Il mondo medioevale era un mondo caratterizzato da una forte valenza simbolica, un mondo ove ogni atto o parola aveva una sorta di controcanto, l‘immagine proiettata in un universo fittizio ma che, per l’uomo di Christian Louboutin uk allora, era reale non meno dell’altro. Immersa in una dimensione dove i ritmi quotidiani erano scanditi Louis Vuitton sale dalla campana del borgo, la sua era una vita senza sfumature, come la nostra oggi, incentrata sull’antinomia luce-tenebre e tutto veniva dvds box sets rapportato ad essa.
Una vita peraltro precaria, come sappiamo (carestie, guerre, pestilenze), che egli in un certo senso sublimava nella proiezione simbolica. Soprattutto l’arte si esprime per allegorie, spesso rapportandosi all’iconografia religiosa, con effetti il cui scopo è sempre l’edificazione, l’ “exemplum” morale. Dal bestiario medioevale ai Misteri, alle rappresentazioni fra profane e sacre, come “Le Roman de Fauvel”, presentato con successo al Teatro Olimpico.
Il periodo è inizi XIV secolo, la Francia di Filippo IV il Bello, contro la cui politica vessatoria si scaglia questo grottesco apologo firmato da Gervais du Bus e Chaillou de Pestain con musiche di Philippe de Vitry, teorico nonché massimo esponente dell’ “Ars Nova”, che poi con Guillaume de Machault segnerà l’apice della musica gotica. Un’allegoria, appunto, e protagonista è Fauvel, un asino antropomorfizzato al quale tutti, potenti ed umili, rendono omaggio. La voce narrante introduce a questo che è un mondo capovolto, tema peraltro tipico della cultura medioevale, dove improvvisamente si verifica una sospensione della norma e i ruoli si invertono. Così “La Fete de l’Ane”, la chiesa non più luogo di raccoglimento ma di lascivia, o il clima quasi blasfemo di taluni passaggi dei “Carmina Burana”. E come non pensare ai tarocchi o al motivo pittorico del “Trionfo della morte”, che stravolge completamente ogni certezza: dove tutti sono finalmente eguali, poveri e ricchi?
Dunque l’asino il cui nome, Fauvel, racchiude in sé i vizi capitali (ogni consonante o vocale ne indica uno), è improvvisamente il centro dell’universo e mentre il narratore descrive le sue imprese, nel canto si esprime tutto lo sgomento per un ordine di cose sovvertito. “O varium Fortune lubricum”, aria su liuto, l’incostanza dell’umana sorte e si invoca la chiesa, ma i suoi prelati sono corrotti, e si blandisce Filippo IV, perché la sua tirannia ha provocato tutto questo. Ogni cosa non è quel che sembra, la Verità si nasconde in questo mondo di apparenze dove Fauvel detta legge e innalza falsi idoli a cui tutti si prostrano. E cerca alleanze, vuole sposare Fortuna che rifiuta, allora sua consorte sarà Vanagloria, quasi un presagio di ciò che lo attende, perché in fondo ha edificato sul Nulla. Alla fine, con un aspro duello fra Vizi e Virtù si conclude la parabola di seduzione di Fauvel e tutto torna nella norma, con una bella bevuta (“Ci me faut un tour de vin”, qui mi ci vuole un giro di vino).
Sia nella narrazione, sia nelle parti cantate, vien fuori il ritratto della Francia del tempo, con i suoi costumi (come lo “charivari”, un rito di nozze di origine rurale e fortemente simbolica), un tessuto sociale lacerato dalla corruzione, soprattutto in alto (la chiesa che gli ordini mendicanti e gli eretici definivano “Nuova Babilonia”), i soprusi di Filippo il Bello, come la persecuzione dei Templari, il cui immenso patrimonio provocava la reale invidia. Tutto ciò in una colorita alternanza di voce recitante e parti cantate e qui è davvero un florilegio della musica medioevale, perché se ne percorre proprio il punto di passaggio dall’Ars Antiqua all’Ars Nova. Dal “conductus”, originario dell’Ecole de Notre Dame, al “lai”, quasi una poesia musicata, al “duplum” e “triplum”, la forma primitiva del mottetto che poi, con Philippe de Vitry e le sue modalità isoritmiche, si perfezionerà ulteriormente.
Mentre David Riondino narrava le ribalderie di Fauvel, con l’ironia che lo contraddistingue (ma anche guidando lo spettatore nei meandri della rappresentazione, per comprendere meglio lo spirito dell’epoca), l’ensemble laReverdie ha magistralmente confezionato la colonna sonora – chiamiamola così – di quest’opera a mezza via fra “ludus” e mistero medioevale. E sono: Claudia Caffagni, voce, liuto, Livia Caffagni, voce, flauti, viella, Elisabetta De Mircovich, voce, viella, symphonia (la ghironda medioevale), Matteo Zenatti, voce, arpa, Mauro Stelletti, percussioni, flauto doppio.
Scritto da: Antonio Mazzain data: 11 maggio 2014.il15 settembre 2014.
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