertine,tra cuiquella di Stickyfingers, con la cerniera apribile dei jeans:tutte cose documentate in mostra. Warhol ha avuto inoltre grandissimi rapporti con la moda e per questo una sezione all’interno di questa mostra è dedicata al mondo della moda. Tutti gli stilisti più famosi si facevano fotografare e ritrarre da lui. Troviamo Armani e Valentino e alcune bellezze femminili, come pure una serigrafia dedicata alle scarpe (Shoes,1980), che amava tanto riprodurre come oggetto feticcio (e in effetti troviamo anche delle scarpe oggetto nel bookshop insieme ad altri costosissimi gadget).
La sezione più ampia della mostraè dedicata alle sue celebri “icone” pop, da quella della Campbell’ssoup (una zuppa disidratata in scatola) del 1962 a Marilyn, proposta in tutti i colori, da Liz Taylor a Sylvester Stallone, da Mao alla serigrafia di Lenin, tutta giocata sul rosso e sul giallo. Ci sono ovviamente molte fotografie che lo ritraggono, divo in mezzo ai divie il celebre Selfportrait del 1986, dove si mostra con una strambaacconciatura e lo sguardo allucinato. Warhol era il centro catalizzatore della cultura newyorkese e frequentava i locali più alla moda, mentre i divi dello spettacolo e della politica frequentavano la sua Silver factory, così chiamata per la carta stagnola che riempiva i muri. Era ossessionato da sempre dalla celebrità e poiché all’inizio veniva etichettato come Andy lo straccione, fece di tutto per diventare uno dei più influenti protagonisti dell’arte del Novecento.  “Alcuni critici hanno detto che sono il Nulla in persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza – dichiarò Warhol – Poi mi sono reso conto che la stessa esistenza non è nulla e mi sono sentito meglio. Ma sono ancora ossessionato dall’idea di guardarmi allo specchio e di non vedere nessuno, niente”. Tra le “icone” troviamo anche la Mona Lisa e stranamente anche l’immagine di Sant’Apollonia, raffigurata con il simbolo del suo martirio, le tenaglie che stringono un dente. Il suo legame con l’Italia è evidenziato dalle serigrafie con ilVesuvio, forse le immagini più potenti di tutte, perché mostrano il vulcano in eruzione con colori più o meno violenti.Un’opera in mostra decisamente pop è un’installazione con innumerevoli flowersripetuti all’infinito da un gioco di specchi.
Il curatore Matteo Bellenghi nel corso della trasmissione televisiva “Applausi. Teatro e arte”, rispondendo alla domanda del perché Warhol non ci appassiona più di tanto (forse appassiona gli americani, ma noi che siamo cresciuti ammirando Raffaello e Michelangelo siamo piuttosto freddini nei suoi riguardi), ha detto che in effetti “Warhol è stato definito un artista freddo, perché lui è stato se vogliamo artista del business, come dichiara lui stesso.A lui non interessava tanto dare un’emozione quanto rappresentare e produrre a livello industriale”. Ed è per questo che molte volte chi vede una sua mostra resta un po’ distaccato, perché lo era anche Warhol nei confronti delle sue creazioni. Lui riproduceva semplicemente un’immagine riproponendo lo specchio dell’America del secondo dopoguerra, la crescita della pubblicità  e del consumismo: del resto all’inizio Warhol era fondamentalmente un pubblicitario: un grafico che disegnava sui magazines. Ricordiamo anche che, oltre ad essere stato un artista di successo, Warhol è stato regista e attore, soprattutto negli anni Sessanta, anzi all’inizio voleva abbandonare la pittura per dedicarsi esclusivamente al cinema negli studi all’interno della sua factory.

Mao, 1972

Warhol è molto complesso da capire, perché al di là della semplicità delle immagini più popolari,“c’è anche uno studio dell’interiorità dell’anima di Warhol”, secondo Bellenghi. La Marilyn viene realizzata nel 1962, poco dopo la morte dell’attrice,perrendere una sorta di omaggio alla diva, sempre con certo distacco,e fare del suo volto un’icona perpetua, tant’è che ormai noi, quando pensiamo alla Monroe, ci focalizziamo su quell’immagine, che tra l’altro non è neanche di Warhol.Il fatto che ne parliamo ancora oggi è perché ha fondato una sorta di Manierismo contemporaneo.Sono molti gli artisti odierniche ripropongonoil tema pop della Marilyn rielaborandolo.Con la sua reiterazione Warhol ha creato un divenire, mostrando che “in realtà non c’è ripetizione, che tutto ciò che guardiamo è degno della nostra attenzione”, come ha scritto John Cage.

ANDY WARHOL
Complesso del Vittoriano – Ala Brasini, Roma
3 ottobre 2018 – 3 febbraio 2019
Orari: da lunedì a giovedì 9,30 – 19,30; venerdì e sabato9,30 – 22; domenica 9,30- 20,30
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Biglietti: intero 13€; ridotto 11€ (più altri ridotti). Nel biglietto è inclusa l’audioguida

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