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Islam e Bellezza

 278.b Quando si parla di mondo islamico appare subito evidente la disinformazione che sussiste in merito. Infatti la maggior parte delle persone tende a dare un’etichetta cumulativa, “arabo”, uniformando così una realtà molto più complessa, non solo in senso geopolitico ma etnico, culturale ed anche linguistico. Gli afghani, ad esempio, non sono arabi ma indoeuropei, così come gli iraniani sono persiani e parlano il pharsi, e poi c’è l’Africa musulmana, con i suoi gruppi etnici e le sue tradizioni. Il collante è la religione, ma ogni paese islamico ha sviluppato nel tempo una propria realtà frutto di scambi commerciali e culturali lungo le vie carovaniere o sulle coste. Resta il concetto generale di “Umma”, la grande nazione islamica, dove però tutto appare differenziato, con una sua specificità, come traspare dalla mostra in corso alle Scuderie del Quirinale: “Arte della Civiltà Islamica – La Collezione al-Sabah, Kuwait”, a cura di Giovanni Curatola.

Nel 1975 il primo pezzo poi, negli anni, una raccolta sempre più mirata fino ai ventimila oggetti che Sheikh Nasser e Sheikha Hussah hanno ceduto in prestito permanente al Museo Nazionale del Kuwait. Un “corpus” di eccezionale interesse storico ed artistico che documenta la poliedricità del mondo islamico, in parte (per fortuna piccola) danneggiato dall’invasione irachena del 1990, e che ora, con una selezione di circa 350 opere, si presenta al pubblico romano. Un arco di tempo lunghissimo, dall’VIII al XIX secolo, toccando tutte le arti e attraversando i territori islamici o islamizzati, in modo che ogni parte di quel vasto mondo venga rappresentato. Cosa non facile perché si va dall’Africa settentrionale all’Asia Centrale, ai confini della Cina, senza dimenticare quella parte d’Europa che fu islamica, al-Andalus, la Spagna, e Siqiliah, la Sicilia fatimida con gli splendori di Balarm, Palermo.

Partiamo dagli inizi, VIII-X secolo, il formarsi di un linguaggio artistico che, per ora, è sincretico, rielaborando moduli bizantini (vedi il capitello di marmo di derivazione corinzia) o dell’impero sasanide, l’antica Persia (la piccola coppa di vetro intagliato). Ma se già qualcosa si delinea di autonomo in epoca omayyade è con la dinastia abbaside (da metà VIII secolo a metà XIII) che si può parlare di nascita e maturazione dell’arte islamica. La ceramica con la tecnica della “pasta fritta”, il vetro lavorato, i bronzi cesellati, i tessuti dai fini ricami,  l’avorio ed ecco oggetti di squisita fattura come i calici, i candelabri e la lampada in bronzo decorato di fabbricazione iraniana, così come le caraffe, la brocca e la piccola bottiglia e, ancora, la scatola ed il mortaio d’avorio da al-Andalus. Addirittura sorprendente è poi il gioco degli scacchi in cristallo di rocca, piccolo capolavoro di artigianato iraniano del IX secolo.

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 Ma ciò che maggiormente colpisce è la raffinatezza ed anche l’eleganza degli oggetti, di qualsiasi materia siano essi composti. E qui subentra il tema della calligrafia come elemento esornativo oltre che mezzo di espressione religiosa. Le due cose sono anzi spesso strettamente legate fra loro, perché la scrittura è emanazione diretta di una società che si identifica nella parola del Profeta. Quindi essa ha un carattere sacro e si sviluppa sia per celebrare l’atto di fede (le pagine del Corano con le Sure trascritte in vari stili epigrafici racchiusi in contorni elaborati), sia imprimendosi negli oggetti, quasi a sacralizzarli, come il caffettano iranico del XIV secolo con impresso il nome di Dio in caratteri cufici o la veste talismanica indiana del XV secolo con l’intero testo coranico. Ma si tratta anche di semplici forme augurali, vedi la lampada ad olio di bronzo iraniana del X secolo o il vaso di vetro smaltato siro-egiziano del XIV secolo che figura nel logo della mostra.

  Dunque un concetto dell’arte ben diverso dal nostro, di società secolarizzata, che si esprime in termini prevalentemente anicònici, cioè che non rappresenta la figura umana in quanto emanazione divina. Ma questa non è una regola assoluta, tutt’altro, semmai esiste la distinzione fra pubblico e privato, dove l’uno sconfina nella sfera religiosa -e quindi la figura in sé non è riproducibile- e l’altro ha invece maggiori possibilità espressive. Non però in senso “verticale”, come la nostra arte sacra, semmai tutta “orizzontale” e sono gli splendidi codici miniati persiani, Moghul e ottomani, che narrano di gesta epiche o di episodi del quotidiano. Di particolare interesse una pagina con il Profeta Muhammad che monta il buraq, a dimostrazione che non esiste un esplicito divieto iconografico (il Corano non ne fa menzione).

  Nelle moschee il linguaggio artistico è essenzialmente geometrico, perché nel motivo ripetuto in varie combinazioni è il senso dell’infinito, la misura dell’indimostrabile, cioè Dio. D’altronde il concetto di geometria era intrinseco alla cultura islamica che aveva ereditato -e preservato- il sapere matematico ellenistico (vedi le traduzioni di Archimede) inventando l’algebra con i persiani. L’Europa medioevale deve a figure come Averroè e Avicenna se il patrimonio greco non è andato perso e, così filtrato dagli arabi (Avicenna tradusse Aristotele), ha determinato la sua crescita culturale ed umana. E non dimentichiamo la meccanica,  e la geografia, nella quale erano maestri (i cartografi di Siqiliah), qui rappresentata da un astrolabio iracheno del X secolo (il più antico esemplare conosciuto). E l’osservazione delle stelle, con relativi compendi astrologici, come documenta un interessante foglio di carta con impresso il tema astrologico di un neonato (Iran, XIII secolo).  Ma gli apporti arabi all’Europa dell’èra di mezzo comprendono anche la  medicina con Avicenna, i cui canoni confluirono negli insegnamenti della Scuola di Salerno, e l’architettura, con l’arco moresco le cui tracce ritroviamo negli stilèmi romanici e gotici.

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  Una particolarità architettonica molto interessante come soluzione decorativa è quelle delle “muqarnas”, sorta di nicchie a nido d’ape che fungono da raccordo con le arcate od i soffitti (in mostra un elemento ligneo del XIV secolo). Chi ha visitato quel gioiello che è la Cappella Palatina di Palermo, dove lavorarono maestranze islamiche, ha ben presente l’effetto di armonia che le “muqarnas” conferiscono alla parte superiore della struttura. Ed è, in fondo, sempre un gusto geometrico che traspare, quali, per citare altri pezzi in mostra, i tappeti o i paraventi di legno decorati. O, in alternativa, un decorativismo di tipo fitomorfo, come nelle mattonelle di ceramica e piatti di ceramica e porcellana, dall’Iran alla Siria, alla Turchia e fino alla Cina.

  Rilevanti anche i cenotafi e le lastre tombali di legno e marmo, con citazioni coraniche incise e quanto mai fascinosa la sezione dedicata alle arti preziose. Qui bellezza e raffinatezza sono tutt’uno, dalle coppe di giada alle piccole bottiglie per profumi, ai gioielli di uso corrente, anelli, bracciali, collane, orecchini (in particolare due fantastici pendenti in forma d’uccello), fino alle armi, spade e pugnali con decorazioni di pietre preziose (notare il “katar” o pugnale a spinta). Sono tutti oggetti ascrivibili al periodo Moghul, l’India meravigliosa che in Akbar ebbe un grande ed illuminato imperatore, al quale fu dedicata una bella mostra romana nel 2013 (il  XVI secolo vede l’apogeo della cultura islamica con l’Impero Ottomano, i Safavidi in Persia e i Moghul in India).

Una mostra davvero notevole e direi di gran classe per gli oggetti esposti e che ha soprattutto un merito, dimostrare cioè, in questo particolare momento storico, che il messaggio dell’Islam non è violenza ma Bellezza.

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“Arte della Civiltà Islamica. La collezione al-Sabah, Kuwait” alle Scuderie del Quirinale fino al 20 settembre.
Da domenica a venerdì h.12-20, sabato h.12-23. Biglietto euro 8, ridotto 6.
Per informazioni 06.39967500  e www.scuderiequirinale.it

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