Quel 26 dicembre 1519 era davvero un giorno speciale perché nella Cappella Sistina, alla presenza di Papa Leone X Medici e della corte pontificia vennero esposti i primi sette arazzi di una serie commissionata nelle Fiandre, su cartoni di Raffaello. Anche il grande urbinate era lì, ad assistere a qualcosa che, come notava il cerimoniere della Cappella Papale, “ut fuit universale juditium, sunt res qua non est aliquid in orbe nunc pulchrius”.
Foto © Governatorato SCV – Direzione dei Musei.
Nulla si era mai visto di più bello prima al mondo, un evento eccezionale che si ripete oggi, celebrando i 500 anni dalla morte di Raffaello e oggi come ieri è il trionfo della Bellezza che ti inonda gli occhi e l’anima appena varchi la soglia della Sistina.
Il ciclo al quale lavorò il maestro concerneva gli Atti degli Apostoli, le vite dei Santi Pietro e Paolo, ciclo con il quale Papa Medici volle aggiungere la sua impronta a quella dei predecessori (Sisto IV e Giulio II), realizzando una sorta di corollario teologico alla profonda (e spettacolare) religiosità della Cappella Sistina. E così, come scrive il Vasari nelle Vite, “venne volontà al Papa di far panni d’arazzi ricchissimi d’oro e di seta filaticci per che Raffaello fece in forma propria e grandezza di tutti, di sua mano i cartoni coloriti, i quali furono mandati in Fiandra”. Qui, a Bruxelles, nella bottega del tessitore Pieter van Aelst, raffinato artigiano famoso in tutta Europa (richiesto anche dalla corte di Madrid), gli arazzi presero forma, divenendo, come giustamente nota Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani, quella eccezionale “catechesi visiva” che ora ammiriamo.
Ed ecco il ciclo che orna le pareti della Sistina, la parte inferiore, sotto gli affreschi quattrocenteschi, e la prima cosa che si nota è l’armonia d’insieme. Ovvero, nonostante il divario cronologico, quasi un secolo fra le opere dei maestri fiorentini ed umbri e gli arazzi raffaelleschi, pure le une e gli altri dialogano in una elegante simbiosi che esalta maggiormente la già perfetta bellezza della Cappella. Inoltre l’ordito e la trama delle fibre tessili risultano così fedeli al modello originario da creare una vera e propria narrazione (superando cioè il concetto dell’arazzo come elemento decorativo). E lo vediamo subito con i vari “capitoli” dove, oltre alla delicatezza compositiva, un linguaggio di colorita sobrietà, risalta il tocco d’insieme, mai agiografico, nonostante il tema trattato.
Ogni particolare diventa così immediatamente leggibile e si trasmette senza filtri al pubblico (all’epoca, mostrati durante le processioni del Corpus Domini, gli arazzi avevano comunque una funzione educativa, oggi prevale l’aspetto estetico). Evidente lo stupore nella “Conversione di Saulo”, il futuro apostolo in terra, sbalzato dal cavallo in fuga sullo sfondo, i commilitoni che accorrono sgomenti e Dio padre in alto. Un clima sospeso caratterizza la scena, al contrario delle altre del ciclo, più dinamiche. Come la “Lapidazione di Santo Stefano” o la “Morte di Anania”, entrambe di forte drammaticità, mentre più raccolte appaiono la “Consegna delle chiavi”, con un Cristo diafano che arringa gli Apostoli, e “San Paolo predica ad Atene”. Sul solenne invece la “Guarigione dello storpio” e squisitamente allegorico “San Paolo in carcere”, dove, sotto la sua cella, una figura titanica squarcia le viscere della terra. Il terremoto, appunto, che per i romani era provocato da Poseidon, Nettuno (e il ‘500 faceva volentieri riferimento alla mitologia greca e romana). Questo è un Fregio, che fa il paio con l’altro, “Fregio delle ore”, l’arazzo quale è nella sua originaria funzione decorativa (ben in risalto lo stemma Medici).
Ma l’arazzo più fascinoso è indubbiamente la “Pesca miracolosa”, Gesù e gli Apostoli sulla barca, gli altri che pescano in abbondanza, gli aironi sulla sponda in primo piano e tutto appare di un nitore cristallino. Il particolare che sorprende è l’aver saputo rendere la trasparenza delle acque in maniera realistica, con le ombre riflesse di Gesù e Simon Pietro mentre i figli di Zebedeo, sull’altra barca, tirano su le reti gettate nel lago di Gennèsaret (Vangelo di Luca). Colpisce anche la cura nel delineare il paesaggio, qui molto in dettaglio, ma anche altrove (vedi Santo Stefano) cura che non viene meno quando le figure sono inserite in un contesto architettonico (“Guarigione dello storpio”, con quelle colonne che sembrano anticipare Bernini, “Accecamento di Elima”). E questa narrazione figurata di bellezza si aggiunge a quella che il grande urbinate ha sparso per il Vaticano, in affreschi (le famose Stanze) e quadri (la “Pala Oddi” dedicata alla Madonna di Foligno e la “Trasfigurazione”, ultima e sublime opera). Una magnifica “catechesi visiva”, appunto, che nel tempo ha superato la barbarie dei lanzichenecchi (rubarono i fili d’oro racchiusi nelle trame) e le razzìe napoleoniche (le opere furono riscattate dal cardinal Consalvi).
E c’è poi un “antipasto” per così dire, meglio, un’introduzione ai 500 anni di Raffaello, esposta nella pinacoteca: la “Pala dei Decemviri” del Perugino. E’ il suo maestro, grande anch’egli per eleganza contemplativa, dove s’esprime al meglio tutta la dolcezza della pittura umbra del ‘400 (vedi il Pinturicchio, che collaborò con Perugino alla Sistina). “La grazia che ebbe nel colorire in quella sua maniera, la quale tanto piacque al suo tempo”, scrive il Vasari nelle “Vite” ed è vero, perché le figure della Madonna con il Bambino in trono ed ai lati i santi Lorenzo, Ludovico da Tolosa, Ercolano e Costanzo, rivelano una delicatezza cromatica che trasfigura l’intera composizione. Tutto appare un po’ trasognato, come una visione celeste che l’espressione dei personaggi, la Vergine più in alto rispetto ai santi e come inserita in una sorta di baldacchino a colonne, e i santi in meditazione, rimanda ai canoni classici della “Sacra Conversazione”. Il Cristo nella cimasa che completa la Pala, qui ricomposta per la prima volta, appare invece dolente, come rassegnato al suo destino, le braccia tuttavia aperte verso il mondo, per accoglierlo nella sua volontà di redenzione. E questo capolavoro (bellissima anche la cornice), che il Canova recuperò a Parigi dopo la caduta del Bonaparte, è lì a suggello di una mostra che è davvero il trionfo della Bellezza.
Foto © Governatorato SCV – Direzione dei Musei.
“Atti degli Apostoli”, fino al 23 febbraio e “Pala dei Decemviri” fino al 30 aprile. Ai Musei Vaticani da lunedì a sabato h.9-18, biglietto intero euro 17, ridotto 8. Per informazioni 0669883041 e www.museivaticani.va
Scritto da: Antonio Mazza in data: 19 febbraio 2020.il23 aprile 2021.
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