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Anno Domini 1656: la peste a Roma

26903898_1643558452346731_8573545400734774469_n  All’inizio sembrava un semplice focolaio di febbre poi si comprese che quel marinaio napoletano fermatosi nella locanda trasteverina aveva portato con sé il morbo che stava facendo strage nel Regno di Napoli (240mila morti solo nella capitale). L’infezione si era propagata e, in poco tempo, la peste riempì di morti e moribondi il lazzaretto dei Frati Benfratelli all’Isola Tiberina. Venne proibita qualsiasi manifestazione pubblica per timore di contagio ma l’epidemia continuò, uccidendo quasi 15mila romani, oltre 1/6 della popolazione (all’epoca 100mila persone). Poi, ad agosto del 1657, la fine dell’incubo, con le vie della città percorse dalle processioni di ringraziamento.

  Fu nel pieno del flagello che Orazio Benevoli compose la sua “Missa in angustia pestilentiae”, a 16 voci e organo, commissionata dal Capitolo della Basilica di San Pietro per implorare la misericordia divina. Un’opera imponente, di grande bellezza, nonché prezioso documento del gusto musicale barocco nella Roma del ‘600, dove Benevoli, Maestro della Cappella Giulia, scriveva ed eseguiva musica sacra di ampio respiro. Composizioni policorali, che potevano giungere anche a 40 o 50 voci, ma Benevoli pubblicò solo una piccola parte della sua notevole produzione finendo poi nell’oblìo dal quale, nella seconda metà del ‘900, è stato tratto dal musicologo Laurence Feininger. E ne sono scaturiti capolavori come appunto la “Missa in angustia pestilentiae” che venne eseguita a Roma nel giugno 2015 in Santa Maria in Campitelli. Una magnifica esecuzione ora finalmente anche cd, con gli stessi interpreti di allora: la Cappella Musicale di Santa Maria in Campitelli e il direttore Vincenzo Di Betta.

  “Terribilis est locus iste”, il gregoriano introduce al dramma che sta vivendo la città, quasi per esorcizzarlo, e il “Kyrie” che segue è un’invocazione ad anima spiegata, soprattutto nella seconda parte, dove voci e strumenti all’unisono esprimono tutto il dolore umano. Ed anche l’ansia che poi si fa preghiera nel “Gloria”, il messaggio del popolo dei credenti volto a quel cielo dove forse è in ascolto un Dio misericordioso. Preghiera che si rafforza nella “Colletta”, canto liturgico che segue il “Gloria” e precede la Liturgia della Parola, e nell’Epistola, un versetto dell’Apocalisse (21:2-5) che interpreta lo spirito della Missa (“E vidi anche la città santa, la Gerusalemme muova, scendere dal cielo…..e non vi sarà più la morte né lutto, né lamento, né affanno”).

  E dopo un dolcissimo brano del grande Frescobaldi, “Canzon dopo la pistola”, dai “Fiori musicali” (la pulsione tutta “verticale” della sua musica) e un brano dal Vangelo di Luca (19:1-10, l’episodio di Gesù e Zaccheo), in gregoriano, il possente “Credo”. E’ un ondeggiare di voci, supportate in particolare dagli ottoni, dove alla compattezza iniziale segue come uno sfrangiarsi delle stesse, con effetti squisitamente melismatici. Siamo nel colmo della preghiera-supplica, la cui tensione emotiva stempera nell’Offertorio in cantus planus (“Domine Deus in simplicitas”), nel “Capriccio sopra la Girolmeta”, ancora dai “Fiori musicali” di Frescobaldi (questo eccelso maestro dell’arte del “ricercare”) e nel “Prefazio festivo”, in gregoriano.

  “Sanctus”, più pacato, e tuttavia non meno ricco di sfumature, cui fa quasi da controcanto, per la sua scrittura in chiaroscuro, la “Intonazione cromatica del IV tono”, di Tarquinio Merula, che fu maestro di cappella a Bergamo. Ancora gregoriano, un severo “Pater noster” e un morbido “Pax Domini”, poi l’arioso “Agnus Dei” che conclude la sequenza dell’Ordinarium Missae, non più invocativo ma deciso nei toni, perché la preghiera corale sarà certamente esaudita. Infine, dopo la “Communio” in gregoriano, “Domus mea” (scelta simbolica), un bel brano per organo di Johann Jacob Froberger, allievo di Frescobaldi,  e il liberatorio “Ite missa est”.

  All’epoca Benevoli era considerato come l’erede spirituale di Palestrina, per molti addirittura superiore. In effetti si può dire che parte sì da Palestrina (figura imprescindibile per la musica sacra rinascimentale ed anche barocca), proseguendo nell’alveo della Scuola Romana ma, nel preferire alla essenzialità del canto a cappella il dialogo voce-strumento, non dimentica l’esperienza veneziana, con i cori decentrati (Willaert, i Gabrieli) e l’uso degli ottoni. La sua musica si differenzia da quella di Carissimi per il linguaggio, aperto a soluzioni narrative nuove per l’epoca e sia questo, sia la negligenza nel pubblicare gli spartiti, hanno reso Carissimi dominatore della scena musicale romana del ‘600 (il filone sacro). E questo malgrado la bellezza di alcune opere di Benevoli, come la “Missa Azzolina” o la “Missa Tiracorda”.

  Esecuzione impeccabile, dove all’interno della Missa, sviluppata nella sequenza dell’Ordinarium Missae (Kyrie-Gloria-Credo-Sanctus-Agnus Dei), si innestano antifone dal Graduale romanum e brani della liturgia dal Missale romanum (e i pezzi per organo). L’insieme risulta sontuoso ma per nulla ridondante, anzi, di una pastosità che definirei plastica soprattutto per quanto riguarda l’aspetto contrappuntistico che in Benevoli è preponderante. Ne risulta un’interpretazione attenta, calibrata (e filologicamente corretta), il cui colore insieme tenue e vivace è il frutto di un coordinato lavoro collettivo. Merita fare tutti i nomi. Soprani: Picci Ferrari, Marta Guassardo, Paola Ronchetti, Ronia Weyhenmeyer; Contralti: Antonello Dorigo, Antonella Marotta, Fortunata Prinzivalli, Ekaterina Vilpo; Tenori: Santi Castellano, Federico Incitti, Nicolò Giuliano, Renato Moro, Roberto Manuel Zangari; Bassi: Simone Colavecchi, Enrico Correggia, Gennaro Di Filippo, Marzio Montebello, Andrea Robino Rizzet. Schola: Massimo Bisson, direzione, Santi Castellano, Enrico Correggia, Nicolò Giuliano, Roberto Manuel Zangari. Ensemble La Cantoria: Simone Colavecchi, tiorba, Stan Adams, Dario Salerno, tromboni, Luca Ambrosio, organo (continuo), Franco Vito Gaiezza, organo solo. Direttore Vincenzo Di Betta che continua nel suo lodevole recupero di capolavori dimenticati (ricordo anche la recente incisione della “Messa de morti” di Bonaventura Rubino).

Orazio Benevoli, “Missa in angustia pestilentiae”, Cappella Musicale Santa Maria in Campitelli diretta da Vincenzo Di Betta, Tactus. Per informazioni www.tactus.it e www.lacantoriacampitelli.it

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