Un tipico caffè parigino inizio ‘900 con i tavolini sul marciapiede e, sopra, come dimenticati, una bottiglia, un bicchiere e una tavolozza ancora sporca di colori. Siamo a Montparnasse e questo è il punto di ritrovo dei pittori che frequentano il quartiere e che qui dividono sogni e fame, perché vivono tutti alla disperata. Una stamberga dove abitano e dipingono, pochi franchi in tasca, eppure sono lì a discutere animatamente d’arte, magari barattando un quadro per una minestra. E, per fortuna, trovano un angelo custode, Jonas Netter, commerciante filantropo che si affeziona a questi sognatori acquistando le loro opere in cambio spesso di vitto e alloggio. Mette su una collezione d’incredibile valore soprattutto sul piano artistico, come momento di gestazione delle nuove forme espressive che avrebbero rivoluzionato la pittura europea della prima metà del XX secolo. Ed ecco, in un centinaio di opere, ciò che è nato a Montparnasse in quel periodo di fermenti, “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti – La Collezione Netter”, in mostra a Palazzo Cipolla, al Corso.
Amedeo Modigliani, di Livorno, il più famoso del gruppo, mai riconosciuto nel suo giusto valore (anche Picasso non fu tenero nei suoi confronti) perché troppo innovativo. Ma non si arrese mai, testardo, grazie anche all’aiuto di Netter, e dipinse fino all’ultimo, stroncato dalla tubercolosi a soli 36 anni. La frustrazione lo spinse all’alcolismo e tuttavia ciò non gli impedì di realizzare opere notevoli, specialmente ritratti nei quali eccelleva, come dimostrano, ad esempio, “Elvire con colletto bianco”, “Ritratto di Zborowski” (mercante d’arte che credette in lui), “Bambina in abito azzurro”, ma, in particolare, “Ritratto di ragazza dai capelli rossi”( Jeanne Hébuterne, la giovane moglie che, dopo la sua morte, non resse al dolore e si suicidò: di lei è in mostra il lirico “Adamo ed Eva”). Formatosi nella tradizione della pittura toscana Modigliani di essa conserva la purezza delle linee e della forma (e pensi inevitabilmente al Pisanello), per nulla influenzato dall’esperienza cubista di quegli anni (accenni però si trovano in “Cariatide”, disegno). Non fa scuola, resta un pittore a sé, meravigliosamente a sé.
Grande amico di Modì era Maurice Utrillo, personalità tormentata, afflitto da un forte complesso edipico ed alcolizzato senza speranza. Eppure la sua pittura è di grande bellezza, di un malinconico intimismo che diventa poesia, come in “Porte Saint Martin”, “Avenue Rozée a Sannois”, “Paesaggio corso”. Il segno ora deciso ora più sfumato, secondo i moduli impressionisti (ma lui resta un po’ a margine), i colori vividi (vedi il cielo plumbeo di “Scuola maschile, Place Carnot ad Argenteuil”) e, soprattutto, quel clima sospeso dove il pennello cerca di fissare ed eternare la fugacità del quotidiano (e, dunque, la precarietà della vita), tutto ciò rende la pittura di Utrillo struggente (“Chiesa di periferia”). Ma questo, sia pure con mille varianti, è un po’ il leit-motiv dei pittori “maudit” che gravitano a Montparnasse, molti dei quali ebrei dell’Europa orientale scampati ai “pogrom”. Come Chaim Soutine, un carattere da selvaggio quale conseguenza delle violenze subite. E la sua è una pittura violenta, aggressiva nelle linee come nei colori, tendente all’Espressionismo, come traspare sia dai ritratti (“La pazza”, “Uomo con cappello”) sia da altri temi (paesaggi e nature morte).
Un gruppo numeroso quello dei “maudit”, con personaggi che saranno fondamentali nella storia della pittura. Come Maurice de Vlaminck, uno dei fondatori del movimento fauve, dal cromatismo acceso, che cattura subito l’attenzione (“Mazzo di fiori”, “Veliero nella tempesta”), al contrario dell’amico André Derain, anche lui un fauve, ma più controllato, con influenze cèzanniane (“Le grandi bagnanti”). Altra figura di rilievo è Suzanne Valadon, la madre di Utrillo, dapprima modella ed amante di pittori (Renoir fra questi) poi, incoraggiata da Toulouse-Lautrec, pittrice lei stessa, con buoni risultati (uno stile versatile, dal figurativo di “Ritratto di Maria Lani” al quasi fiabesco di “Veduta di Corte”). Interessanti anche Henry Hayden, il cui iniziale cubismo si attenua in toni più morbidi (“Bevitore bretone”), Isaac Antcher, con la sua pittura di paesaggio che rimanda a Corot, pervasa da un senso panico della natura (“La valle dei lupi”, “Paysage avec berger”), e poi Henri Epstein, che finirà i suoi giorni ad Auschwitz, Léon Sola, Jan Waclaw Zawadowski, Moise Kisling, il mattacchione del gruppo, che ritrasse attrici famose come la Falconetti e Arletty e, in “Ritratto d’uomo”, il mecenate del gruppo, quel Jonas Netter la cui sensibilità artistica ha permesso che di questa comunità bohémienne non restasse solo un ricordo ma qualcosa di più. E non possiamo non essergliene grati.
“Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti – La collezione Netter” al Palazzo Cipolla, via del Corso 320, fino al 6 aprile 2014. Da martedì a domenica h.10-20, lunedì 14-20. Biglietto: intero 13 euro, ridotto 11 (audio guida inclusa). Insieme a Palazzo Sciarra, dove è in corso “Il Tesoro di Napoli”, Palazzo Cipolla fa parte del piccolo ma prezioso polo museale-espositivo ben gestito dalla Fondazione Roma. Chi acquista il biglietto ad una mostra ha diritto allo sconto sull’altra.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 2 febbraio 2014.il4 febbraio 2014.
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