Elegante, di fine fattura, quasi sfumata nella sua delicatezza di tocco, un gruppo sacro che, per essere opera di un giovane pittore, denota mano sicura e gusto squisito. Così appare la Madonna Esterhazy, opera che Raffaello dipinse a 25 anni, da poco giunto a Roma dopo il proficuo periodo fiorentino, dove si stava formando la sua forte personalità artistica (“Madonna del cardellino”, “Pala Baglioni”). Lo volle nell’Urbe papa Giulio II il quale rimase così colpito da affidargli la decorazione della stanza della Segnatura e della Stanza di Eliodoro.
In quel clima di rinnovamento artistico voluto dal Della Rovere, in una città-cantiere dove lavoravano fianco a fianco Michelangelo, Bramante, il Sodoma, Baldassarre Peruzzi, Sebastiano del Piombo, Giulio Romano ed altri, Raffaello, ormai liberatosi dei moduli perugineschi (vedi in particolare “Lo sposalizio della Vergine”, del 1504) è completamente a suo agio. Ed è in tale stato d’animo che realizza la Madonna Esterhazy, così chiamata perché a fine ‘700 venne acquistata dalla omonima famiglia, finendo poi nelle collezioni del Szépmuvészeti Muzeum di Budapest.
Delicato, dicevo, di una levità morbida e un po’ trasognata che rimanda a moduli leonardeschi (Raffaello approfondì molto Leonardo durante il periodo fiorentino), con le sue figure colte in una situazione come di intimità familiare: la Madonna inginocchiata che tiene il Bambino fra le braccia e questi che indica San Giovannino intento a srotolare un nastro delle Sacre Scritture. Sullo sfondo un paesaggio romano, dove taluni hanno riconosciuto il Tempio di Vespasiano e la Torre dei Conti. In realtà l’identificazione risulta controversa, la Torre, ad esempio, nella forma ricorda più quella delle Milizie e il resto non è molto leggibile. Personalmente propendo più per un paesaggio di fantasia che anticipa un po’ i capricci pittorici di qualche secolo dopo (Pannini, Canaletto).
Nella riproduzione fotografica a lato del disegno originale conservato agli Uffizi appare un altro tipo di paesaggio, tipicamente toscano, di colline ed alberi, il che fa pensare come la prima stesura sia avvenuta a Firenze e poi il lavoro è stato terminato a Roma con relativa modifica del paesaggio. Ma ci sono altri raffronti da fare. A cominciare da Giulio Romano, il migliore allievo di Raffaello, che nella sua “Madonna col Bambino” (nota anche come Madonna Hertz, dal nome della donatrice) compone le figure con linee più marcate rispetto alla sobrietà stilistica del suo maestro. E, ancora, due copie da Raffaello: il tenerissimo Gesù Bambino dalla “Madonna del Velo” un tempo a Santa Maria del Popolo e “Madonna dei garofani”, già nella collezione Camuccini e ora a Londra, di soave intimità.
Prosegue dunque la stimolante politica culturale delle Gallerie Nazionali di Arte Antica che a Palazzo Barberini alle grosse mostre accompagna altre più smilze, per così dire, ma non meno importanti sul piano storico-artistico. Ciò dimostra come anche una sola opera di qualità possa condensare in sé il senso di un’epoca, l’arte, la politica, il costume. E nella “Madonna Esterhazy” di Raffaello respira tutto un mondo, la Roma-laboratorio che venne travolta dai giorni di furia del 1527.
“La Madonna Esterhazy di Raffaello”, GallerieNazionali di Arte Antica-Palazzo Barberini, fino all’8 aprile, da martedì a domenica h.8,30-19. Biglietto valido per Palazzo Barberini e Galleria Corsini euro 12 intero e 6 ridotto. Per informazioni 064824184 e www.barberinicorsini.org
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