Pubblicato: 20 giugno 2016 di Nica Fiori in News // 0 Commenti
Buona parte del fascino dell’Indonesia è dovuta al fatto che si tratta di un paese plurinsulare, nel quale convivono numerose etnie, ciascuna ricca di tradizioni proprie, come ben evidenziato nel Museo etnologico di Djakarta. Questo crogiuolo culturale ha favorito l’incontro di differenti religioni e, a dispetto di qualche episodio di estremismo terroristico degli ultimi anni, la popolazione indonesiana è orgogliosa di presentarsi al mondo come il “Paese dell’Armonia”, un esempio di tolleranza e convivenza tra le diverse culture e religioni. L’islamismo, giunto nel XII secolo, è la religione più diffusa nel paese e ispiratrice di raffinate produzioni artistiche, ma sono l’induismo e il buddhismo, giunti rispettivamente nel I e nel VI secolo d. C. ad aver caratterizzato fortemente il paesaggio culturale e architettonico più antico, come è ben esemplificato dal Tempio di Borobudur.
Situato nell’isola di Giava, il Borobudur, collina e tempio allo stesso tempo, è sicuramente il monumento più importante dell’Indonesia e una meta da non perdere per tutti gli amanti dei luoghi simbolici. Costruito in andesite grigia, la scura pietra vulcanica che caratterizza l’isola, materializza l’immagine del cosmo concepita alla fine dell’VIII secolo dai buddhisti, e più esattamente dal buddhismo Mahayana che ebbe grande diffusione nel centro di Giava sotto la dinastia degli Shailendra (750-850), i “signori della montagna”. Dopo essere stato per circa 150 anni il più importante centro di pellegrinaggio buddhista, decadde quando intorno al 930 il fulcro politico e culturale di Giava si spostò ad oriente. A poco a poco la vegetazione prese il sopravvento e passarono secoli prima che gli inglesi nel 1814 iniziassero le prime indagini per riportarlo alla luce.
Visto da lontano, il Borobudur appare come una gigantesca piramide tronca (122 m di lato e 35 m di altezza) dalla straordinaria decorazione, mentre visto dall’alto assume l’aspetto di un mandala, ovvero quella complessa figura geometrica rappresentante l’unione del cielo e della terra tramite l’insegnamento di Buddha. Il mandala, di solito disegnato sul terreno o dipinto su stoffa, abbina la forma quadrata, simboleggiante la terra, alla forma circolare della volta celeste, simboleggiando così il Tutto divino. I costruttori di questo gigantesco mandala di pietra, in particolare, hanno voluto fissare in modo definitivo l’armonia esistente tra la terra degli umani e il cielo degli dèi in un “organo” cosmico nel quale la risonanza delle forme facesse vibrare le forze della vita, essenziali per il divenire del mondo.
Forse non è un caso che il monumento, situato a nord-ovest dell’antica capitale Yogyakarta, sia stato eretto vicino al sacro colle del Gunung Tidar, utilizzato fin dai tempi più remoti dai maghi-stregoni per le loro cerimonie più segrete e chiamato dai locali “il chiodo dell’isola”, in quanto ritenuto il centro di Giava.
Costruito a terrazze digradanti (sei quadrate e tre circolari) divise su tre livelli chiamati Kamadhatu, il livello del suolo che simboleggia il mondo delle passioni, Ruapadhatu, ovvero il tragitto di purificazione che simboleggia l’ascesa dalla terra al cielo, Arupadhatu, il livello in cui si raggiunge la perfezione, il Borobudur combina nel suo insieme la forma di uno stupa (tumulo contenente di norma reliquie sacre buddhiste), quella del Monte Meru (monte mitologico induista) e una pianta a mandala. L’intera struttura è ricoperta da 2672 bassorilievi, in gran parte relativi a Buddha, 504 statue che lo raffigurano e numerosi stupa traforati posti sulle ultime terrazze circolari. Domina l’insieme uno stupa di 11 metri di diametro e 8 di altezza ed è proprio questo stupa terminale, impossibile da scorgere dai piedi del Borobudur, nascosto come è da gallerie quadrate, a dare un senso al monumento.
L’ascesa graduale verso il centro inaccessibile (non esiste accesso allo stupa) e materialmente inesistente (lo stupa non contiene nulla), fornisce una chiave di lettura di questo mandala. È la vacuità universale che sola ha una realtà permanente, essendo tutto il resto pura illusione dei sensi. Secondo la concezione del filosofo buddhista Nãgãrjuna (II sec.), infatti, “il vuoto metafisico è metafora della Realtà e fondamento di tutte le realtà, di tutte le creazioni e di tutte le energie che sono, per natura, provvisorie”. Il Borobudur, quindi, sarebbe un’immagine fisica e allo stesso tempo metafisica del Nulla che, per esistere, deve appoggiarsi sul Tutto.
Il Borobudur non è un vero e proprio luogo di culto: non si viene qui per pregare, ma per immergersi in un universo spirituale. È un luogo magico che raccoglie forze e pensieri condensandoli in un insegnamento elargito a grado a grado man mano che si salgono i diversi livelli fino al termine di un meraviglioso viaggio verso la Verità ultima.
L’edificio è costruito tutto verso l’esterno, le sue gallerie sono a cielo aperto, coronate da effigi del Buddha, e, tramite stretti corridoi, sono collegate tra loro fino al cerchio popolato di Buddha che avvolge la realtà ultima sulla cima della montagna. Lo stupa finale potrebbe riassumere tutto il monumento anche in questo modo: riflettendo la luce diventa esso stesso luce; riflettendo il cielo diviene cielo, ma un cielo che esso tiene unito saldamente alla terra.
Il pellegrino sale questa spirale iniziatica, questo labirinto dello spirito, avanzando lentamente fino alla sommità, tenendo sempre il centro sulla destra, secondo un rito cultuale millenario che imita il corso del sole. Così facendo il pellegrino percorre simbolicamente tutto l’universo conosciuto e sbocca sull’ineffabile, dove realizza il proprio significato, la propria rotazione intorno al centro.
Qui, identificandosi con l’universo, diventa il cosmo stesso e il suo spirito diviene l’infinito. Egli raggiunge così lo stato della Bodhi, quello del risveglio perfetto, come lo raggiunse 2.500 anni fa Gauthama Buddha. Allora, avendo realizzato in sé la natura del Buddha, egli è Buddha.
Indubbiamente si tratta di un percorso che per noi occidentali è difficile da capire nella sua pienezza, ma di una tale bellezza e armonia che chiunque può apprezzarlo. Gli artisti indonesiani che vi hanno lavorato si sono ispirati a precedenti indiani ma, grazie alla loro grande creatività, espressa in innumerevoli rilievi e motivi architettonici, hanno realizzato un complesso templare veramente maestoso e originale, giustamente riconosciuto dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”.
Le foto sono di Nica Fiori
Scritto da: Nica Fioriin data: 20 giugno 2016.il29 luglio 2016.
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