Vivi Felice
Musicalmente assai fertile la famiglia Scarlatti, non numerosa come quella Bach (ben 38 elementi), ma comunque valida per il suo apporto creativo. In particolare Alessandro che introduce la sinfonia d’apertura, poi chiamata “ouverture italiana” e il figlio Domenico, che si dedica, arricchendola di spunti nuovi, alla tecnica della tastiera. E i risultati sono le 555 sonate composte quasi tutte in onore di Maria Barbara di Braganza, regina di Spagna (consorte di Ferdinando VI) e sua allieva. “Essercizi per gravicembalo” e, nella dedica, figura il consiglio a dilettarsi della musica come mezzo per migliorare se stessi. E termina con un’esortazione, “Vivi felice!”.
In effetti, ascoltando le sonate, se ne resta ammaliati per quella grazia e serenità che trasmettono, sentimenti però non esclusivi dell’esecuzione al cembalo, come risulta da questa trascrizione su strumento a corda di origine antica, l’arpa. Anzi, per essere precisi, cordofono a pizzico, in una rilettura molto intrigante ad opera di Adeline de Preissac, arpista di fama internazionale. E che sia intrigante lo si intuisce subito, dalla prima sonata, la 232, con il suo incedere sinuoso, che si snoda in un’alternanza di chiaroscuri. Una levità di tocco che non tradisce il modello originale, ricamo questo come quello, ma senza le inevitabili ancorché fascinose “legnosità” del cembalo. Cosa ancora più evidente nella sonata successiva, la 148, tutta in punta di corda, per così dire, così come il brano scarlattiano si sviluppava su cadenze estremamente morbide.
E analoga riflessione per la 466, di fine struttura, o la più movimentata 239 o, ancora, la 213, dalla timbrica dolce e discreta. Ma non certo statica, vedi la 212, con il suo ruscellare di suoni che si compongono e scompongono in una sorta di moto ondoso che, peraltro, è la caratteristica peculiare dell’arpa. E’ questo dondolìo e continuo fluttuare melodico che ne fa uno strumento a sé, un qualcosa di sospeso evocante atmosfere arcaiche e perciò dense di suggestione. Atmosfere familiari ai musicisti francesi del ‘900, Saint-Saens, Fauré, Debussy, Roussel, Milhaud, grazie anche ad una fiorente industria di fabbricanti d’arpe (come la ditta Pleyel con la sua famosa “arpa cromatica”).
Dunque una tradizione che riverbera nel tocco sicuro della de Preissac, la cui scioltezza di linguaggio ricorda lo stile asciutto e brillante di un altro grande arpista, Nicanor Zabaleta. E prosegue nella rilettura delle sonate, il piano seguendo al forte, così la 302, lieve e delicata, poi la 25, con un piglio vivace e un po’ birichino, assolutamente solare. Più meditativa, invece, la 434, una filigrana di gusto squisito, mentre la 201, che conclude il ciclo, si rivela di una coinvolgente briosità. E’ appunto quel “Vivi felice!” che impregna tutti i brani, l’auspicio scarlattiano che Adeline de Preissac ha saputo rendere al meglio non limitandosi alla semplice parafrasi musicale delle sonate ma impreziosendole di risonanze nuove, non previste dalla struttura timbrica del cembalo. Un’esperienza musicale tutta da gustare, felicemente, come sen’altro direbbe il buon Domenico.
“Vivi felice” sonate di Domenico Scarlatti eseguite all’arpa da Adeline de Preissac, cd L’Autre Distribution, euro 12.
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