I graditi ospiti di Palazzo Barberini
I graditi ospiti di Palazzo Barberini
di Antonio Mazza
La Roma barocca del XVII secolo non era solo un cantiere in perenne attività, una fucina d’arte dove palpitava la vena creativa di personalità come Bernini, Borromini, Pietro da Cortona, solo per fare alcuni nomi. In parallelo e strettamente connesso v’era il filone del collezionismo, il mettere insieme, da parte delle famiglie romane più in vista, capolavori d’arte, sia antica sia moderna. Così gusto archeologico e puro piacere estetico si combinavano nelle grandi collezioni, realizzando una brillante sinfonia di forme, luci, colori che lasciava ammirato il visitatore. E a “far maraviglia” nella Roma del ‘600 sono le ricche collezioni di due grandi e illustri cittadini dell’Urbe: il cardinale Scipione Caffarelli Borghese, nipote di papa Paolo V, e Maffeo Barberini, il futuro Urbano VIII. Racchiuse nei loro splendidi palazzi, erano e sono scrigni di bellezza, che esaltarono soprattutto i viaggiatori del Grand Tour, ma il cui fascino seduce ancor oggi, anzi, soprattutto oggi che più si sente il bisogno del Bello in un mondo in sfacelo.
Due grandi collezioni che oggi dialogano e l’una, la Barberini, ora ospita una parte dell’altra, la Borghese, per i lavori di restauro, ripristino ed abbellimento che, grazie al PNRR, renderanno la Galleria ancora più preziosa per i romani e non. Cinquanta opere di prestigio momentaneamente traslocate a Palazzo Barberini per evitare la chiusura della Galleria Borghese, che resterà accessibile ai visitatori anche con i lavori in corso. L’alternativa era metterle in deposito e dunque ottima l’idea di mandarle in vacanza per un po’, nell’Ala Sud del piano nobile di Palazzo Barberini, risultandone così un fascinoso mix dove il Barocco si sposa con il Barocco in perfetto equilibrio. La scelta ha privilegiato opere a tema sia profano che sacro arricchendo il già superbo patrimonio d’arte barberiniano,un evento straordinario che, come hanno sottolineato Thomas Clement Salomon, il nuovo direttore delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, e Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese, crea un legame non solo simbolico fra le due collezioni.
Dunque cinquanta opere, con capolavori assoluti ed altri comunque notevoli, un denso percorso pittorico da assaggiare lentamente, per gustarne l’intrinseca bellezza. Fra le prime tele che s’incontrano colpisce, per la singolarità del tema e la cifra stilistica, “Paesaggio con corteo magico” (1528) del Garofalo. Evidenti le suggestioni di quel filone della pittura fiamminga sospesa fra onirico e fantastico (Bosch, Brueghel), in contrasto con il suo abituale classicismo figurativo che rimanda a Giulio Romano. Procedendo è un alternarsi di quadri comunque intriganti e capolavori, ad esempio “San Giovanni Battista” (1560) del Bronzino, che sorprende per la sua modernità (vien da pensare a Donghi), e il “Ritratto d’uomo” (1476) di Antonello da Messina, opera fra le sue migliori dove si avverte l’influsso dei maestri fiamminghi (in particolare Hans Memling). O una rappresentazione profana come l’elegante “Venere e amore che reca il favo di miele” (1531), di Lucas Cranach, con la sua dea longilinea, che si accompagna ad una rappresentazione sacra, come “Madonna con Bambino, san Giovannino e angeli” (XV secolo), soave tempera su tavola di Sandro Botticelli, fra i capolavori del ‘400 fiorentino.
E sacre rappresentazioni sono due belle opere di Jacopo Bassano, una sobria “Adorazione dei pastori” (1553-4) e una più movimentata “Ultima Cena” (1546), dove, ad una lettura molto specifica (ma non indispensabile, il quadro piace anche così), risalta la componente allegorica, cioè la figura di Giuda individuabile grazie al gatto ai suoi piedi (tradizionalmente, soprattutto nel medioevo, associato all’inganno). D’altronde l’allegoria era frequente nella pittura barocca ed ecco un altro esempio, lo scenografico “La predica del Battista” (1562), del Veronese, dove il gesto con il quale egli indica Gesù sullo sfondo sta ad indicare l’inizio di un’èra nuova, come scritto nel libro dei profeti. Ma l’allegoria può anche non essere fra le righe e manifestarsi in modo più esplicito, come nel caso della vivace “Allegoria mitologica” (1529), di Dosso Dossi, con Venere che scopre la bellezza di Psiche (dello stesso autore “I santi Cosma e Damiano”, 1520-22, patroni dei medici: uno di loro sta estraendo un dente).
E poi i capolavori, a cominciare dalla pittura veneta, una tenera “Madonna con Bambino” (1510), di Giovanni Bellini, un sobrio “Ritratto femminile” (XVI secolo) di Vittore carpaccio, l’incisivo “Ritratto di Mercurio Bua” e il devoto “Madonna col Bambino, sant’Ignazio di Antiochia e sant’Onofrio”, entrambi del XVI secolo, autore Lorenzo Lotto (e qui ancora l’allegoria: nella prima opera il piccolo teschio allude alla vedovanza del nobiluomo, nella seconda i santi come richiamo morale). Tiziano è presente con tre capolavori, il lussureggiante “Amor sacro e amor profano” (1515-16), il raffinato “Venere che benda Amore” (1560-65) e il drammatico “Cristo flagellato” (1568). E di àmbito veneto sono anche Giovanni Girolamo Savoldo (lo straordinario “Tobiolo e l’angelo”, XVI secolo), Girolamo da Treviso (una “Venere dormiente” di sapore giorgionesco, XVI secolo), Bernardino Licinio (un interessante “Ritratto della famiglia del fratello”, 1535). Senza dimenticare i già citati Bassano e Veronese.
E, ancora, i toscani, Lorenzo di Credi e Fra Bartolomeo con due opere dolcissime, rispettivamente “Madonna con Bambino e san Giovannino” e “Adorazione del Bambino”, entrambe secolo XV. Andrea del Sarto, dal Vasari definito”eccellentissimo pittore fiorentino”, con una vivida “Madonna con Bambino e san Giovannino” (XVI secolo), la tardo manierista Lavinia Fontana con il malizioso “Minerva in atto di abbigliarsi” (XVI secolo), l’immancabile Rubens con una smagliante “Susanna e i vecchioni” (1606-7), dove trasudano, per così dire, gli umori della sua esperienza italiana. E tante altre opere sarebbe da citare in questo singolare florilegio pittorico che si snoda nelle sale di Palazzo Barberini, tutte da (ri)scoprire, e che si conclude con due capolavori di Raffaello per la prima volta insieme, “Dama con liocorno” (XVI secolo) e “La Fornarina” (1520).
A parlarci dell’eternità della Bellezza.
“Raffaello, Tiziano, Rubens. Capolavori della Galleria Borghese a Palazzo Barberini” a Palazzo Barberini fino al 30 giugno. Da martedì a domenica h.10-19, biglietto euro 15 intero (valido 20 giorni per un solo accesso a Barberini e Galleria Corsini). Ridotto 5 per possessori biglietto Galleria Borghese. Per informazioni www.barberinicorsini,org
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