Quell’estate del 2011 fu particolarmente calda per l’Italia. La continua altalena dello spread, i richiami della Bce, le classifiche in negativo di Standard & Poor’s ed un reale rischio di bancarotta avevano innescato una pericolosa crisi economica e politica che sembrava senza sbocco. Poi venne nominato un governo tecnico che, almeno nelle premesse, avrebbe evitato la catastrofe, il governo Monti, il quale, pur non essendo la sperata panacea, qualcosa risolse. Ma lasciò dietro di sé alcuni frutti avvelenati, uno in particolare: la riforma Fornero, che provocò 400mila “esodati”. Erano tutti lavoratori che, avendo sottoscritto accordi aziendali per la pensione anticipata di vecchiaia, con l’innalzamento dei limiti di età si trovarono improvvisamente senza stipendio e senza pensione. Un limbo dove l’unico imperativo per molti, tanti, era di arrivare a fine giornata, come Francesca, la protagonista di “L’esodo”, per la regia di Ciro Formisano, ambientato a Roma.
Ben poco le è rimasto di quando aveva una sicurezza economica, a causa della figlia tossicodipendente e quel poco, ancor più ridotto dalla sua condizione di esodata, deve ora impegnarlo per sé e la nipote Mary la quale, come tutti gli adolescenti, segue la legge del branco, pena l’esclusione (smartphone ultimo modello, jeans alla moda, scarpe idem). Donna sola Francesca ama la nipote, nel ricordo della figlia morta per overdose, e sopporta il suo egoismo generazionale, ma la realtà s’impone brutalmente. Fitto, bollette varie, la spesa quotidiana, ma le risorse economiche sono sempre più scarse e, come non bastasse, quella sprezzante frase di Mary: “La vostra è una generazione ridicola, avete fatto il ’68 e adesso fate la fame!”. Non può né vuole capire i sacrifici di Francesca ormai al limite, tanto che è lì per prendere della frutta ancora buona vicina al cassonetto ma non ha ancora perso la sua dignità.
Ed ecco la sua scelta, in ginocchio fra i portici di piazza Esedra, il cartello “esodata” innanzi e accanto una scatoletta di tonno (forse l’ultima che ha consumato) vuota per contenere le monete. E l’attesa, chi passa indifferente, chi getta qualche spicciolo, e così nei giorni che seguono, questa la nuova non-vita di Francesca che pure l’accetta con umiltà. Con la nipote inventa lavori inesistenti finché lei la scopre, fuggendo per la vergogna (se il branco sapesse…) ed è una nuova, insanabile ferita per Francesca. Ma lei, che nel frattempo è finita sui giornali, non molla, la povertà non è un delitto, colpevole è chi la provoca, soprattutto se riveste un ruolo di responsabilità. E la sua coerenza (e il suo stoicismo, verrebbe da dire) alla fine risalta (la nipote, che finalmente ha capito, torna) e anche se il problema resta aperto comunque la dignità è salva.
Storia emblematica “L’esodo”, che affronta un tema del tutto ignorato dal cinema, perché coinvolge poco o nulla il grosso pubblico. Quindi un film di nicchia girato con uno sguardo retrò a quello che è stato il cinema impegnato degli anni ’70, un dolente apologo sociale che il regista Ciro Formisano (toni secchi, nervosi, talora troppo bruschi) ha ricavato da una storia vera. Difetta però il respiro corale, nel senso di una visione più ampia del problema (400mila esodati è una massa enorme di persone), sviluppato tutto a livello di dramma individuale. Questo peraltro risulta ben espresso dalla magnifica interpretazione di Daniela Poggi impegnata in un ruolo non facile, perché si poteva scadere nel melodramma. “Mi sono calata nella sofferenza” ha detto l’attrice a proposito del suo personaggio ed è vero, così vissuta sin nelle sfumature Francesca diventa simbolo credibile di un malessere sociale (e per certi versi lo è anche la nipote, interpretata da Carlotta Bazzu, espressione di un’adolescenza che non ha punti di riferimento).
La figure di contorno, dal coatto alla zingara al pittore, sono come una macchia di colore ma, soprattutto, riverberano una solidarietà umana che crea come una fascia di sicurezza intorno a Francesca (sopra le righe quello della zingara). E non manca un pizzico di (amara) ironia, con il dialogo surreale fra l’esodata e l’esodante, Francesca e la Fornero, due mondi in completa divergenza fra loro. E il merito del film, come dicevo, è appunto di aver narrato questi due mondi contrapposti, cosa che, come ha dichiarato il regista, è avvenuta in silenzio, senza il minimo appoggio politico, malgrado il tema scottante. Ne risulta un film autoprodotto, con i limiti imposti da un budget limitato, ma non per questo meno coraggioso nella denuncia. Un film che suscita dibattito e che quindi merita di essere visto perché il problema degli esodati, questa vergogna di Stato, è ancora lungi dall’essere risolto.
“L’esodo” (2017), regia di Ciro Formisano. Interpreti: Daniela Poggi, Rosaria De Cicco, David White, Simone Destrero, Carlotta Bazzu. Stema Distribuzione.
Inserire un commento