E’ sempre emozionante visitare un cantiere di restauro, perché puoi vedere in diretta affreschi, pitture, sculture ed altro modellati da mani che sbozzano e rimuovono le incrostazioni del tempo e/o di errati rifacimenti. Ne sei, per qualche attimo, protagonista e avverti appunto quella sottile emozione che prova il restauratore allorché sente l’opera rivivere e con essa l’immagine di un tempo ritrovato. E questo, ad onor del vero, capita spesso nel nostro paese perché, e lo riconoscono tutti, abbiamo i migliori restauratori del mondo (d’altronde, come si suol dire, buon sangue non mente: l’arte è nel nostro Dna).
E tali sono le sensazioni che ti afferrano allorché sali sull’impalcatura eretta al piano nobile di Palazzo Venezia, quella che un tempo era la Sala dei Paramenti, dove si custodivano le vesti del Pontefice (da Paolo II Barbo, che lo fece edificare, il Palazzo fu frequentato dai papi fino al 1564, poi passò alla Repubblica Veneta e, infine, divenne sede dell’Ambasciata Austroungarica). Ora è nota come la Sala delle Fatiche di Ercole, per un fregio che decora le pareti ai quattro lati, con la rappresentazione delle dodici fatiche del mitico figlio di Giove e Alcmena.
Non sono tutte, solo otto racchiuse in altrettanti riquadri intervallati da quattro fontane con amorini. Il ciclo, da taluni attribuito ad un seguace di Andrea Mantegna (se non lui addirittura), presentava varie criticità. La campagna di restauro attuale prevede interventi a tutto campo, a cominciare dal bellissimo soffitto a cassettoni, disinfezione e disinfestazione (per fortuna non sembra granché intaccato da insetti xilofagi), passando poi per il consolidamento degli intonaci e la ripulitura della superficie pittorica, con revisione dei restauri precedenti ed eventuali reintegrazioni. Ovviamente sarà anche condotta una campagna di indagini diagnostiche e di rilievo grafico delle tecniche di esecuzione delle decorazioni. E ora andiamo più nel particolare.
Otto riquadri, dicevo, con Erakles che si cimenta nelle sue leggendarie imprese. Ercole e il leone Nemeo, Ercole e Anteo, Ercole e i buoi di Gerione, Ercole e Gerione, Ercole e il drago Ladone, Ercole e la cerva Cerinea, Ercole e gli uccelli di Stinfalo, Ercole e il centauro Nesso, composizioni talune ancora integre, altre purtroppo con spazi vuoti all’interno ma tutte, comunque, di splendida fattura. Decisamente non aveva torto chi ha pensato a Mantegna, basta osservare la plasticità delle figure le quali non sono affatto ridondanti come spesso quelle che ornano le dimori rinascimentali ma, anzi, hanno un che di agile e dinamico rivelatrici di una mano molto abile. L’artefice del ciclo è sen’altro un pittore importante e, al termine del restauro, della durata prevista di quattro mesi, se ne apprezzerà maggiormente il valore.
Questo prezioso lavoro di recupero è affidato con bando pubblico a L’Officina, Consorzio di restauro e conservazione opere d’arte diretto da Paolo Castellani, storico dell’arte del Polo Museale del Lazio. Il tutto è stato finanziato dalla Fondazione Silvano Toti, che conosciamo per il Silvano Toti Globe Theater, il teatro elisabettiano a Villa Borghese, dove da anni si rappresentano i drammi e le commedie del Bardo inglese (quest’anno sono 400 dalla morte di Shakespeare). A settembre è prevista la possibilità per il pubblico di accedere al cantiere di restauro, il cui obiettivo è anche di rilanciare alla grande Palazzo Venezia come componente di rilievo del Polo Museale del Lazio.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 29 luglio 2016.il23 aprile 2021.
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