Nel cuore di Roma, in piazza Venezia, di fronte al rinascimentale Palazzo di Venezia, sorge il palazzo quasi gemeIlo, ma novecentesco, delle Assicurazioni Generali, che con il suo emblematico leone di San Marco, simbolo di coraggio e intraprendenza, sembra voler rimarcare il legame della Compagnia di assicurazioni con la città che dà il nome alla piazza. Dal 2011 il palazzo ospita al suo interno il museo didattico “Radici del presente”, che ha come protagonista principale il palazzo stesso, perché durante la sua costruzione sono stati ritrovati numerosi reperti archeologici. A questi reperti provenienti dagli scavi effettuati da Giuseppe Gatti tra il 1902 e il 1904, si sono aggiunti quelli già esposti all’interno di due palazzi storici romani, Palazzo Poli in Piazza di Spagna e Palazzo Merolli in via delle Tre Cannelle, così da vedere riuniti i tre nuclei che compongono la collezione di antichità della Società delle Assicurazioni Generali.
Quest’interessante raccolta archeologica è ospitata su una superficie espositiva di circa 700 mq ed è composta da 300 reperti, tutti di età romana e databili tra il II e il V secolo d.C., ad eccezione di un rilievo greco del IV secolo a.C. Il percorso museale, realizzato dall’Università Federico II di Napoli, è stato pensato per le scuole, ma è aperto a tutti e visitabile gratuitamente su prenotazione.
Nella prima sala un’accurata planimetria su un tavolo fornisce dettagli sull’area del palazzo e della piazza su cui sorge. Sezioni e prospetti, oltre a foto di scavo, illustrano la situazione a partire dall’età romana fino a quella attuale. Il sottosuolo della città, in effetti, è un archivio che contiene tutte le informazioni necessarie per ricostruire le vicende avvenute in millenni e, traendo spunto dalla sua stratificazione che conserva come in un diario le trasformazioni subite, si è pensato al nome del museo, a quel voler riportare alla memoria ciò che è venuto prima del presente.
I pezzi esposti in questa sala sono quelli ritrovati dal Gatti a 7 m di profondità dal piano stradale, e da lui interpretati come appartenenti a un’insula, cioè un’abitazione a più piani con numerosi appartamenti, costruita tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C. Durante lo scavo furono recuperate colonne intere e frammentate, basi e capitelli, ritratti e statuette, utensili e ceramica corrosa dalle fiamme di un incendio. Ma tra i reperti sono stati trovati anche sarcofagi e iscrizioni funerarie, che di norma sono estranei ai contesti abitativi. La loro presenza può essere spiegata come riutilizzo di materiali lapidei per innalzare i livelli di calpestio nei secoli successivi. D’altra parte l’area, vicinissima al Foro di Traiano, doveva essere densamente abitata, perché anche altri palazzi vicini, come Palazzo Valentini, hanno riportato alla luce abitazioni di epoca imperiale.
Il museo prosegue con diversi ambienti espositivi, o meglio scenografie abitabili dove i reperti antichi e i documenti d’archivio diventano attori e interpreti di un racconto coinvolgente, come nel caso della rievocazione della domus, ovvero la casa signorile, comprendente un’ara per il culto domestico e altri pregevoli reperti marmorei. Altrettanto stimolante è il viridarium (il giardino della casa romana) con un bell’esempio di erma, un puteale con menade danzante, un rilievo votivo greco, un labrum, ovvero una vasca circolare di marmo adibita a fontana.
Il riuso nel mondo romano, con un ritratto dell’imperatore Gallieno ricavato da uno di Nerone (dopo la damnatio memoriae di quest’ultimo) e delle interessanti tabulae lusoriae (lastre utilizzate per il gioco), è un altro dei temi trattati, come pure il foro con gli edifici pubblici e gli spazi degli dei. In questo caso è particolarmente evidente l’intento didattico, per la presenza di ricostruzioni lignee concepite come puzzle, che i bambini possono toccare e sistemare nel modo giusto.
Dopo queste sezioni si arriva al tema del rilievo storico, per il quale, non a caso, è stato scelto un ambiente dalla cui finestra si vede la parte superiore della Colonna Traiana (inaugurata nel 113 d.C.), uno dei monumenti più straordinari dell’arte romana, simbolo perenne della grandezza militare di Traiano, l’imperatore che annesse all’impero la Dacia. Una telecamera proietta su un tavolo le immagini ingrandite delle scene finali della lunga storia raffigurata sulla colonna e si possono ascoltare le descrizioni degli avvenimenti, come se fossero recitate dai protagonisti. Le battaglie tra Romani e Daci culminano con il suicidio dei Daci e del loro re Decebalo, colto nell’atto di tagliarsi la gola con un pugnale ricurvo, proprio mentre sta per giungere l’ufficiale romano incaricato della sua cattura.
Diverse sono le sale dedicate alle sepolture, evidentemente per l’abbondanza di materiale su questo tema: si va dai riti di sepoltura nell’antica Roma all’identità nel mondo funerario, ai sarcofagi della collezione Merolli-FATA, alle epigrafi funerarie, al “passato come memoria del futuro”. In questo caso viene messo in evidenza dall’allestitore, il filosofo Carlo Sini, un particolare aspetto dell’arte funeraria antica, che vede nel sepolcro “una soglia nella quale la vita e la morte, la memoria e l’oblio, il passato e il futuro si frequentano e, nel presente, si scambiano le parti”. Il monumento funebre può essere considerato, in effetti, come “il luogo di trasformazione unificatrice dove la morte si congiunge con la vita, rappresentandola nel ricordo”. Per questo nei sarcofagi venivano spesso raffigurate scene di vita, come pure eroi e personaggi mitologici, con i quali i committenti volevano identificarsi (ad esempio Ercole, che diventa immortale grazie ai suoi meriti), e soprattutto i cortei dionisiaci, con le nozze di Dioniso e Arianna, dove il dio si congiunge con una donna mortale, evidenziando così l’atto fecondo che rinnova la vita. Ricordiamo a questo proposito che Dioniso non è semplicemente il dio del vino, ma è colui che nei riti misterici rinasce dalla morte, così come la natura, seguendo il ciclo delle stagioni, muore per poi rinascere a primavera.
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