E’ forte la suggestione appena varchi la soglia di San Giovanni dei Fiorentini, con la chiesa in penombra ed una fila di lumini che si snodano verso il presbiterio al cui centro risalta l’altare borrominiano. Davvero il clima giusto per accogliere le melodie di un grande musicista spagnolo che soggiornò a lungo a Roma dove conobbe Palestrina e fu da lui influenzato.
Il suo linguaggio è però diverso nei toni, di una spiritualità più raccolta, che imprime al tessuto polifonico uno stile controllato anche se non severo o, comunque, di una certa rigidità formale. Tutt’altro, perché l’epos sacro di Tomas Luis de Victoria ha una forte caratterizzazione passionale, come risulta dall’ “Officium Defunctorum” eseguito in memoria di Francesco Borromini, che dorme il suo sonno eterno qui, nella cripta Falconieri.
La rilettura operata dall’Ensemble “Festina Lente” diretta da Michele Gasbarro al primo ascolto può sembrare non ortodossa, per l’introduzione di una parte strumentale che, a tratti, s’inserisce nell’originario impianto polifonico. In realtà svolge la funzione di drammatizzare taluni passaggi, dando maggiormente il senso della particolare religiosità del musicista spagnolo. E questa traspare sin dall’Introitum, il Requiem a 6 voci, dispiegandosi poi nella successione del Kyrie, il Graduale, la Sequentia, con gli abituali intervalli in gregoriano, quale era uso fare nelle composizioni sacre, Messe o altro (dolcissimo il Requiem e di squisita bellezza il Dies Irae).
Offertorium, Prefatio, Sanctus, una scrittura polifonica dove le scansioni contrappuntistiche, oltre a distinguere il linguaggio di Victoria da quello palestriniano (decisamente più statico), ne connotano il carattere contemplativo. E, a parte la storia personale di Victoria (forse amico di Santa Teresa de Avila, la sua città natale e, a Roma, i contatti a Roma con San Filippo Neri e gli studi teologici presso il Collegium Germanicum), il suo lirismo mistico è tipico dell’epoca, “El siglo de oro” di Felipe II, e lo ritrovi in altri grandi musicisti come Morales o Guerrero o nelle tele de El Greco. E’ lo spirito della “Hispanidad”, un cattolicesimo macerato e sofferto, capace di forte “pietas” ma anche di un rigore disumano (gli “Autodafè” e l’Inquisizione).
Agnus Dei, Communio, e il fluire delle voci, nel contrasto degli sfumati, evoca le inflessioni del medioevale canto mozarabico, che Victoria aveva studiato con attenzione. E anche questo particolare lo differenzia dagli stilèmi della Scuola Romana che pure aveva assorbito adattandoli poi alla sensibilità ispanica, come abbiamo visto. La peculiarità del concerto è stata di recuperare il clima delle rappresentazioni sacre del ‘600 romano, dove musica, canto e liturgia avevano una loro precisa collocazione spaziale. I cori decentrati alla Benevoli, per esempio, e così è stato per l’Officium, adattando la linearità di Victoria alle raffinatezze musicali della Roma barocca, che era al contempo palcoscenico e teatro.
La manifestazione si è svolta nell’àmbito della mostra “Barocco a Roma. La meraviglia delle arti” in corso a Palazzo Cipolla ed organizzata dalla Fondazione Roma. E’ uno dei percorsi tematici per far rivivere quello splendido periodo dell’Urbe, non solo visivamente, come nei quadri, sculture ed altro, ma anche come sonorità (vista e udito sono i sensi nobili secondo i filosofi). Magnifico interprete della VIII edizione del Festival Barocco è stato l’Ensemble Festina Lente diretto da Michele Gasbarro, ovvero: Alessandro Carmignani, canto I, Matteo Pigato, canto II, Andres Montilla Acurero, alto, Riccardo Pisani, tenore, David Maria Gentile, baritono, Toni Corradini, basso, Luca Pietropaoli, cornetto, Dario Salerno, trombone, Andrea Lattarulo, violone, Alessandro Albenga, organo. Prossimo appuntamento il 1° luglio, Santi Luca e Martina, per onorare un altro grande del Barocco: Pietro da Cortona.
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