Paolo Portoghesi, il borrominiano
Paolo Portoghesi, il borrominiano
di Antonio Mazza
Fu il suo modello ideale sin da giovanissimo, quando frequentava i corsi di Architettura nell’Università di Roma, alla Sapienza. Aveva solo 16 anni quando pubblicò un saggio sul Borromini, molto accurato, come gli scritti su Guarino Guarini, il “Borromini del Nord” (vedi la Cappella della Sindone a Torino). In seguito si affermò prima nell’insegnamento teorico e poi nella pratica, con testi fondamentali dove l’eredità del passato diventa l’humus del presente (vedi “Borromini. Architettura come linguaggio” ) e opere notevoli soprattutto nel campo dell’architettura sacra, come la chiesa della Sacra Famiglia a Salerno e la moschea di Roma (ma anche il Politeama di Catanzaro e vari rifacimenti urbani). Paolo Portoghesi, “laurea honoris causa”, è stato un personaggio stimato a livello internazionale, la cui peculiarità è quella di aver trovato un punto di armonia fra l’eredità del passato e la voglia di futuro. Un tipo di ricerca che gradualmente si amplia, così che il semplice elemento materico si colloca in una prospettiva sensoriale, dove l’architettura viene percepita quasi come un involucro che custodisce il nucleo dell’opera. E’ un concetto che viene da lontano, espresso nelle chiese e nei palazzi del Rinascimento, ben recepito (e attualizzato) da Portoghesi e che ha la sua gestazione nelle migliaia di foto da lui scattate per meglio significare, nella pietra, la sua idea di architettura. E 72 splendide immagini sono in mostra all’Accademia di San Luca, a cura e con l’organizzazione di Francesco Cellini, Vice Presidente e Laura Bertolaccini, Vice Segretario aggiunto dell’Accademia e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana.
Borromini, naturalmente, che ha arricchito la città di opere spesso sublimi nella loro estrosità, in parallelo con un altro grande, Bernini, più classico questo quanto magnificamente folle lui, Francesco Borromini. E le foto propongono i momenti-chiave del suo percorso artistico, chiese, palazzi, diecine di scatti in bianco e nero eseguiti con una Rolleiflex o una Hasselblad. Scatti che, però, non hanno nulla di “colore”, cercando il bello fine a se stesso, tutt’altro, lo scopo essendo quello di entrare all’interno del soggetto stesso. Le angolature ed i vari giochi prospettici, gli scorci spesso realizzati a rischio su precarie impalcature, tutto è finalizzato a rendere viva, palpabile, la realtà rappresentata, ed è questo un anticipo di quella concezione (e visione) sensoriale che sarà intrinseca all’architettura di Portoghesi. Lo vediamo subito nei gruppi di foto alle pareti, a cominciare dal blocco dedicato a Sant’Ivo alla Sapienza, con i tagli e il gusto del particolare che impreziosiscono la stessa immagine (per esempio Palazzo Falconieri). Per non parlare del senso di vertigine nelle raffigurazioni dall’alto (con rischio personale, come già detto) e dal basso, con l’incombere e dilatare delle cupole (Sant’Ivo, San Carlino). Ma Paolo il fotografo guarda anche oltre l’edilizia monumentale, i palazzi comuni, perché la sua curiosità è onnivora. E così, nel blocco “Di sotto in su”, compaiono le finestre del palazzo Centini Tosi nella romana via Capo le Case, detto il “Palazzo dei Pupazzi” per le cariatidi che le ornano. O, meglio ancora, la finestra anonima alla quale è agganciata una gabbietta per canarini, segno della sua totale mancanza di snobismo artistico. E lui, Paolo Portoghesi, ci ammicca da un selfie in controluce sullo sfondo della cupola di San Carlino alle IV Fontane. Il suo amato Borromini.
“Di Paolo Portoghesi. Sguardo, parole, fotografie” all’Accademia di San Luca fino al 4 novembre. Da martedì a sabato h.10-17,30, ingresso libero. Per informazioni 066798848 e www.accademiasanluca.it (da visitare la bellissima pinacoteca in loco).
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