A novembre dell’anno scorso scrissi sul restauro di quattro preziosi arazzi realizzati a Firenze per volere di Cosimo I de’ Medici ed esposti al Quirinale, definendolo come una sorta di saporito “antipasto”. Ed ecco finalmente il pranzo completo, per così dire, il magnifico ciclo dei venti grandi arazzi realizzati da maestri fiamminghi (Jan Rost e Nicolas Karcher) su cartoni di Agnolo Bronzino, Jacopo Pontormo e Francesco Salviati. Il soggetto è ispirato al libro veterotestamentario della Genesi, versi 37,2-50,26, le Storie di Giuseppe, dove il racconto biblico s’intreccia con elementi simbolici il cui fine è l’esaltazione della casata dei Medici e di Cosimo I in particolare.
Dunque venti splendidi arazzi che, iniziati nel 1545, andarono ad abbellire il Salone dei Duecento in Palazzo Vecchio e lì rimasero fino allo smembramento operato dai Savoia (quattro finirono al Quirinale, appunto quelli restaurati ed esposti nel novembre 2014). Oggi vengono riproposti secondo l’ordine d’origine nel Salone dei Corazzieri ed è un colpo d’occhio straordinario quando ci si affaccia sulla soglia ed appaiono le pareti rivestite di questi immensi “quadri” la cui trama è disegnata da migliaia di fili di lana, seta, oro e argento. Una folla di figure ed un tripudio di colori che sembra attirare l’attenzione dei personaggi dipinti sul finto loggiato del soffitto, nonché intonarsi, simbolicamente, alle storie di Mosé raffigurate nei medaglioni in basso (alla Genesi, con Giuseppe, segue il Libro dell’Esodo, dove compare Mosè, quindi la continuità).
Seguiamo la narrazione. Giuseppe, figlio prediletto di Giacobbe, suscita la gelosia dei fratelli e, venduto come schiavo, finisce in Egitto, presso Putifarre, comandante delle guardie del Faraone. Si guadagna la sua fiducia ma la moglie del padrone, da lui rifiutata per lealtà, lo scredita, provocandone l’arresto. In prigione s’ingrazia il capo carceriere e si fa conoscere come esperto di oniromanzia (lettura e divinazione dei sogni), tanto da essere interpellato dal Faraone. Questi lo nomina governatore e, in tale veste, riceve i fratelli giunti a chiedere grano per la carestia che ha colpito la vicina terra di Canaan. Non si fa riconoscere se non quando, dopo varie vicende, capisce che l’indole dei fratelli è cambiata. Si riconcilia con loro e la storia – ed il ciclo degli arazzi – termina con l’incontro di Giuseppe con il vecchio padre Giacobbe e la morte di quest’ultimo.
Tema più volte ripreso dall’arte quello di Giuseppe (dai mosaici bizantini a Rembrandt, da Dorè a Thomas Mann), che qui viene sviluppato con una maestria tale da poter parlare di capolavoro assoluto. Prima un giro del salone, per lasciarsi coinvolgere nella magica spettacolarità dell’insieme, poi gli arazzi uno per uno, onde coglierne la bellezza salvata dalle offese del tempo (e costata ben 27 anni di restauri, a lode dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e del Laboratorio Arazzi del Quirinale). Ciò che traspare subito è il gioco prospettico, per cui le figure non risultano mai piatte, come spesso accade nei lavori di arazzeria di quel periodo, bensì in rilievo su uno sfondo di movimento. Ma è tutto intrinsecamente dinamico, magari con un senso di fuga, come nel “Convito con i fratelli”, uno dei momenti più intensi del ciclo. E che dire della plasticità figurativa di “Giuseppe fugge dalla moglie di Putifarre” e di “Incontro di Giuseppe con Giacobbe in Egitto”? Assolutamente splendidi e cito ancora la “Vendita di Giuseppe”, “Giuseppe spiega il sogno del Faraone delle vacche grasse e magre”, “Giuseppe perdona i fratelli”, “Giacobbe benedice i figli di Giuseppe”.
Differenziano l’un l’altro solo per complessità compositiva ma non certo sul piano qualitativo anche se si avverte la mano diversa, il tocco del Bronzino ben più incisivo di quello del Pontormo (e qui è davvero il caso di dire che l’allievo supera il maestro. Infatti Cosimo aveva affidato il ciclo al Pontormo poi, non soddisfatto, volle il Bronzino). Alla base di tutto il lavoro c’era il “De Josepho” di Filone d’Alessandria, filosofo greco di cultura ebraica che s’ispirava a Platone, non a caso scelto da Cosimo in quanto nel suo cenacolo di artisti Marsilio Ficino era il massimo esponente del pensiero neoplatonico allora in voga.
E s’avverte, fra le righe, come un senso di trascendenza, poiché ogni arazzo racchiude in sé un significato allegorico sui Medici e Cosimo I in particolare, che in Giuseppe compie il suo cammino di umiltà e di saggezza, sino al trionfo finale. Lui e la moglie, l’affascinante Eleonora di Toledo, compaiono in “Giuseppe in prigione e il banchetto del Faraone”. Ma anche Firenze, Porta al Prato, in “La coppa di Giuseppe ritrovata nel sacco di Beniamino” e tanti, poi, sono i richiami alla grandezza di Roma, con i monumenti del suo passato. A significare la continuità della memoria storica, che Cosimo ben teneva presente, a differenza di noi oggi, che tendiamo piuttosto a dimenticare. E allora che questa splendida mostra sia occasione per ripensare al tempo in cui Firenze e Roma erano il cuore palpitante della cultura dell’Europa rinascimentale.
“Il Principe dei sogni” al Palazzo del Quirinale fino al 12 aprile.
Dal martedì al venerdì h.10-13 e 15,30-18,30, domenica h.8,30.12. Ingresso libero. Per informazioni www.quirinale.it e www.comunicareorganizzando.it .
Scritto da: Antonio Mazzain data: 21 febbraio 2015.il7 aprile 2015.
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