Pubblicato: 19 gennaio 2017 di Nica Fiori in News // 0 Commenti
Uno “stupore armonioso”: questo dovevano provare i primi visitatori del Braccio Nuovo, secondo il direttore uscente dei Musei Vaticani Antonio Paolucci (al quale subentra Barbara Jatta), ed è questo che proviamo noi dopo il suo restauro. I Musei Vaticani hanno riaperto al pubblico questo capolavoro neoclassico (inaugurato nel 1822), che racchiude capolavori dell’arte classica, dopo sette anni di cantiere aperto e quattro anni di lavoro effettivi. Un lavoro complesso, perché riguarda sia il contenuto, sia il contenitore, e quindi portato avanti da archeologi, architetti, storici dell’arte, ingegneri e tecnici vari.
Voluto da Pio VII Chiaramonti dopo il suo rientro a Roma in seguito alla caduta di Napoleone, il Braccio Nuovo ha come artefici Raffaele Stern e Antonio Canova. Stern, un tedesco naturalizzato romano, è un esempio di artista che passa da un regime a un altro senza subire alcuna “damnatio”. Infatti, dopo aver lavorato nei palazzi apostolici per il papa, passa dalla parte dei francesi lavorando al Palazzo del Quirinale per trasformarlo in quella che sarebbe dovuta essere la “reggia napoleonica”, ma poi viene reintegrato nel suo ruolo di architetto dal papa, risacralizzando il Quirinale, e ricevendo anche l’incarico per l’ampliamento dei Musei Vaticani. Quanto a Canova, all’epoca direttore generale dei Musei, era sicuramente il più celebre artista del Neoclassicismo, apprezzato da tutti i sovrani d’Europa. E in questo lavoro, come ha dichiarato Paolucci nel corso della presentazione alla stampa, dopo tanto bianco (pensiamo alle sue statue di marmo), Canova “ritorna alla civiltà del colore veneziano, dove si era formato”.
Il raffinato insieme di rimandi tonali, ideato da Canova, è amplificato dalla luce naturale che scende dall’alto. Nella luminosa architettura della galleria, dalle volte a cassettoni decorati da rosoni in stucco (grigio e avorio), risaltano le cromie di alcune colonne (in granito e cipollino) e soprattutto del pavimento, realizzato con marmi colorati (rossi, rosa e gialli, alternati a toni freddi di verde e di nero), che racchiudono tappeti musivi con tessere in bianco e nero provenienti da ville romane. Notevoli in particolare le scene con Ulisse tra le Sirene e l’assalto di Scilla alla sua nave. Un altro mosaico, l’unico a colori, mostra Artemide Efesina, la divinità orientale raffigurata con numerose mammelle. Il braccio rettilineo è movimentato al centro da una cupola, da un’esedra e da una scala, che si affaccia sul cortile del Belvedere, ed è illuminato da lucernari, che mandano una calda luce naturale obliqua sulle statue romane, inserite entro nicchie, e alternate con busti su basse colonne. Il restauro ha evidenziato l’originaria tinteggiatura delle nicchie che imita il granito, facendo risaltare le statue di color bianco avorio. Proprio la luce che arriva dall’alto è la vera originalità architettonica, che ritroviamo in quegli anni nella Glyptothek di Monaco di Baviera (probabilmente lo Stern aveva avuto modo di conoscere il suo architetto Leo von Klenze), e che è una novità nel panorama architettonico romano.
Oltre alle statue a figura intera, vi sono innumerevoli busti, collocati anche in alto in posizione aggettante, e ancora più in alto corre un fregio in stucco (opera dello scultore romano Francesco Massimiliano Laboureur) con motivi tratti da monumenti antichi, quali la Colonna traiana, la colonna di Marco Aurelio, l’arco di Tito. Il tutto realizzato secondo i principi estetici teorizzati dal Winckelmann e interpretati con sapiente eleganza. Tra i capolavori della statuaria troviamo il gigantesco Nilo, con tanto di sfinge, puttini e cornucopia a simboleggiare la sua fertilità, proveniente da Campo Marzio (dove era l’iseo Campense dedicato ai culti egiziani di Iside e Osiride) e sistemato al centro, di fronte al busto di Pio VII realizzato da Canova. Ricordiamo a questo proposito che sia il papa che lo scultore morirono quasi contemporaneamente proprio nel 1822, l’anno del completamento di questa meraviglia architettonica (lo Stern era già morto nel 1820).
Altre notevoli sculture che meritano la nostra attenzione sono le colossali maschere di Medusa, che ornavano un tempo il tempio di Venere e Roma, e due pavoni bronzei ricoperti da un sottile strato di doratura, che, provenienti dal Mausoleo di Adriano, erano stati collocati in Vaticano a ornamento del “cantaro del Paradiso”, la fontana per le abluzioni dei pellegrini che si trovava nell’atrio dell’antica basilica. Notissimo è l’Augusto di Prima Porta (cosiddetto perché proveniente dalla villa di Livia a Prima Porta), che raffigura il primo imperatore con la corazza e il braccio teso nell’atto di parlare all’esercito (adlocutio), e poi ammiriamo l’Atena Giustiniani, una Cariatide, Esculapio, l’Amazzone ferita e il Doriforo (copie romane da Policleto), l’Atleta (da un prototipo di Mirone, acefalo ma reintegrato con una testa di Lucio Vero), le grandi teste di Daci provenienti dal Foro di Traiano e il bellissimo Sileno con il piccolo Dioniso tra le braccia.
Nel restauro delle opere di arte classica (circa 150) del Braccio Nuovo, finanziato dai Patrons of the arts in the Vatican Museums, si è proceduto a una delicata pulizia, piuttosto che a un restauro vero e proprio, trattandosi di opere appositamente adattate e patinate in funzione dell’allestimento ottocentesco e che avevano già subito nel passato restauri e talvolta pesanti reintegrazioni, provenienti come sono da precedenti collezioni di nobili famiglie romane. Tra l’altro alcune opere sono state trasformate in altre, come per esempio un busto di Cesare, che è stato ricavato da un altorilievo funerario raffigurante un vecchio.
Il lavoro più importante è stato quello del pieno recupero delle strutture architettoniche, finanziato con fondi interni del Governatorato Vaticano. Si è restaurato praticamente tutto, dai lucernari, alle colonne, ai pavimenti; si è provveduto a smontare e riancorare con criteri antisismici tutto ciò che era attaccato, come i busti collocati in alto, i rosoni, le mensole, i fregi, salvando le patinature e i colori di ogni singolo elemento grazie all’uso del laser, per riottenere quel meraviglioso equilibrio tra antico e moderno, che è alla base del neoclassico.
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