“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, le audaci imprese io canto”.
Chi di noi non ricorda l’incipit dell’ “Orlando furioso”, le pagine lette e studiate a scuola ed il fascino che esse esercitavano sulle nostre fantasie di adolescenti? Angelica e Medoro, Ruggiero e Bradamante, la follia d’Orlando pazzo d’amore, l’ippogrifo, fate e streghe, isole e palazzi incantati e, come cornice, l’epica lotta fra cristiani e saraceni. Si tifava per l’uno o per l’altro, un po’ come avveniva con l’ “Iliade”, Ettore o Achille, e talora ci si immedesimava al punto da recitare-interpretare qualcuno fra i più significativi dei 46 canti del poema. Un poema corale, fitto di personaggi, e ne veniva coinvolta l’intera classe.
Ricordi che affiorano con forza (e nostalgia, erano gli “anni verdi”) visitando la bella mostra allestita nel superbo scenario di Villa d’Este per celebrare i 500 anni dalla prima edizione dell’ “Orlando furioso”. Non a caso qui, perché questo giardino di delizie, capolavoro rinascimentale di Pirro Ligorio, voluto dal cardinale Ippolito II d’Este, figlio di Alfonso II e Lucrezia Borgia, è proprio lo scenario ideale per una narrazione dove l’elemento onirico risulta predominante (inoltre il poema era dedicato al cardinale che, in gioventù, aveva frequentato l’Ariosto alla corte di Ferrara).
Sei sono le sezioni tematiche in cui si articola “I voli dell’Ariosto”, un percorso squisitamente figurativo, perché tale è l’ “Orlando furioso”, versi la cui pregnanza icastica li rende visivi: parole che trasmutano in immagini. E gli effetti erano tali che, all’epoca, la fama del poeta non si limitava alla classi colte ma coinvolgeva anche il popolo minuto (probabilmente grazie ai cantastorie). L’Ariosto era quel che si può definire un personaggio pubblico, venerato al punto che i briganti della Garfagnana anziché derubarlo gli rendono omaggio (vedi il bel quadro di Jean-Baptiste Mauzaisse). Sia un fatto storico o un aneddoto esemplare l’Ariosto, che compare ancora in alcune xilografie, nel ritratto di Cristofano dell’Altissimo e mentre recita alla corte estense (tela di Massimiliano Lodi), è una figura predominante del ‘500 italiano.
Nasce un’iconografia ispirata al poema ed ecco preziose maioliche faentine e di Deruta, xilografie, acqueforti di Tempesta (noto soprattutto per la sua mappa di Roma del 1593) e spiccano i vari personaggi, maggiori e minori, Agramante, Marfisa, il duello fra Ruggero e Madricardo. Importante poi Dosso Dossi, il cui quadro originariamente conosciuto come “Ninfa inseguita da un satiro”, alla luce di accurate indagini è risultato essere una rappresentazione allegorica della follia d’Orlando, con lui che s’imbestia e, accanto, la bella Angelica. Intanto il libro è diventato un best-seller, raggiungendo in poco tempo dodici edizioni, e anche nei secoli successivi non si registra un calo d’interesse, anzi. Così vengono commissionati quadri anche di grandi dimensioni come arredo di case nobiliari, lavori di buona fattura quali “Ruggiero e Alcina”, di Rutilio Manetti, “Angelica cura Medoro ferito”, di Matteo Rosselli, “Incontro di Bradamante e Fiordispina”, delicata opera di Guido Reni. Notevole anche “Lucina sorpresa dall’Orco”, di Giovanni Francesco Castiglione, per quella sua stravolta componente mitologica.
E risaliamo nel tempo, i pregevoli disegni di Fragonard, dal morbido dinamismo (in particolare “Mandricardo assale le guardie di Doralice”), il romanticismo italiano, dove il paesaggio è interprete quanto i personaggi (Massimo D’Azeglio, “Argalia che appare a Ferraù” e “La morte di Zerbino” e Giuseppe Bisi, “Orlando e Rodomonte combattono alla presenza di Fiordiligi” e “La pazzia d’Orlando”) ed il romanticismo francese (“Ruggiero libera Angelica”, due quadri a confronto, il movimentato cromatismo di Delacroix ed il morbido classicismo di Ingres. E, ancora, le splendide incisioni di Gustave Doré, un cui bronzetto, “Ruggiero e Angelica”, ispirò il grande Jean Cocteau per il suo “La bella e la bestia”, film del 1946 con Jean Marais).
E il percorso ariostesco termina con un omaggio a Luca Ronconi, che al festival di Spoleto del 1969 mise in scena un “Orlando furioso” che resta una pietra miliare del teatro italiano dello scorso secolo (memoria che si tramanda nelle foto in bianco e nero di Ugo Mulas). Tutto venne poi riproposto nel 1975 in televisione, regia di Luca Ronconi e sceneggiatura e costumi di Pier Luigi Pizzi. Nelle sale affrescate del piano inferiore vi compaiono i cavalli che sembrano ruotare intorno ad un albero, un suggestivo effetto plastico che ben si coniuga al fascino labirintico di Villa d’Este, gemma del Rinascimento italiano dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Una delle meraviglie del Polo Tiburtino, cioè Villa Adriana, Villa d’Este, Santuario di Ercole Vincitore e Mausoleo dei Plauzi (che presto sarà sottratto al degrado in cui versava). E aggiungiamoci anche Villa Gregoriana, salvata dal Fai, e ne esce fuori un magnifico pacchetto turistico-culturale. La Bellezza a quattro passi da Roma.
“I voli dell’Ariosto. L’Orlando furioso e le arti”, a Villa d’Este fino al 30 ottobre. Da martedì a domenica dalle 8,30 fino ad un’ora prima della chiusura, aperture serali venerdì e sabato, biglietto euro 11 mostra + Villa, ridotto 7. Per informazioni 0774.312070 e www.villadestetivoli,info e www.ariostovilladeste.it. E’ previsto un folto cartellone di eventi, a cominciare dal concerto del 2 luglio, “Il Segno d’Orlando” per proseguire, a tema, il 15(“L’Amore e gli Amanti”), il 27 agosto (“La Guerra e i paladini”), il 17 settembre (“Il Senno e la Follia”), musica barocca e rinascimentale. Da segnalare il bellissimo catalogo edito da Officina Libraria che traccia un esauriente ritratto dell’Ariosto e del suo tempo.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 12 luglio 2016.il16 luglio 2016.
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