Gino Galli, magnifico sconosciuto
Gino Galli, magnifico sconosciuto
di Antonio Mazza
Un nome che resta lì sospeso, non sai dargli consistenza perché poco nulla si è parlato e scritto di lui, almeno fino ad ora, alla sua riscoperta. Che è quanto mai lodevole, perché Gino Galli era l’allievo prediletto di Giacomo Balla, uno dei padri del Futurismo. Con lui, Giuseppe Bottai, il futuro ministro delle Corporazioni e dell’Educazione Nazionale, ed Enrico Rocca, fu condirettore della rivista “Roma Futurista”. E poi la sua fertile attività artistica iniziata in età ancora acerba, con due personali nella Casa d’Arte Bragaglia (1919 e 1921), uno dei più importanti cenacoli culturali della Roma degli anni ’20. Quindi un pittore di primo piano sul quale, al vertice della notorietà, improvvisamente cala l’oblio, anzi, una sorta di “damnatio memoriae”. E la causa scatenante riemerge dalla mostra organizzata nel Palazzo del Rettorato della Città Universitaria, “Gino Galli (1893-1944). La riscoperta di un pittore tra Futurismo e Ritorno all’ordine”. A cura di Edoardo Sassi, giornalista del Corriere della Sera, e Giulia Tulino, assegnista di ricerca (Sapienza Università di Roma”), realizzata con il coordinamento scientifico di Ilaria Schiaffini, docente di Storia dell’arte contemporanea e direttrice del MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea).
Un genio precoce, dicevo, e infatti il suo primo lavoro, “Ritratto della madre” (1910), dipinto a soli 17 anni, è decisamente notevole, perché dimostra una buona padronanza tecnica. E così gli altri (“Silvia”, 1910-11, ad esempio), fino all’esplosione futurista, una fase che lui vive in totale pienezza, come dimostrano opere di forte impatto quali “Trotto = slancio + caduta” (1914), dal vorticante dinamismo, “Voluttà” (1918-19), dagli echi boccioneschi (il Boccioni delle “Forme uniche della continuità nello spazio”), “Simultaneità donna bimbo piante” (1918-19), una sorta di maternità futurista, o le tempere “Senza titolo” (1914-16), che rimandano al Balla delle linee e segni in progressione. Gino vive con slancio il momento futurista, scrivendo sul periodico che dirige insieme a Bottai e Rocca, prendendo nota di tutto sul suo taccuino, scattando foto, insomma un’attività frenetica che nella mostra è testimoniata da documenti storicamente preziosi (vedi il biglietto autografo di Filippo Tommasi Marinetti e “Autocaffè”, la cartolina autografa di Giacomo Balla a Gino Galli, i numeri originali di “Italia Futurista” e “Roma Futurista” con disegni di Gino Galli, il suo taccuino, una foto-ritratto a Luce Balla, “La danza della mitragliatrice”, serie di 5 illustrazioni per l’omonimo testo di Marinetti).
Ma Galli è un pittore di ricerca ed ecco “Senza titolo” (Le fasi della vita), in cui la sua vena futurista stempera in un simbolismo dai toni drammatici. E questo riflette la “sua” realtà, di artista che, all’inizio degli anni ’20, viene messo brutalmente da parte, accantonato e poi dimenticato. Sono i quadri dello scandalo ad emarginarlo, un “Nudo di donna” e un “Nudo di uomo”, entrambi in posa di autoerotismo, e se il primo forse non provoca granché (il “machismo” del regime può anche chiudere un occhio, con malizia), il secondo davvero risulta un’offesa imperdonabile al costume nazionale dove impera il culto della virilità. Il suo “coming out”, come diremmo oggi, suona come un insulto al regime e lui, omosessuale e morfinomane, paga un prezzo alto. E’ anche membro dell’Ovra, la polizia segreta del Duce, e quale referente ha l’attrice Bice Pupeschi, spia e amante di Arturo Bocchini, capo della polizia fascista (nome in codice “Diana”, verrà amnistiata nel 1946). E qui sorge spontanea la domanda se proprio il suo essere omosessuale e morfinomane non lo esponesse al ricatto, obbligandolo a fare la spia (casi del genere ve ne furono a iosa in quegli anni torbidi). Comunque Galli continua a dipingere ed il suo linguaggio pittorico è ora rivolto ad un figurativismo di stampo classico, talora molto vicino ai toni del realismo magico (tipo Donghi).
Una serie di robusti ritratti ed altrettanto incisive nature morte caratterizza la sua produzione degli anni ’20-’30 (cito in particolare “Carlo”, un bellissimo pastello, il “Nudo di uomo” (Luciano), il suo amante, e il ritratto della famigerata Bice Pupeschi, in monocromo). Molto marcata la sua componente espressiva che sembra attenuarsi negli anni ’40, con paesaggi dove si mischiano natura e rovine (le visioni del Foro Romano) o immagini dalle suggestioni rinascimentali (“Natività”, 1944). Ma tutto questo, la feconda fase pittorica seguita al “dopo” lo scandalo, avviene quasi in sordina, su Galli è ormai calato l’oblìo che, nel dopoguerra, permane. Omosessuale, drogato, collaborazionista, ce n’è abbastanza per non citarlo neanche nelle cronache d’arte moderna, tanto meno se si parla di Futurismo che, come sappiamo, per qualche tempo è stato snobbato in quanto si identificava col Fascismo. E Galli è rimasto a lungo un personaggio scomodo, un pittore “maudit”, che la sua epoca aveva confinato a una sola e scandalosa rappresentazione (peraltro un’opera unica nel suo genere). Erroneamente, perché ha fatto ben altro e di valore, come risulta dalla mostra in corso alla Sapienza. Gino Galli, un artista problematico, ma soprattutto un uomo che ha avuto il coraggio di vivere le proprie contraddizioni. E diventare così un magnifico sconosciuto.
“Gino Galli. La riscoperta di un pittore tra Futurismo e Ritorno all’ordine”, fino al 6 maggio, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Città Universitaria, Sapienza Università di Roma, Palazzo del Rettorato. Ingresso libero.
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