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La casa del dialogo necessario

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                              Amos Gitai “House” – Teatro Argentina 8-10 ottobre

di Giusy Criscione


Per la scena internazionale, nell’ambito del Roma Europa Festival 2024, al Teatro Argentina, è stata presentata la pièce “House”, firmata da Amos Gitai, noto regista israeliano di cinema, ma anche di teatro . Lo spettacolo è prodotta da La Colline – Théâtre National di Parigi, con Irène Jacob e Bahira Ablassi, e attori e musicisti da tutto il Medio Oriente. La triste attualità della guerra in corso nei territori israeliani-palestinesi, rende ancora più urgente e interessante affrontare argomenti e problematiche che vengono trattati nella pièce.
Lo spettacolo in lingua inglese, araba, francese, ebraica e yiddish- perché tante sono le lingue parlate dagli occupanti di questi territori – con sottotitoli in italiano – racconta la storia di una casa a Gerusalemme Ovest, durante un quarto di secolo, attraverso le vite degli abitanti che qui si sono succeduti: arabi ed ebrei, palestinesi ed israeliani. In questa babele di lingue e infinità di storie vissute e raccontate, viene evidenziato tra passato e presente il complesso e variegato mondo degli abitanti di questi territori, le cui origini si mescolano con popolazioni provenienti dalla Turchia, dal Nord Africa ma anche dalla Svezia, Polonia Russia, Francia, Italia. Epopea tormentata di uomini e donne, giovani e vecchi. Storia dolorosa di individui che hanno perso tutto, dovendo abbandonare la patria per ritrovarsi altrove. Non si parla mai di odio, sono nemici ma fratelli . E’ un racconto di tentativi di coabitazione in quella casa piena di vita, di partenze e di ritorni, ma anche di distruzione e ricostruzione, così come l’attualità ci insegna: arabi e israeliani che vivono in un territorio ristretto, rivendicato da entrambi; si combattono, anelando la pace, cercano di trovare un modus vivendi in una difficile quotidianità.

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 Amos Gitai, riconosciuto come grande autore della cinematografia internazionale è noto, come accennato, anche coma regista teatrale di spettacoli : “Yitzhak Rabin”, progettato per il Festival di Avignone del 2016 , “Lettere a un amico a Gaza”, presentato allo Spoleto Festival di Charleston – USA). Gitai con questo lavoro torna a sviluppare in “House” i temi che costituivano la sua trilogia di documentari “La Maison”(1980), “Une maison à Jérusalem” (1997), e “News from Home / News from House” (2005). Riguardo alla scelta di tale argomento, il regista ha affermato: “In Medio Oriente più che altrove, il gesto dell’artista è più vicino a quello dell’archeologo. Si tratta di prendere in considerazione gli strati, le memorie e le storie per avvicinarsi alle situazioni umane contemporanee”. Spaccati di vita, memorie che tornano in maniera prepotente a volte con rimpianto per un abbandono forzato, ma ricordo sempre vivo. L’olocausto e le sue drammatiche conseguenze sono sempre presenti nei racconti di quegli ebrei sopravvissuti che sfogliano album di fotografie ingiallite contenente ritratti di parenti che non ci sono più. E gli arabi palestinesi, rivendicando il possesso della casa di Gerusalemme, perché appartenente ai loro avi, visti occupare le proprie case dagli israeliani, raccontano dei  loro familiari che sono dovuti fuggire perché costretti dalle nuove circostanze . Il popolo ebreo, aveva il diritto di avere una terra dove vivere finalmente, un paese che era universalmente conosciuto come quello legato alle loro origini; un tardivo tentativo dei popoli europei, per tacitare le proprie coscienze a seguito delle persecuzioni naziste, di trovare una soluzione alla diaspora”. La soluzione? Vivere insieme nello stesso territorio, sembra quasi suggerire il regista, quella casa o case distrutte, ricostruite, trasformate, appartengono ad entrambi, bisogna cercare di affrontare i problemi intorno ad un tavolo: ebrei palestinesi arabi provenienti dalle più disparate regioni. Perché in fondo entrambi i popoli anelano alla pace, tutta da costruire, come la casa che risorge.

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La scena si apre con un cantiere in costruzione, colpi di scalpello scandiscono il tempo per innalzare un muro di mattoni, i colpi cadenzati vengono accompagnati da una musica suadente: è la ricostruzione di una casa. Nella parte più interna della scena grosse impalcature. Sullo sfondo in un filmato registrato, una donna in primo piano, non più giovane, legge in francese, con voce accorata, una lettera, nella quale spiega al figlio lontano, il regista Amos, perché non può abbandonare la sua patria. Di seguito sfilano i protagonisti del dramma con le loro storie, rimpianti e qualche speranza di giovani e meno giovani. Verso la fine dello spettacolo, il regista mette alcuni suoi attori intorno ad un tavolo, suggerendo quasi una soluzione per la pace, anche se ciascuno di loro insiste nell’ affermare il proprio diritto di abitare in quella casa. I dialoghi sono molto serrati, ricchi di storie vissute in varie parti del mondo prima di ritornare nei territori contesi. Differenti classi sociali si confrontano operai, architetti, musicisti e l’archeologa, tanto cara a Gitai, perché per vivere la storia presente bisogna far riemergere il passato lontano e mettere insieme i frammenti, ricostruendo la casa dalle fondamenta.

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