Il cardinale umanista
Il cardinale umanista
di Antonio Mazza
“Il governo degli affari è in mano al nipote Neri Corsini, uomo di capacità men che mediocri”. Così scriveva nel 1740 Charles de Brosses, illustre viaggiatore del Grand Tour, dopo essersi recato a visitare papa Clemente XII a Monte Cavallo (all’epoca spesso i papi risiedevano al Quirinale). Dunque una personalità di poco conto, forse poco abile nel trattare questioni di stato e simili, ma certamente degno di considerazione e anche di stima se lo si considera da una prospettiva diversa. E qui ne scaturisce l’immagine di un uomo colto, raffinato, un esteta ma, soprattutto, un grande umanista, che diede un notevole contributo alla vita culturale romana del XVIII secolo. Di formazione cosmopolita, avendo frequentato le corti europee al servizio dei granduchi di Toscana, dimostrò subito la sua visione “aperta” trasformando il palazzo già di Girolamo Riario, nipote di Sisto IV, in una magnifica residenza con un giardino che giungeva alle falde del Gianicolo, una ricca pinacoteca ed un’altrettanto fornita biblioteca, con licenza di avere testi “prohibiti et damnati”, i libri messi all’indice (e per questo venne accusato di simpatie gianseniste, ospitando il “Circolo dell’Archetto”, di idee decisamente non conformiste).
Insomma Neri, nominato cardinale appena approdato a Roma, nel 1730, comincia subito a destar meraviglia affidando la ristrutturazione del palazzo alla Lungara a Ferdinando Fuga, architetto di fama che univa semplicità ed eleganza (cito, fra le sue opere, la facciata di Santa Maria Maggiore, il Palazzo della Consulta e le Scuderie Pontificie al Quirinale, Santa Maria dell’Orazione e Morte, il Triclinio Leoniano). E ne venne fuori un capolavoro di gusto europeo che ancor oggi, con il suo corredo d’arte, suscita ammirazione (“L’architetto Fuga superò se stesso e riparò gli errori di dettaglio, coll’ampiezza della massa, la giustezza della pianta e la magnificenza dell’effetto”, si legge nell’ormai classico “Itinerario di Roma” di Antonio Nibby, 1865, impreziosito da stampe di Giuseppe Vasi che già aveva celebrato i fasti della villa nel suo “Delle magnificenze di Roma antica e moderna”). Dall’Anticamera alla Prima Galleria e da questa alla Galleria Nobile e poi la Sala Blu, la Camera del Camino, la Camera dell’Alcova, che fu camera da letto di Cristina di Svezia, il Gabinetto Verde, la Camera Verde, l’Anticamera e la Camera delle Canonizzazioni, la Cappella e, naturalmente, il Giardino. Tutto un complesso di raffinata eleganza che viene ripercorso in un allestimento di fascinosa visione nella mostra “Le stanze del Cardinale. Neri Maria Corsini protagonista della Roma del Settecento”, a cura di Alessandro Cosma.
Dunque una rilettura storicizzata di come erano le sale del Palazzo Corsini e, soprattutto, la disposizione del tesoro d’arte del cardinale, recuperando opere nel tempo traslocate altrove. Ed ecco, nell’Anticamera, due suoi ritratti, quello famoso del Baciccia e quello meno noto di Anton David, due epoche della vita del monsignore ma sempre quell’espressione arguta che ne denota la nobiltà. Nella Prima Galleria in una serie di volumi è racchiuso l’inventario dei quadri e degli oggetti comprati o donati e, interessante, una “Ricostruzione dell’allestimento della Galleria Corsini nel 1829”, inchiostro su carta, di Tommaso Corsini che curava il patrimonio di famiglia. Nella Galleria Nobile un’altra immagine del Neri che, di casa alla corte francese, venne ritratto da Hyacinthe Rigaud nella posa tipica dei ritratti ufficiali, abito e mantello di raffinata eleganza e parrucca alla moda (tanto gli piacque che, divenuto cardinale, chiese al papa la dispensa per tenere la capigliatura lunga e folta). Fra le varie opere da segnalare un bel Carlo Maratta, “Madonna con Bambino Santa Caterina d’Alessandria e Angeli e musici”, fresco di restauro che ne ha messo in risalto l’elemento cromatico. E un altro recupero è in programma, il “Tributo della moneta”, opera intensa di Luca Giordano, grazie all’Associazione Civita e la Tenuta Caparzo (il progetto “vino Civitas” che ha permesso il restauro della “Madonna del latte”, di Murillo, e di una consolle settecentesca, entrambe presenti nella Galleria).
Ancora opere non visibili perché in altre sedi, come il “San Francesco”, ambito di Guido Reni, o la fascinosa “Lucrezia” attribuita al Guercino. E ne riserva anche la Camera del Camino, all’epoca studio del cardinale nonché luogo di ricevimento, con una “Madonna del Rosario” di Giovan Francesco Gessi, allievo di Guido Reni, un “Nettuno”, bronzo della cerchia del Bernini, e “Cristo alla colonna”, avorio di scuola nordica, fine ‘500-inizi ‘600. Da notare anche la “Natività”, dal tocco delicato, attribuita a Elisabetta Sirani, di scuola bolognese, molto frequentata da aspiranti pittrici donne. Nella Sala dell’Alcova, l’unica che conserva l’originale decorazione cinquecentesca del palazzo Riario, si distinguono le vedute di Roma antica del Panini, “Madonna e santi” di Frà Bartolomeo, il “Ritratto del Doge Giovanni I Corner”, del Tintoretto, e una “Figura maschile china di spalle”, carboncino su carta del Bernini. Cito solo alcune delle opere tornate dall’esilio, per cosi dire, a reintegrare la perduta fisionomia, tutte di rilievo come, nella Sala delle Canonizzazioni, “San Francesco Regis e gli appestati”, di Domenico Maria Muratori, dalla misurata drammaticità.
Di sorpresa in sorpresa. Un’eccellente “Copia dell’autoritratto di Rubens” del toscano Giovanni Domenico Campiglia, “Il quinto libro del novo teatro delle fabbriche et edificii fatte fare in Roma e fuori di Roma” stampata nella Calcografia Camerale (e qui, a merito del cardinale, va l’aver impedito ai mercanti inglesi di acquisire la storica Stamperia De Rossi, sancendo la nascita della Calcografia della Reverenda Camera Apostolica”), una “Veduta della fonte dell’Acqua Vergine non terminata detta di Trevi”, interessante perché mostra la Fontana in costruzione, “Donna velata con tunica” in marmo (forse Demetra) del I-II secolo d.C. E dal Gabinetto Verde alla Camera Verde, con un bel mosaico, la “Sibilla Persica”, di Mattia Moretti, da Guido Reni, alla Stanzetta in cui, oltre ai progetti di Ferdinando Fuga per la ristrutturazione dell’edificio, figura una magnifica incisione di Giuseppe Vasi con la panoramica di Palazzo Corsini. Infine la Camera Azzurra, dove, grazie al Vasi ed altri è possibile capire quanto si estendeva la “verzura”, il giardino, che includeva il Casino dei Quattro Venti, distrutto nei drammatici giorni del 1849 (lo ricordano due tele ed un libro).
La già folta pinacoteca (per non parlare del resto) si è così arricchita di opere che testimoniano dell’originaria disposizione voluta dal cardinale coadiuvato dal suo consigliere e bibliotecario Giovanni Gaetano Bottari (che qui appare in un ritratto del Campiglia). Palazzo Corsini come un gioiello d’architettura nonché uno scrigno d’arte, del quale oggi possiamo godere grazie al raffinato senso estetico del cardinale Neri Maria Corsini, uomo di chiesa e uomo di cultura.
“Le stanze del Cardinale. Neri Maria Corsini protagonista della Roma del Settecento” a Palazzo Corsini fino al 10 aprile. Da martedì a domenica h.10-19, biglietto euro 12 intero valido 20 giorni dalla timbratura. Consigliabile prenotazione weekend e festivi. Per informazioni 066802323 e www.barberinicorsini.org
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