La mitologia le descrive come esseri metà pesci e metà umani, creature del mare che seducono i naviganti e li trascinano nel fondo degli abissi. E così sono state rappresentate nella pittura vascolare greca ed etrusca, spesso intorno alla nave di Ulisse legato all’albero maestro per non cedere alle loro malìe. Le Sirene, che ritroviamo poi nel bestiario medioevale, scolpite nei capitelli dei chiostri, come simbolo di lussuria, e nel tempo senza tempo dell’arte. E viene subito in mente la Sirenetta di Hans Christian Andersen assisa sullo scoglio, a Copenhagen, o le tante versioni su marmo, su tela, su libro (le memorabili pagine di Malaparte ne “La pelle”) e, naturalmente, al cinema. Di certo, mitologia a parte, la sirena non è solo un essere fantastico, ma può esistere in virtù di una rara malattia genetica, la “sirenomelia”, e qui, a Villa Giulia, è esposta una preziosa testimonianza del passato.
Nella Sala Venere del Museo Nazionale Etrusco, uno dei più fascinosi musei romani, sia per il tema trattato (gli Etruschi, questi nostri “nonni” così misteriosi), sia per la cornice, la splendida villa suburbana di papa Giulio III, capolavoro manierista al quale hanno lavorato in tanti: Vignola, Ammannati, Vasari, Taddeo Zuccari, Prospero Fontana. La mostra, piccola ma di enorme interesse, è al piano superiore, la Sala Venere, accanto a quella deliziosa dei Sette Colli affrescati nei riquadri del soffitto, dove in un registro dell’800 figura la firma di Sissi, Elisabetta di Baviera imperatrice d’Austria e moglie di Francesco Giuseppe. Ed ecco, in una vetrina, il reperto, trovato in una stipe votiva dell’area veientana, che all’inizio si credeva rappresentasse la parte inferiore di un corpo umano ed ora, grazie a conoscenze mediche un tempo poco sviluppate, compresa nel suo giusto significato.
E’ sì la parte inferiore di un corpo umano maschile che però non termina con due gambe ma resta unita, confermando appunto quella malformazione nota come “sirenomelia”. Dunque un pezzo davvero unico non solo in sé ma in quanto ci dice che presso gli Etruschi la diversità era non solo accettata ma posta sotto la tutela del divino. E che anzi essa, uscendo dalle norme, era depositaria di un qualcosa di non umano, che esulava nella sfera del prodigio , in etrusco “terela”, a designare il luogo dove, in epoca villanoviana, venne sepolto un bambino encefalopatico. In un’area sacra, a Tarquinia, accanto alla cavità naturale dove, secondo la Tradizione, era nato Tagete, il “bambino vecchio” (puer senex, simbolo della circolarità della vita), il quale rivelò poi a Tarconte, fondatore della città, le arti divinatorie. Al di là del mito le analisi mediche hanno confermato la rara disfunzione che ha nome “progeria”, fatta conoscere al pubblico grazie al bel film di David Fincher, “Il curioso caso di Benjamin Button”, con Brad Pitt.
Questa forma di “nanismo acondroplasico” era abbastanza comune nel mondo antico e ne abbiamo testimonianze non solo nell’arte ma riguardo la sfera ultraterrena (come, presso gli Egizi, Bes, divinità protettrice della casa). Nella tomba François di Vulci compare una figura di nano e questo conferma ancora una volta come presso gli Etruschi la diversità venisse accettata, al contrario di Roma, con la Rupe Tarpea (ma in età imperiale i nani figurano come accompagnatori o addirittura consiglieri, ruolo che poi interpreteranno spesso nel tempo, soprattutto nel Rinascimento). E la sepoltura del bambino encefalopatico in area sacra comprova la profonda religiosità del mondo etrusco, che della divinazione faceva il perno della sua esistenza (vedi la scienza aruspicina o i Libri Acherontici). Una teocrazia destinata ad essere sopraffatta dal mondo romano, molto più pragmatico.
La terracotta votiva che si riferisce ad un individuo affetto da “sirenomelia” ha il suo riscontro nella realtà, un feto prestato dal Museo di Anatomia patologica della Sapienza Università di Roma. E’ il reperto anatomico di una neonata affetta appunto da quella malformazione, una patologia le cui problematiche cliniche sono state analizzate dalla Fondazione San Camillo Forlanini. Nella vetrina accanto vi sono strumenti che documentano l’evoluzione della chirurgia dall’età romana, con pezzi prestati dal museo di Storia della Medicina e il corollario è nella saletta dove si proiettano tre interessanti video. “Magia dell’assurdo” tratta della magia popolare, i riti per propiziare il mondo occulto, “Chirurgia medievale” evoca la famosa Scuola Medica di Salerno, la più importante istituzione sanitaria dell’èra di mezzo, e “Arte e medicina”, come la prima ha rappresentato la seconda.
Naturalmente, trovandoci in un ambiente museale non potevano mancare oggetti di matrice etrusca, dagli ex voto all’esposizione di vasellame del VII-VI secolo a.C., in particolare una splendida anfora attica con Eracles in lotta con il tritone. Le sirene invece erano rappresentate come uccelli dalle ali spiegate ed il volto di donna e come tali compaiono sulla brocca e l’anfora corinzia esposte nella vetrina. In epoca medioevale la sirena continua ad essere una creatura mitica che, nel “liber monstruorum”, appare nella sua classica veste di donna-pesce tesa a stregare i naviganti. Ma in quel testo sono descritti molti altri esseri prodigiosi che popolano la “terra incognita” oltre le Colonne d’Ercole e verso l’Asia, esseri deformi e semiumani che Umberto Eco evoca nel suo picaresco “Baudolino”. Esseri al cui confronto le sirene, con il loro canto soave ancorché pericoloso, sono solo dolci creature marine: Le Nereidi, come le rappresentavano nell’antica Ellade.
“La sirena: soltanto un mito?”, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia fino al 30 settembre. Da martedì a domenica h.9-20. Biglietto euro 8, ridotto 4.
Per informazioni 063226571 e www.villagiulia.beniculturali.it
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