Roma, 1903, una scoperta archeologica sensazionale avvenuta per caso. Ludwig Pollack, archeologo e mercante d’arte praghese, acquistava da un rigattiere in via delle Sette Sale, all’Esquilino, un frammento marmoreo. Era il braccio piegato di una statua ritrovato lì nei pressi ed il suo intuito, particolarmente sviluppato (aveva subito compreso l’importanza della “Fanciulla di Anzio”, sottovalutata dal mondo accademico), glielo fece collegare al gruppo del Lacoonte, peraltro scavato nella stessa zona. Sì, era quello il braccio originale, l’altro un rifacimento cinquecentesco, ma solo nel 1906 la scoperta venne ufficializzata meritando a Pollak riconoscimenti a livello internazionale e la “Croce della Cultura” da parte di Pio X (e fu il primo ebreo non convertito ad ottenere tale titolo).
Ludwig Pollak, nasce nel 1868 a Praga, la seconda città dell’impero austro-ungarico nonché importante centro di commercio e di cultura. Qui inizia gli studi sull’antichità classica che proseguiranno a Vienna, dove conoscerà personalità di rilievo, come lo storico Theodor Mommsen (e sempre a Vienna, nel 1917, stringerà amicizia con Sigmund Freud). E’ il clima fecondo della “Bildung”, la formazione e crescita culturale in una prospettiva di neo umanesimo, che vede il giovane Pollak impegnato in una continua ed appassionata ricerca dove l’aspetto filologico risulta primario. E lo si constata subito con le attribuzioni, non solo il Lacoonte ma, anni dopo, l’Atena di Mirone, nella collezione del conte Stroganoff, in via Gregoriana. Ma anche lui, oltre a far consulenze, raccoglie e tratta reperti antichi, come risulta dalla mostra “Ludwig Pollak. Archeologo e mercante d’arte (Praga 1868-Auschwitz 1943)”, divisa fra Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco e Museo Ebraico di Roma.
La sua era una casa-museo, prima a palazzo Alberoni Bacchettoni in via del Tritone, demolito nel 1928, poi in un bellissimo appartamento a palazzo Odescalchi, in piazza Santi Apostoli. Delle foto d’epoca lo ritraggono in mezzo alle sue collezioni, che partendo dall’arte antica, greca e romana, e passando poi per il medioevo e la rinascenza giungono al XIX secolo (in mostra anche una foto del Foro Romano fine ‘800 con indicate le sue prime abitazioni romane). Pollak ovviamente viaggiò molto, per approfondire le sue cognizioni archeologiche, nel contempo dando un forte impulso al commercio antiquario con episodi eclatanti come la vendita del “Tesoro di Vrap” o “Tesoro degli Avari” (VII-VIII secolo a.C.) della quale fu mediatore (vasellame prezioso oggi al Metropolitan Museum). Alla documentazione fotografica si aggiunge quella epistolare e qui spiccano i “Tagebucher”, i Diari di Pollak, ben 25 volumetti che sono in pratica la sua autobiografia, a partire dai 18 anni, con annotate le prime, entusiasmanti esperienze culturali.
Sono esposti al Museo Barracco, la collezione che il nobile calabrese Giovanni Barracco, coadiuvato dall’amico Pollak, musealizzò donandola al comune di Roma. E nelle sale di questo elegante edificio rinascimentale noto anche come la “Farnesina ai Baullari” figurano anche oggetti appartenuti a Pollak, il cui ritratto ad olio accoglie il visitatore. Qui, fra le altre cose, sono da ammirare un’anfora etrusca del VI secolo a.C., un cratere attico del V a.C. (entrambi mai esposti prima), il ritratto dell’imperatore Claudio in marmo pario poi, risalendo nel tempo, disegni (“Salomone e Betsabea” del Domenichino), dipinti (“Sant’Urbano, vescovo di Langres” di Bartholomaus Zeitblom, XVI secolo, “Pastori e pecore”, XVII secolo, di un allievo del Ribera, “Ritratto di Dorothea Denecke von Ramdohr con la figlia Lilli”, inizi ‘800, di scuola nazarena), sculture (un “Putto alato reggi stemma” del XV secolo, il “Ritratto di Francesco de’ Medici Granduca di Toscana”, seconda metà dell’800). Notevoli anche, in prestito dal “Freud Museum” di Londra, 16 maschere e applique in bronzo di età ellenistica e romana. Erano parte della collezione curata dall’amico Pollak, con il quale Freud, oltre l’identità ebraica, aveva in comune l’analisi del profondo: per lui la coscienza, per l’altro il tempo.
E nella sede del Museo Ebraico di Roma è più evidente il richiamo alle sue radici, qui rappresentato dalla riproduzione dell’ “Haggadà” (l’omiletica rabbinica) del XIV secolo, Spagna, ora a New York, che Pollak scoprì e comprò a Roma. Come già a Praga dove frequentava la sinagoga con i genitori, così nell’Urbe, per celebrare le festività ebraiche, si recava alle Cinque Scole, nel Ghetto, la vecchia sinagoga poi sostituita dal Tempio Maggiore. Le opere esposte nel Museo figurano come un omaggio alla memoria di questo archeologo, commerciante d’arte ma soprattutto fine intellettuale il cui percorso terreno fu drammaticamente interrotto il 16 ottobre 1943, con la razzia nazista al Ghetto (Pollak era già emarginato a causa delle infami leggi razziali, eppure nel suo Diario il 24 aprile 1933 aveva scritto che “Mussolini ha ricevuto il rabbino capo di qui, Sacerdoti, e ha parlato con lui degli avvenimenti antisemiti in Germania criticandoli fortemente”).
Circondate da oggetti che evocano il mondo ebraico e la sua complessa ritualità, le opere acquistano così il sapore del ricordo, perché ogni oggetto racchiude un frammento della sua vita. Dalle teste barbate in marmo bianco di Zeus e di Giove Serapide al ritratto virile del XV secolo anch’esso in marmo, di scuola toscana, dal cassone nuziale dei secoli XVI-XVII, dell’Italia settentrionale, alla “Testa di vecchio”, olio su tela del ‘500 di scuola veneta, dagli eleganti ritratti nobiliari settecenteschi al busto di Bertel Thorvaldsen, il grande scultore neoclassico danese romano d’adozione (si faceva chiamare Alberto e una targa lo ricorda in via Sistina). E, ancora, un ritratto di cardinale fine XVI-inizi XVII secolo attribuito al Barocci e “Viandante seduto sotto un castagno”, delicatissimo cartone a penna e pennello marrone di Jacob Philipp Hackert, la cui fama di paesaggista conquistò Goethe che ne divenne amico (“E’ un uomo dalle idee assai chiare ed acute”, annota nel suo “Viaggio in Italia”).
Tutto questo accumulo di Bellezza è la parte superstite dell’immensa collezione donata dalla cognata di Pollak sette anni dopo la sua deportazione con la moglie e due figli nell’inferno di Auschwitz. Inutile ogni tentativo per impedirla (vedi la minuta della lettera inviata dal Direttore dei Musei vaticani all’Ambasciata di Germania presso la Santa Sede). Nel suo Diario aveva scritto: “Roma. Che vuol dire Italia, la mia alfa e la mia omega”. E lo è stata l’omega, ma in maniera tragica.
“Ludwig Pollak. Archeologo e mercante d’arte (Praga 1868 – Auschwitz 1943. Gli anni d’oro del collezionismo internazionale. Da Giovanni Barracco a Sigmund Freud.” Al Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco e al Museo Ebraico di Roma fino al 5 maggio 2019. Orari: Barracco da martedì a domenica h.10-16h. ingresso gratuito; Ebraico da domenica a giovedì h.9,30-16,30 (novembre-gennaio), h.10-17 (febbraio-marzo), h.10-18 (marzo ottobre), il venerdì h.9-16. Biglietto euro 11 intero 8 ridotto. Per informazioni 060608 www.museobarracco.it e 0668400661 www.museoebraico.roma.it . Notevole, per la sua accuratezza, il catalogo edito da Gangemi (in particolare le pagine sull’identità ebraica di Pollak).
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