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Il maestro della pioggia e della neve

01. Hiroshige  Utagawa Hiroshige che insieme a Kitagawa Utamaro e Katsushika Hokusai ha fatto conoscere all’Europa l’arte degli “ukiyo-e”, il cui raffinato linguaggio fascinò Monet, Degas, Van Gogh e costituì la radice dell’Art Nouveau. Le “immagini del mondo fluttuante”, una tecnica nata nel XVII secolo, come forma illustrativa e poi divenuta autonoma, una scuola diffusa in tutto il paese e che, quando il Giappone si aprì all’Occidente, trovò estimatori e collezionisti in ogni parte del mondo. Molti e di rilievo i pittori di ukiyo-e ma, come già detto, i più importanti restano quelli citati all’inizio ed è interessante, dopo la recente mostra di Hokusai, vedere le opere di Hiroshige, per confronto ma anche approfondimento di una corrente culturale densa di suggestioni.

  Una cultura, quella delle “immagini del mondo fluttuante”, che coglie l’attimo del transeunte, in un’accezione tutta Zen, l’impermanenza delle cose. E in Hiroshige,  questo appare evidente sin dai primi lavori, in silografia policroma, come ad esempio “La danza delle gru”. Viaggia molto attraverso il Giappone che, dopo secoli di aspre lotte fra clan rivali (e qui come non ricordare i film di Kurosawa), finalmente è pacificato. E’ l’èra Tokugawa, con capitale Edo (l’odierna Tokyo), dove lo Shogun obbliga i daimyo, i rissosi signorotti locali, a stabilirvi la residenza a cicli alterni. Può cosi tenerli sotto controllo e il paese godere di una certa stabilità della quale Hiroshige, nelle sue peregrinazioni fra città e campagne, è testimone diretto.

  La sua è soprattutto una produzione a tema, serie che costruiscono altrettanti capitoli di costume, visioni di un Giappone strutturato su basi feudali e rurali, un paese ancora intatto che fra pochi anni, con l’avvento dell’èra Meij e la fine dello Shogunato (1868), conoscerà la rivoluzione industriale. “Illustrazioni di luoghi celebri delle sessanta e oltre province”,  “Trentasei vedute del Fuji”, il monte sacro, e il suo ciclo più famoso, le “Cinquantatrè stazioni di posta del Tokaido”, illustrano un mondo in trasformazione e lo fissano nell’attimo unico. Emblematico (e simbolico) in questo senso “Il mare di Satta nella provincia di Saruga”, con la spuma delle onde che si sfrange nel vento e il profilo dei monti sullo sfondo. E la stessa sensazione di fugacità eternata, per così dire, si ritrova in “Awa. I gorghi di Naruto”, dove non a caso il vortice provocato dalle onde evoca la struttura del Giardino Zen.

  A differenza di Utamaro e Hokusai, con i quali mostra talora affinità di linguaggio (il tratto un po’ diafano del primo quanto la pastosità del secondo), Hiroshige imposta le sue composizioni in modo asimmetrico. Un primo piano quasi incombente, che spicca sul fondale in cui tutto rivela un che di minimalista, qualcosa di simile ad un close-up fotografico, peraltro di grande effetto. Si vedano, ad esempio, “Kameido. Il giardino dei susini” o “La costa di Hoda nella provincia di Awa”, dove questa alterazione visiva crea un notevole effetto prospettico. E’ lo stile Hiroshige, l’osservazione ravvicinata del particolare che s’impone sul resto delle immagini, spesso riportata con tonalità lievi, quasi impalpabili.

  Gli elementi naturali soprattutto, la cui rappresentazione stilizzata ha meritato a Hiroshige l’appellativo di “maestro della pioggia e della neve”. Ed ecco “Ohashi. Acquazzone ad Atake”, con il flusso di acqua che si scinde in tanti fili e precipita sui passanti o “Monti e fiumi lungo la strada Kiso”, dove il candore delle alture innevate, quella grande macchia bianca che s’espande all’intorno, risulta di grande suggestione non solo visiva. Perché, come già accennato, Hiroshige, non meno degli altri maestri maggiori e minori dell’arte degli ukiyo-e, punta all’essenza o anima nascosta della realtà. E questo riferito non solo alle persone ma al paesaggio e al mondo della natura in genere (la serie dei fiori, i pesci,gli uccelli).

  Il Giappone, la grande varietà del suo territorio narrata con toni che ne rendono la sensazione emotiva, dal viaggiatore Hiroshige proposta ad un pubblico che, non avendo la possibilità di muoversi, poteva comunque riconoscersi nelle sue opere. E sono lavori in cui è evidente la simbiosi uomo-paesaggio, come nella sua ultima serie, “Cento vedute di luoghi celebri di Edo”, l’equilibrio perfetto, assolutamente zen (vedi “Kameido. L’area antistante il santuario Tenjin” e “Il ponte di Yatsumi”). D’altronde è una ricerca che Hiroshige conduce dagli inizi, anche in grande formato, come i trittici, nei quali tutto appare ancora più sospeso (“Luna riflessa sulla superficie delle risaie a Sarashima nella provincia di Shinano”) o con un che di magico (“Veduta con la neve”, realizzato insieme a Utagawa Kunisada, famoso per i suoi ritratti in versione Kabuki).

13. Hiroshige

  Né trascura, anche se in margine, il lato visionario (“Taira Kiyomuri vede comparire dei fantasmi”, che rimanda alle lotte fra il clan Taira e Minamoto, XII secolo) e quello grottesco (il delizioso “Cronaca della grande pace”, ovvero “La battaglia di palline di riso e sakè”). Ma sempre aleggia quella serenità di visione e quell’innocenza del gesto che fanno pensare ad un “haiku” del grande Basho: “Onde increspate/ e ritmo/ del profumo del vento”.

“Hiroshige. Visioni dal Giappone” alle Scuderie del Quirinale fino al 29 luglio. Da domenica a giovedì h.10-20, venerdì e sabato h.10-22,30. Biglietto eruo 15 intero 13 ridotto (audioguida inclusa). Per informazioni 0681100256 e www.scuderiequirinale.it

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