I Giganti di Mont’e Prama in Sardegna
Quando si parla della preistoria sarda, il nostro pensiero corre subito ai nuraghi, emblematiche torri di pietra di un popolo guerriero, la cui civiltà megalitica, pur risentendo di diversi influssi culturali dei paesi mediterranei, si espresse in maniera assai originale. Il loro numero (si presume più di 8000) e la loro distribuzione rendono la Sardegna un territorio coperto e controllato da una vera e propria rete. La pianta circolare delle torri richiama quella della capanna dei nuragici, quasi a voler ribadire l’unità culturale delle varie tribù locali, che avevano, oltre ai nuraghi, i villaggi, le tombe collettive (tombe dei giganti), i templi e i santuari dislocati lungo i nodi di questa fitta trama architettonica che regolava ogni momento e ogni ambito della vita sull’isola. Detto in termini contemporanei, potremmo dire che la Sardegna nuragica era una realtà globalizzata.
Eppure, gli scavi degli ultimi anni hanno evidenziato delle peculiarità in una regione centro-occidentale, quella del Sinis di Cabras (provincia di Oristano), dove, nella località di Mont’e Prama, sono stati portati alla luce i cosiddetti Giganti, statue colossali (tra i 2,00 e i 2,60 di altezza) di pietra, attualmente esposte nel Museo di Cabras, dove nel 2014 nasce il sistema museale di Mont’e Prama, e in mostra temporanea nel Museo Archeologico di Cagliari fino a dicembre 2017. L’impatto emotivo che suscita il loro incontro è molto forte. Dopo il primo momento di stupore, sorge spontanea la domanda: cosa rappresentano? Non si tratta di divinità (i nuragici professavano il culto delle acque e del dio Toro) ma di uomini reali e, in effetti, queste figure sembrano riproporre in forma macroscopica i tipi del guerriero, del pugilatore e dell’arciere, già conosciuti dai bronzetti nuragici, che costituiscono la forma d’arte più nota tra quelle prodotte dalla civiltà nuragica.
Le sculture (in tutto 38) sono giunte a noi smembrate in 5178 frammenti, ma molti ancora ne mancano, distrutti o forse dispersi. Un movente sconosciuto guidò le mani di coloro che le distrussero, ma si potrebbe ipotizzare che forse si voleva impedire alle statue di trasmettere la potenza simbolica della quale erano portatrici e custodi.
La prima scoperta casuale risale al 1974, quando in un campo sono stati rinvenuti i primi frammenti da un contadino del luogo. Le prime ricognizioni archeologiche hanno evidenziato la presenza di una necropoli le cui tombe erano coperte da lastre rettangolari di pietra. Da allora si sono succedute diverse campagne di scavo e sono state rinvenute sedici tombe, più una fascia incavata, già interpretata come possibile percorso viario, in cui è stata recuperata la maggior parte delle sculture frantumate, modelli di nuraghi e altri elementi in calcare, oltre a tre betili in arenaria. Il ricongiungimento dei frammenti ha restituito ai Giganti una postura eretta e una propria fisionomia, benché parzialmente mutilata. Nessuna statua, in effetti, appare totalmente ricostruita, ma forse è proprio questa frammentarietà che le rende particolarmente misteriose.
Colpiti dal loro fascino arcano, immaginiamo questi guerrieri, raffigurati con lance e scudi, o con i loro elmi cornuti, mitizzati come eroi al rientro da qualche battaglia e poi raffigurati in dimensioni colossali presso le loro tombe. Potrebbero essere loro, forse, i mitici Shardana, citati dalle fonti egizie del II millennio a.C., la cui identificazione con i Sardi è ancora oggetto di dibattito. Ma, poiché i guerrieri in tutte le società antiche godevano di un enorme prestigio, essere raffigurati come tali poteva indicare semplicemente un ruolo di grande rilevanza politica nella comunità di appartenenza.
I corpi sono raffigurati in atteggiamento solenne, come se gli individui rappresentati si stessero predisponendo all’incontro con il sacro, fondamentale nella civiltà sarda.
Negli scavi di Mont’e Prama sono venuti alla luce, come già accennato, dei modelli di nuraghi, che, insieme ai bronzetti, sono diffusi un po’ dappertutto nell’isola, tanto che ad essi è stata dedicata una mostra qualche anno fa nel Museo Nazionale G.A. Sanna di Sassari (e in seguito a Roma nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia), che li ha definitivamente indicati come raffigurazione simbolica della civiltà nuragica. Questi modelli non necessariamente dovevano essere riproduzioni fedeli dei monumenti reali, ma elaborazioni originali stilizzate e idealizzate, destinate a funzioni cerimoniali e rituali. Gli ultimi rinvenimenti di Mont’e Prama, avvenuti nel 2016, mostrano due modelli nuragici, probabilmente di fantasia, con un’alta torre centrale con la parte inferiore quadrata con quattro torri agli angoli e quattro torrette ai lati (delle quali una conserva una cuspide conica). Si tratterebbe quindi di una struttura ottolobata, finora mai riscontrata nei nuraghi. Sembra anche questa un’altra originalità di un sito, che sicuramente è venuto a contatto con altri popoli, e forse con maestranze orientali. Quanto alla datazione dei Giganti, che alcuni collocano tra l’XI e il IX secolo a.C., i reperti ceramici e i pochi elementi bronzei recuperati tra i frammenti fanno pensare all’ultima fase nuragica (prima età del ferro, 930-730 a.C); pochi elementi nel sito risalgono ad età fenicia (VIII-VI secolo a.C.), mentre al più tardo periodo punico (V-IV secolo a.C.) potrebbe essere dovuta la distruzione del complesso.
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