Evan Gorga, professione: collezionista
E’ ben noto come il collezionismo, a certi livelli, può diventare una sorta di malattia e casi, diciamo così, “clinici”, sono documentati a iosa. Ciò non toglie che, visto dall’esterno, il collezionare, sia monotematico, sia a più voci, abbia il suo fascino, soprattutto se il risultato delle ricerche non finisce sigillato in un museo ad uso personale, ma viene esposto al pubblico. Ed è il caso della collezione del tenore Evan Gorga, appena una piccola parte degli oltre 100mila oggetti di varia natura che mise insieme nel corso di una vita. Piccola ma sorprendente, un assortimento antiquario che va dal semplice “coccio” alla scultura raffinata, “il Museo Enciclopedico, che comprende tutto lo scibile, dall’Arcaico ai nostri giorni”, così lo definì lui stesso. E, in effetti, è una cavalcata nel tempo, che documenta con minuzia il quotidiano dei nostri antichi Padri, ottimamente esposto nei nuovi spazi di quel gioiello architettonico che è Palazzo Altemps che ora, arricchito di tre nuove sale, offre al visitatore un percorso completo. Prima di dedicarsi alla visione delle anticaglie gorghiane, dieci vetrine con pezzi spesso di notevole bellezza, è obbligatoria una visita all’Appartamento della Stufa, così chiamato perché, nel XVI secolo, la stanza aveva un impianto di riscaldamento, del quale restano le tracce a livello del piano pavimentale.
Da notare, oltre agli affreschi sulle pareti, la scultura che raffigura Artemide, la Diana dei Romani, qui in prestito dal museo Boncompagni Ludovisi. Ed ora immergiamoci in questa singolare collezione che Evan, magari facendo anche “buffi” per rincorrere il pezzo mancante, cosa questa tipica del vero collezionista, che è un ossessivo-compulsivo, raccolse sul mercato antiquario romano che, a cavallo fra ‘800 e ‘900 era un efflorescenza di botteghe e bottegucce, nonché mercato clandestino. C’era di che spaziare e il buon Gorga lo fece anche troppo, magari finendo in mano agli strozzini per sempre meglio ampliare e definire il suo particolarissimo museo.
C’è di tutto e di più e lo capisci dalle prime vetrine, che quasi ti stordiscono con il loro variegato cromatismo, fatto di frammenti parietali, stucchi, intonaci dipinti, tarsie in porfido, alabastri, questi ultimi di gran pregio.
E’ una raccolta dove si va dal basso all’alto, dal pezzo di scarso valore ma comunque sempre bello (il Nostro aveva uno sviluppato senso estetico, gli mancava solo la moderazione) al pezzo notevole, quando non unico. Come nella sezione degli ossi e avori, vedi il manico a testa d’uccello, o in quella dei giocattoli, con i sonagli zoomorfi, le marionette e la bambolina snodabile (e come non pensare, per analogia, a Crepereia Tryphaen, trovata in un sarcofago durante gli scavi per il Palazzaccio?). E le antichità egizie (una statuetta mummiforme in faiance), la ceramica etrusca (magnifica la fiasca da pellegrino) ed etrusco-corinzia (eccezionale il rhyton, contenitore usato per bere, a testa di suino), le terrecotte architettoniche con motivi di vita dei campi (la pigiatura dell’uva) e mitologici (Eracle ed Apollo in lotta) e quelle votive (in particolare le tanagrine, statuine panneggiate d’età ellenistica).
E siamo solo a metà mostra, altre centinaia di oggetti attendono di essere ammirati. Ad esempio le antefisse, le lucerne, gli unguentari, gli specchi, i bronzetti figurati (una Nike o Vittoria alata), le urne funerarie (notare quella con il mito di Ifigenia), vasellame bronzeo (un simpulum, sorta di mestolo usato per le libagioni), le fistule acquarie, vetri, tessere di mosaico.
E’ uno sconfinato paesaggio di oggetti, spesso ripetuti più volte (la ricerca del modello perfetto), che diventa una vera e propria festa per gli occhi, con tutto quell’alternarsi e sovrapporsi di forme e colori. Lunga e faticosa la catalogazione fatta dagli archeologi, che ha riservato non poche sorprese, in quanto ogni pezzo ha la sua storia, che spesso permette collegamenti e richiami (come gli elementi decorativi di provenienza dalla Domus Transitoria e dalla Domus Aurea). Ma l’archeologia non è il solo nucleo centrale del suo hobby (usiamo un eufemismo), Gorga era un apprezzato tenore, quindi familiare al mondo della musica che, fedele alla sua idea di un museo “totale”, ripercorse collezionando strumenti all’origine di quel fascinoso complesso espositivo – ma, purtroppo, poco conosciuto dal grande pubblico – che è il Museo degli Strumenti Musicali a Santa Croce in Gerusalemme. E la mostra a Palazzo Altemps è un ottimo pretesto per farvi una visita: ne vale la pena.
Inserire un commento