Un pittore marchigiano a Roma
Un pittore marchigiano a Roma
di Antonio Mazza
“Carolus Maratti Pictor” è scritto sul sepolcro romano in Santa Maria degli Angeli, dove si trova anche una sua opera, “Battesimo di Gesù”, commissionatagli da papa Innocenzo XII Pignatelli. Carlo Maratti, di Camerano, provincia di Ancona, sin da giovane attratto dal disegno e dalla pittura, arti che perfezionò quando, giunto a Roma, cominciò a frequentare la bottega di Andrea Sacchi, personalità di spicco della Roma barocca. La sua produzione iniziale verteva ovviamente su soggetti sacri ma in maniera un po’ ripetitiva, tanto da meritarsi il soprannome di “Carluccio delle Madonne”. In realtà, negli anni, mostrò un grande talento artistico, non solo nelle opere di chiesa (S.Maria del Popolo, S.Andrea al Quirinale, S.Croce in Gerusalemme, S.Andrea e Carlo al Corso, S.Isidoro) ma nel campo ritrattistico, meritando una fama ben oltre i confini nazionali. E questa si celebra a Palazzo Barberini, a quattrocento anni dalla nascita (1625), con “Carlo Maratti e il ritratto. Papi e Principi del Barocco romano”, a cura di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Yuri Primarosa.
Non era facile creare qualcosa d’originale nella Roma di quel periodo, dominata da tre personalità d’eccezione, Pietro da Cortona, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. Il Barocco al suo apice che il giovane artista marchigiano affrontò in una maniera fuori dagli schemi, il proprio linguaggio pittorico, formatosi alla scuola del Sacchi, rivelandosi incline ad un classicismo che aveva le sue radici in Raffaello. E lo dimostrò nel ritratto, acquistando presto una fama che fece dimenticare il soprannome un po’ ironico con il quale era conosciuto nell’ambiente romano. Il suo merito principale era di saper cogliere la verità umana del personaggio raffigurato, nella cura della fisiognomica che lasciava così “leggere” il personaggio stesso. Insomma un ritratto psicologico, realistico, ben diverso da quello barocco, pur bello, ovviamente, ma anche più superficiale. In pratica due estetiche a confronto, entrambe valide ma con valenza diversa, sia nella forma che nella sostanza.
Lo testimonia l’intendente Giovan Pietro Bellori (il suo ritratto figura nel logo della mostra), suo amico, ammiratore e protettore che aveva scritto delle biografie sul modello delle “Vite” del Vasari, nelle quali affermava il primato del classicismo sul naturalismo. Quindi una diversa e nuova concezione del Bello che scaturiva dall’amore per l’antichità classica (il XVII secolo segna lo sviluppo del collezionismo antiquario: vedi Cassiano dal Pozzo). E i quadri del Maratti (o Maratta, come viene designato spesso nelle storie dell’arte) rispecchiano quest’idea, nelle linee, le forme, ma soprattutto nel clima che si respira e che trasmette l’opera esposta. Così i ritratti della famiglia Barberini non meno che quella Rospigliosi ed altri, taluni messi a confronto, come il “Ritratto di papa Clemente IX Rospigliosi”, nella versione marattiana ed in quella di Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio. Quasi coeve, 1669 l’una e 1667-69 l’altra, differiscono nell’impianto narrativo, quella del marchigiano mostra il pontefice seduto, un libro in mano, l’aria benevola e un po’ stanca, mentre quella del ligure (Gaulli era di Genova) lo mostra nell’atto di benedire. Senz’altro la versione del Maratti risulta superiore per la ricchezza dei dettagli e la generale resa figurativa che esalta il personaggio del papa. Un capolavoro.
Ma anche gli altri ritratti meritano attenzione, sia quelli di genere ecclesiastico che quelli di genere laico. Così per il cardinale Antonio Barberini, nipote di Urbano VIII, rappresentato a mezzo busto (1670) e a figura intera (1682-83), questa di particolare bellezza, dove si avvertono echi della scuola emiliana. Certo, Maratti fa parte dell’èra barocca ma sulle tele ne interpreta lo spirito in modo più contenuto, levigato, senza quella peraltro fascinosa retorica che seduce al primo sguardo (pensiamo alla “Gloria di Sant’Ignazio” del Gaulli o “Il trionfo della Divina Provvidenza” di Pietro da Cortona, in onore di papa Urbano VIII). Ancora un paio di ritratti curiali, il cardinale Carlo Barberini (1675), restaurato per l’occasione, e il cardinale Giacomo Rospigliosi (1680), nipote di Clemente IX, opere che ne mettono in risalto il lato caratteriale, introverso e debole il primo (infatti non fece mai carriera) quanto determinato e volitivo il secondo.
E quelli laici, a cominciare dall’amata figlia Faustina rappresentata come “Allegoria della Pittura” (1698), stupendo omaggio ad una giovane che frequentava l’Accademia dell’Arcadia insieme al padre. Oppure l’amico Giovan Pietro Bellori, in occasione dell’uscita del suo libro che lui, il volto affinato da intellettuale, indica col dito (1672-73); il “Ritratto di Maria Maddalena Rospigliosi Panciatichi” (1664), nipote di Clemente IX, il cui vestito all’ultima moda è curato nei particolari (gli sbuffi, i giri di trine), così come l’abito del principe Maffeo Barberini (1670-71); il “Ritratto del granduca Cosimo III de’Medici (1700) giunto a Roma per il Giubileo del 1700 e ripreso da Maratti in veste di canonico. Ma forse il quadro più intrigante è il “Ritratto del frate Luke Wadding (1655), brillante teologo sorpreso mentre compila i suoi “Annales” nel convento di S.Isidoro (sullo sfondo) dove si trova anche uno dei capolavori del Bernini (e dove, nell’800, ebbe sede la confraternita dei pittori Nazareni). Una composizione di aerea levità che rende l’opera di particolare suggestione, con il suo taglio decisamente classico che si confronta con l’impostazione barocca di altri pittori presenti, come Jacob Ferdinand Voet con “Ritratto di Anna Caffarelli Minutoli de Quinones” (1672-73) e Andrea Procaccini , allievo del Maratti, con “Francesca Gommi mostra un disegno raffigurante Venere che forgia le armi di Cupido” (1700-05). Di certo, dopo la sua eccellente produzione di ritratti, nessuno più a Roma parlò di Carlo Maratti come “Carluccio delle Madonne”.
“Carlo Maratti e il ritratto. Papi e Principi del Barocco romano” a Palazzo Barberini fino 16 febbraio 2025. Da martedì a domenica h.10-19, biglietto intero, valido 20 giorni per un ingresso a Palazzo Barberini e Galleria Corsini, euro 15. Per informazioni www.barberinicorsini.org
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