Pubblicato: 25 novembre 2017 di Nica Fiori in News // 0 Commenti
Proviamo a immaginare per un attimo come sarebbe la nostra vita senza la fotografia. La nostra esistenza scorrerebbe senza avere la possibilità di fissare visivamente le immagini reali di ciò che succede intorno a noi e molti ricordi cadrebbero inesorabilmente nell’oblio. La fotografia è indubbiamente un’invenzione straordinaria, uno strumento di comunicazione universale che consente di raccontare un evento in un secondo. Tutti noi, grazie agli attuali smartphone, ci sentiamo oggi un po’ fotografi, senza avere quelle conoscenze tecniche e quelle doti di osservazione che permettono invece ai grandi maestri dell’immagine di provocare con i loro scatti emozioni profonde. A loro è dedicata la mostra “I grandi maestri. 100 anni di fotografia Leica”, che si tiene nel Complesso del Vittoriano fino al 18 febbraio 2018. Si tratta dell’unica tappa italiana di una mostra nata in Germania, dove la prima Leica è stata costruita nel 1914 da Oskar Barnack, anche se la vera rivoluzione nel campo fotografico risale al 1925, quando venne presentata alla Fiera di Primavera di Lipsia.
Come ha evidenziato il curatore della mostra Hans Michael Koetzle, l’uso di una pellicola cinematografica 35 mm, sicuramente più veloce e meno costosa delle precedenti, inserita in una macchina di dimensioni ridotte permetteva una tecnica fotografica innovativa. Si potevano cogliere le immagini in modo istantaneo per strada, e quindi fare dei reportage, con una macchina fotografica “piccola, piatta, maneggevole, priva di fronzoli, ridotta all’essenziale”. Lo slogan era “Grandi fotografie con piccoli negativi”, ma ovviamente bisognava poi ricorrere a una lunga procedura d’ingrandimento e molti fotografi di professione rifiutarono all’inizio questa macchina compatta, che nella stampa specializzata ebbe però pareri esclusivamente positivi.
Il tempo dette ragione ad Oskar Barnack e “l’istantanea smise di essere una parola volatile e divenne l’elemento centrale di un dibattito artistico che nell’immagine fotografica viva vedeva l’espressione più adeguata di un’epoca nuova e dinamica”, sempre secondo Koetzle.
Henry Cartier Bresson fu forse il primo a dimostrare come con la Leica si potesse fare “arte”, e in mostra è ben documentato questo aspetto artistico, per esempio nella sua foto “Domenica sulle sponde della Senna”, del 1938, che nei corpi di uomini e donne intenti a mangiare lungo il fiume parigino richiama il tema del Déjeneur sur l’herbe caro ai pittori impressionisti. Lo sguardo del fotografo “ci regala un’immagine che conserva, nel tempo, la freschezza di una documentazione affidabile e sicura e la forza di una composizione perfetta, classica e innovativa al tempo stesso”, come si legge nel commento “Una foto, una storia”, che contraddistingue le immagini selezionate in mostra come le più significative.
Una foto rara per la sua forza emotiva è quella di Robert Capa (Spagna, 1936), “Un miliziano colpito a morte”, scattata durante la guerra civile spagnola. Secondo quanto dichiarò il fotoreporter in un’intervista successiva, quella foto che lo rese famoso venne realizzata insieme ad altre, mentre era sdraiato a terra, sollevando la Leica sopra la sua testa.
Assunta a simbolo della follia della guerra, può essere accostata a un’altra immagine famosa, pure in mostra, che è stata scattata l’8 giugno 1972 in Vietnam da un giovane uomo con una Leica M2 al collo, Nick Út. La foto, “Kim Phúc fugge dopo il bombardamento al napalm sul suo villaggio”, rappresenta una bambina di nove anni che fugge con altri bambini piangendo ed è nuda perché il suo vestitino si è letteralmente vaporizzato per effetto della vampata di fuoco del micidiale acido. Si tratta di un’immagine indimenticabile che diventa un’icona e riuscirà a toccare profondamente le coscienze, segnando l’inizio della fine del conflitto.
Altre immagini meno drammatiche, ma di forte impatto visivo, ci colpiscono per la loro eleganza, per la bellezza o l’originalità dello scatto, come per esempio quella scelta per la copertina del catalogo, scattata da Christer Strömholm nel 1961, raffigurante “Nana, Place Blanche”, della serie Gli amici di Place Blanche. Un’altra foto che non passa inosservata è quella di Walter Vogel “Un dalmata non interessato al calcio” (Düsseldorf , 1956), che mostra il cane maculato in primo piano, davanti ad alcuni uomini dei quali si intravedono solo le parti inferiori viste da dietro.+
La mostra raccoglie circa 400 opere, ovvero una sintesi di 100 anni di storia, tra cui le immagini iconiche di noti fotografi che riconosciamo per averle viste riprodotte innumerevoli volte su giornali e libri (notissimi il ritratto di James Dean scattato da Dennis Stock nel 1955 e il Guerrillero heroico. Ernesto “Che” Guevara, realizzato a L’Avana il 5 marzo 1960 dal cubano Alberto Korda). Il suo intento è stato quello di non focalizzarsi sulla tecnica, ma di puntare all’importanza dell’immagine, mostrando i diversi livelli di interpretazione della società, della moda, della politica in un contesto urbano e pubblico sia in Germania, dove la mostra è stata presentata con il titolo “Augen auf! 100 Jahre Leica Fotografie” (Occhi spalacati! 100 anni di fotografia Leica), sia nel resto del mondo. È suddivisa in 16 sezioni che intrecciano insieme l’ordine tematico con la cronologia. Da “La Leica e la nuova visione (neues sehen)”, che evidenzia la dinamicità delle nuove foto (per esempio nella resa di diverse prove atletiche), al fotogiornalismo di guerra, dall’uso della fotografia come strumento di propaganda alla fotografia “umanista”, che coincide in Italia con il cinema neorealista (particolare è la foto di Herbert List, raffigurante “Vittorio De Sica in una pausa nelle riprese del film Il Giudizio universale”, Napoli 1961), dal fotogiornalismo tra il 1945 e il 1970 alla fotografia d’autore degli anni ‘70 e ancora dagli anni ‘80 ad oggi, senza trascurare la Leica in Giappone, la Leica in Spagna ecc.
Grande risalto viene dato all’Italia e in particolare alle fotografie di Gianni Berengo Gardin, al quale è stato consegnato il premio Leica Hall of Fame Haward in occasione della mostra.
La scelta di vita di Berengo Gardin è stata quella di essere fotografo di documentazione, con un atteggiamento di osservatore partecipe di fronte alla realtà, sempre in prima linea, a partire dagli anni ’50, per raccontare il mondo del lavoro, la società, sia rurale sia urbana, l’emancipazione femminile e l’orrore nei manicomi, come vediamo nelle foto dell’Istitutopsichiatrico di Colorno (Parma), della serie Morire di classe del 1968.
I Grandi Maestri. 100 Anni di Fotografia Leica.
Complesso del Vittoriano, Roma
Dal 16 novembre 2017 al 18 febbraio 2018
Catalogo Contrasto
Orario: da lunedì a giovedì 9,30 – 19,30; venerdì e sabato 9,30 – 22,30; domenica 9,30 – 20,30
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