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Artiste a Roma nella prima metà del ’900

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                                                           Artiste a Roma nella prima metà del ‘900

di Antonio Mazza

  Agli inizi del XX secolo la vita artistica romana ebbe un notevole impulso dall’Esposizione Universale del 1911, a Valle Giulia, che sancì la nascita della Galleria Nazionale di Arte Moderna. D’altronde la Capitale era già in piena attività, il Manifesto Futurista è del 1909, e gli influssi internazionali si incrociavano producendo brillanti risultati. Post Impressionismo, Espressionismo e poi, a seguire negli anni, Cubismo, Costruttivismo, Dadaismo, Nuova Oggettività, Surrealismo. Un paesaggio estremamente variegato dove s’impongono i nomi di Cézanne, Matisse, Klimt, Picasso, ma anche l’Italia può vantare nomi importanti (i Futuristi, De Chirico) nonché situazioni stimolanti (la rivista “Valori Plastici”, la mitica Casa d’Arte Bragaglia a Roma). Dunque una proficua fase artistica alla quale parteciparono anche donne, pittrici, scultrici, alle quali, però, non è mai stato dato il giusto risalto. Tutt’altro, spesso è calato l’oblìo, ed è merito della mostra a Villa Torlonia, Casino dei Principi, se ora si può fare chiarezza su una ricca produzione tutta al femminile che copre un arco di tempo di 40 anni (dal 1915 alla vigilia della seconda guerra mondiale). La mostra è a cura di Federica Pirani, Anna Paola Agati, Antonia Rita Arconti e Giulia Tulino, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con Sapienza Università di Roma dipartimento Storia Antropologia Religioni Arte e Spettacolo, Zètema Progetto Cultura.

"Ritratto di una giovinetta" (1920), di Teresa Berring.

“Ritratto di una giovinetta” (1920), di Teresa Berring.

  Sei sezioni per complessive 100 opere di 26 artiste che operarono in àmbito romano, le cui biografie sono contenute in un agile volumetto distribuito all’ingresso della mostra. “Tra Simbolismo e Secessione”, “Attraverso il Futurismo”, “L’eredità del colore”, “Linguaggi del quotidiano”, “Tra Metafisica e Ritorno all’Ordine”, “Altri Realismi” e, come corollario, “Nello sguardo di Ghitta Carell”, foto di personaggi famosi. Quindi ogni corrente è rappresentata ed interpretata in chiave di sensibilità femminile, più lieve ed introspettiva, come dimostrano subito ”Autoritratto al torchio” (1926), di Mimi Quilici Buzzacchi, e “Lo studio dell’artista” (1929), di Leonetta Cecchi Pieraccini. Erano gli anni in cui Mussolini, a proposito di un’arte al femminile, affermava “io credo che la donna non abbia grande potere di sintesi e che quindi sia negata per le grandi creazioni spirituali”. Ma qui, nella mostra,  per buona parte articolata negli anni del regime, appare tutto il contrario, una mano ferma nella pennellata e un intimismo di fondo che trascende la tela stessa. Come già anticipato anni prima da Virgilia Tomescu Scrocco con la sua delicata opera in odore di Secessione, “Gioco di bambine” (1915).

Sala con le 13 tavole della "Vita di re David" (1918), di Ruzena Zatkova.

Sala con le 13 tavole della “Vita di re David” (1917-18), di Ruzena Zatkova.

  Penetrare nel personaggio raffigurato, sentirlo e farlo sentire, il colore quasi come una gradazione dell’anima, vedi “Ritratto di mio padre” (1916), di Deiva de Angelis, di traccia espressionista. La chiave è questa, anche nella scultura, quale traspare nell’intenso “Ritratto di una giovinetta” (1920), un volto ancora adolescenziale  dall’espressione fra pudica e trasognata. Autrice Teresa Berring, cilena come la Tomescu rumena, poiché molte furono le artiste europee e non approdate in quel calderone di tendenze e influssi che era l’Urbe nella prima metà del ‘900. E così un’altra valida pittrice, la ceca Ruzena Zatkova, che declina la sua tradizione ortodossa in un’ottica futurista, la sorprendente nonché deliziosa serie di 13 tavole su cartoncino relative alla “Vita di re David” (1917-18). Evidente il richiamo alle icone con quel miniaturismo delle figure che non può non far pensare al nostro Depero. E, per restare in tema futurista, uno splendido esempio di aeropittura, “Velocità di motoscafo” (1919-24), di Benedetta Cappa Marinetti, compagna di Filippo Tommaso (presente in un acceso ritratto della Zatkova, 1921-22). “L’arabesco impresso dalla velocità di un motoscafo nella polpa azzurra del mare acceso dal meriggio”: tipico linguaggio futurista.

"Vita di re David" (1918), particolare.

“Vita di re David” (1917-18), particolare.

  Ma il senso ultimo è sempre quello di lasciar filtrare il lato caratteriale del personaggio raffigurato, come in “Due giovinette” (1918), di Evangelina Gemma Alciati, o “Adolescente sull’Aniene” (1924), della Tomescu Scrocco, dove si avverte un che di sospeso, l’incanto degli “anni verdi”. Per non parlare del linguaggio verista, tipo “Ritratto di donna” (1926) e “Angelina con la bambola di lenci” (1930), di Emilia de Divitiis. Importante poi l’uso del colore per meglio identificare il soggetto, come in ”Nudo con scialle” (1932), di Adriana Pincherle, o in “Cabine” (1927) e il movimentato “Scacchiera” (1932), di Pasquarosa Marcelli Bertoletti (figlia di contadini, prima modella poi pittrice di successo: la regina Margherita acquisterà un suo quadro). Un colore che si rarefà nella pittura metafisica della lettone Edita Walterovna Broglio, cofondatrice col marito Mario Broglio di “Valori plastici”. Qui le delicate tonalità di “Pane e acqua” e “Uova fresche”(1928),  ma una tonalità metafisica è pure in “Composizione” (1932), della serba Milena Pavlovic Barilli mentre una via di mezzo fra astratto e metafisico compare in “Astrazione di una natura morta” (1930), di Maria Grandinetti Mancuso.

"Velocità di motoscafo" (1919-24), di Benedetta Cappa Marinetti.

“Velocità di motoscafo” (1919-24), di Benedetta Cappa Marinetti.

   Né manca, ovviamente, la Scuola Romana, il famoso cenacolo di via Cavour, con Antonietta Raphael, “Riflesso nello specchio”(1945-61), gesso con un che di arcaico intrinseco alla struttura della composizione, e la fascinosa “Testa di Miriam” (1933-58), la figlia che diverrà poi un’apprezzata giornalista. Dal canto suo Mario Mafai è presente in una serie di vedute urbane che documentano gli sventramenti del periodo fascista, insieme a Wanda Biagini ed Eva Quajotto (di lei cito “Demolizioni a piazza Navona”, 1936, e “Demolizioni intorno all’Augusteo”, 1937). Ormai, alla vigilia della guerra, siamo nel figurativo pieno, anche se pur sempre in una fase di ricerca, come nell’ultima sezione, “Altri Realismi”, dimostra Immacolata Zaffuto, “Operai” e “Cantiere con figure”, 1940, encausto su intonaco e cemento. E il tocco finale è “Nello sguardo di Ghitta Carell”, foto di personaggi famosi che evocano momenti della storia e della cultura del nostro paese (Mussolini, Edda Ciano, Roberto Longhi, Cesare Pavese, Anna Banti, Edda Palma Bucarelli). Un finale degno di una mostra senz’altro da vedere non solo per la qualità delle opere ma soprattutto perché esamina un periodo fertile quanto poco noto di arti plastiche in ottica femminile, assolutamente da riscoprire.

"Testa di Miriam" (1933-58), porfido di Antonietta Raphael.

“Testa di Miriam” (1933-58), porfido di Antonietta Raphael.

“Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e  Ritorno all’Ordine”, Musei di Villa Torlonia Casino dei Principi, fino al 6 ottobre. Da martedì a domenica h.9-19, biglietto euro 6 non risedente 5 residente, ridotto 5 e 4. Per informazioni 060608 e info@museivillatorlonia.it

"Cantiere con figure" (1940), di Immacolata Zaffuto.

“Cantiere con figure” (1940), di Immacolata Zaffuto, encausto su intonaco e cemento.

 

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